[La proposta del vescovato di ragion
divina, contradetta da' legati, genera contesa]
Ma in Trento li deputati a formar
gl'anatematismi e la dottrina, considerate le sentenze de' teologi, fecero una
minuta, in quale fu posto che li vescovi sono superiori iure divino,
perché l'arcivescovo di Zara et il vescovo di Conimbria, principali tra li
deputati, furono di quel parere; ma i legati non permisero, dicendo che non era
giusto interporvi concetto non contenuto negl'articoli; che se poi li padri
nelle congregazioni avessero ricchiesto, si sarebbe pensato; il che li
spagnuoli immediate si risolverono di ricchiedere, e li legati, intesolo,
consultati, deliberarono di far intender a' prelati suoi soliti a contradire
che, se quella materia era proposta, tacessero e non la mettessero in disputa,
per non dar occasione a' spagnuoli di repliche, con le quali si tirassero in
longo le congregazioni e si eccitassero degl'inconvenienti nati nel proposito
della residenza; ma se da Granata o da altri fosse fatta l'instanza, il
cardinale varmiense interrompesse, rispondendo non esser capo da trattar in
concilio, per non esser controverso con protestanti.
Il dí 13 ottobre 1562, non avendosi fatto
congregazioni dopo quelle de' teologi, nella prima de' prelati, che fu questo
giorno, avendo con poche parole li patriarchi et alcuni arcivescovi inanzi
approvato gl'anatematismi come erano formati, l'arcivescovo di Granata, avendo
esso ancora con poche parole detto il suo voto circa i 6 primi canoni, nel
settimo fece instanza che si dicesse i vescovi, instituiti de iure divino,
esser superiori a' preti; che questo egli lo poteva e doveva di raggione
chiedere, perché in questa forma fu proposto in concilio dal cardinale
Crescenzio in tempo di Giulio III et approbato dalla sinodo. Addusse per
testimonii il vescovo di Segovia, che intervenne come prelato in quel concilio,
e fra Ottaviano Preconio da Messina, arcivescovo di Palermo, che, non ancora
prelato, allora v'intervenne come teologo. Soggionse che non si poteva mancar
di dicchiarare l'uno e l'altro de' doi ponti, cioè li vescovi esser instituiti iure
divino et essere iure divino superiori a' preti, per esser negato
dagl'eretici; e si estese con molti argomenti, raggioni et autorità a
comprobare il suo parere. Allegò Dionisio, che disse l'ordine de' diaconi
riferirsi in quello de' preti, quello de' preti in quello de' vescovi e quello
de' vescovi in Cristo, vescovo de' vescovi. Aggionse Eleuterio, pontefice
romano, che in un'epistola a' vescovi di Francia scrisse che Cristo aveva
commesso a loro la Chiesa universale. Aggionse Ambrosio, che nell'Epistola
a' corinzii disse che il vescovo tiene la persona di Cristo et è vicario
del Signore. Aggionse ancora l'epistola di Cipriano a Rogaziano, dove piú volte
replica che, sí come li diaconi sono creati da' vescovi, cosí i vescovi sono
fatti da Dio, et aggionse quel celebre luogo del medesimo santo, che il
vescovato è uno e ciascuno de' vescovi tiene una parte di quello. Disse che il
papa era vescovo come gl'altri, essendo egli e loro fratelli, figliuoli d'un
padre, Dio, d'una madre, la Chiesa: perilché anco il pontefice gli chiama
fratelli; onde se il papa era instituito da Cristo, dal medesimo erano
parimente instituiti li vescovi. Né si può dire che il papa gli chiama fratelli
per termine di civiltà o d'umiltà, perché li vescovi ancora ne' secoli
incorrotti hanno chiamato lui fratello. Esservi l'epistole di Cipriano a
Fabiano, Cornelio, Lucio e Stefano, dove egli gli dà titolo di fratelli;
esservi epistole in Agostino, e per nome suo e per nome d'altri vescovi
d'Africa, dove parimente Innocenzio e Bonifacio pontefici sono chiamati
fratelli. Ma quello che piú di tutto è chiaro, non solo nelle epistole di
questi doi santi, ma di molti altri ancora, il pontefice è chiamato collega.
Esser contra la natura del collegio che consti di persone di diverso genere.
Quando tanta differenza fosse, che il papa fosse instituito da Cristo e li
vescovi dal papa, non potrebbono esser in un collegio. Comporta ben la natura
che nel collegio vi sia un capo, e cosí avviene dell'episcopale, del quale è il
papa capo, però in sola edificazione e, come si dice in latino, in
beneficientem causam, nel modo che san Gregorio dice nell'epistola a
Giovanni siracusano, che quando alcun vescovo è in colpa, egli è soggetto alla
Sede apostolica, ma del rimanente, quando non vi è colpa, tutti per raggione
d'umiltà sono uguali: e questa è l'umiltà cristiana non mai separata dalla
verità. Allegò san Gieronimo ad Evagrio, che dovunque sarà vescovo, o in Roma,
o in Augubio, o in Constantinopoli, o in Reggio, tutti sono dell'istesso merito
e del medesimo sacerdozio e tutti successori degli apostoli. Inveí contra quei
teologi che dissero san Pietro aver ordinato gl'altri apostoli vescovi;
l'ammoní a studiare le Scritture e guardare che a tutti fu data ugualmente la
potestà d'insegnar per tutto 'l mondo, di ministrar li sacramenti, di rimetter
i peccati, di legare e sciogliere, di governar la Chiesa, e finalmente mandati
nel mondo, sí come il Padre ha mandato il Figliuolo, e però, sí come
gl'apostoli ebbero l'autorità non da Pietro, ma da Cristo, cosí i successori
degl'apostoli non hanno potestà dal successor di Pietro, ma dal medesimo
Cristo. Addusse a questo proposito l'essempio dell'arbore, in quale sono molti
rami, ma un solo tronco; si rise poi di quegl'altri teologi che avevano detto
tutti gl'apostoli esser da Cristo instituiti e pari in autorità, ma che in loro
era personale e non doveva passar in successori, se non quella di Pietro,
interrogandogli, come in presenza, con che fondamento, con che autorità, con
che raggione si lasciassero indur ad una cosí audace affermazione, inventata da
50 anni solamente, espressamente contraria alla Scrittura: nella quale avendo
detto Cristo a tutti gl'apostoli che sarà con loro sino alla fine del mondo, il
che non intendendosi delle loro proprie persone, convien ben per necessità
intender della successione di tutti, e cosí esser stato inteso da tutti li
padri e da tutti i scolastici a' quali quella nuova opinione per diametro
repugna. Argomentò ancora che se li sacramenti sono instituiti da Cristo, per
consequenza anco erano instituiti li ministri de' sacramenti, e chi vuol dire
che la ierarchia sia de iure divino et il sommo ierarca instituito da
Sua Maestà, gli convien dire che anco gl'altri ierarchi abbiano l'istessa
instituzione. Esser dottrina perpetua della Chiesa catolica che gl'ordini si
danno per mano de' ministri, ma la potestà è conferita da Dio. Concluse che
essendo tutte queste cose vere e certe, e negate dagl'eretici in piú luoghi che
il vescovo di Segovia aveva raccolto insieme, era necessario che fossero
decchiarate e definite dalla sinodo, e dannati gl'errori contrarii.
Prese da questo il cardinale varmiense
occasione d'interromperlo, che pur ancora seguiva, e disse, secondo il
concerto, che di questo non era alcuna controversia con gl'eretici, anzi che
nella confessione augustana tenevano il medesimo; però era soverchio et inutile
metterlo in dubio, e che li padri non dovevano entrar in disputa di cosa nella
quale convenissero insieme catolici et eretici. Perilché Granata, levatosi in
piedi, replicò che la confessione augustana non confermava questo, anzi
contradiceva, e non poneva distinzione alcuna tra il vescovo et il prete, se
non per constituzione umana; asseriva che la superiorità de' vescovi fu prima
per costume, e poi per constituzione ecclesiastica, e tornò a ricercar che
nella sinodo fosse fatta questa definizione, overo che si rispondesse alle
raggioni et autorità da lui allegate. Il cardinale tornò a replicare che
gl'eretici non negavano le cose dette, ma solamente moltiplicavano l'ingiurie e
maledizzioni et invettive contra li costumi presenti; e passate tra loro altre
repliche, Granata tutto sdegnato et infocato, disse che si rimetteva alle
nazioni.
Dopo di questo, fatto e quietato qualche
tumulto, degl'altri parlarono, ricevendo le cose come erano proposte senza l'aggionta,
chi fondati sopra il detto di varmiense e chi tenendo che solo il papa sia
instituito de iure divino, sin che toccò all'arcivescovo di Zara; il
qual disse esser necessario aggionger le parole: de iure divino per
dannar quello che gl'eretici dicono in contrario nella confessione augustana;
dove ritornando varmiense a dire che in detta confessione non vi era cosa
alcuna dove gl'eretici dissentissero in questo, et allegando Zara il luogo e le
parole, la contenzione s'allongò tanto che per quel giorno finí la
congregazione.
In quelle de' seguenti furono parimente
varie le opinioni; di singolar vi fu che l'arcivescovo di Braga fece instanza
per la medesima aggionta, dicendo che non si poteva tralasciare, e si allargò a
provar l'instituzione de' vescovi de iure divino, portando raggioni et
argomenti poco differenti da Granata, e passò a dire che il papa non può levar
a' vescovi l'autorità datagli nella loro consecrazione; la qual contiene in sé
non solo la potestà dell'ordine, ma della giurisdizzione ancora, perché in
quella gl'è assegnata la plebe da pascere e reggere, e senza quella non è
valida l'ordinazione; di che n'è manifesto indicio che a' vescovi titolari e
portativi, si assegna tuttavia una città, che quando potesse star l'ordine
episcopale senza giurisdizzione, non sarebbe necessario. Oltre di ciò, nel
dargli il pastorale, si usa la forma di dire che è un segno della potestà che
se gli dà di corregger li vizii. Quel che piú importa, se gli dà l'anello,
dicendo che con quello sposa la Chiesa, e nel dar il libro dell'Evangelio, con
che s'imprime il carattere episcopale, si dice che vadi a predicar al popolo
commessogli, et in fine della consecrazione si dice quell'orazione: Deus
omnium fidelium pastor et rector, che poi è stata ne' messali appropriata
al pontefice romano, con voltarsi a Dio e dire che egli ha voluto che quel
vescovo presedesse alla Chiesa. Gionto che Innocenzo III disse esser il
matrimonio spirituale del vescovo con la sua Chiesa un legame instituito da Dio
et insolubile per potestà umana, e che il pontefice romano non può trasferir un
vescovo, se non perché ha special autorità da Dio di farlo; le quali cose tutte
sarebbono molto assorde, se l'instituzione de' vescovi non fosse de iure
divino. L'arcivescovo di Cipro disse che si doveva dicchiarare li vescovi
esser superiori a' preti iure divino, riservando però l'autorità nel
papa. Ma il vescovo di Segovia, avendo aderito in tutto e per tutto alle
conclusioni e raggioni di Granata, fece una longa recitazione de' luoghi
degl'eretici dove negano la superiorità de' vescovi e l'instituzione esser de
iure divino. Disse che, sí come il papa è successor di Pietro, cosí li
vescovi sono successori degl'apostoli; disse apparir chiaro dalla lezzione
dell'Istoria Ecclesiastica e dalle epistole de' padri che tutti li
vescovi si davano conto l'uno all'altro delle cose che succedevano nelle loro
chiese e ne ricevevano l'approbazione dagl'altri, et il medesimo faceva il
pontefice di quello che a Roma occorreva. Aggionse che li patriarchi
principali, quando erano creati, mandavano agl'altri un'epistola circulare,
dando conto della loro ordinazione e della loro fede, e questo si vede
osservato ugualmente da' pontefici con gl'altri, come dagl'altri con loro; che
debilitandosi la potestà de' vescovi, si vien anco a debilitar quella del papa;
che la potestà dell'ordine e della giurisdizzione è data a' vescovi da Dio, e
dal pontefice non viene se non la divisione delle diocesi e l'applicazione
della persona. Disse che il vescovato non è vescovato senza giurisdizzione.
Allegò un'autorità d'Anacleto, che l'autorità episcopale si dà nell'ordinazione
con l'onzione del sacro crisma; che il vescovato è cosí ben ordine da Cristo
instituito, come il presbiterato; che tutti li pontefici sino Silvestro o
professatamente o incidentemente hanno detto che il vescovato è ordine che
viene da Dio immediate; che le parole dette agl'apostoli: «Quello che legarete
sopra la terra», danno potestà di giurisdizzione, la qual è necessariamente
conferita a' successori. Che Cristo instituí gl'apostoli con giurisdizzione, e
dagl'apostoli in qua la Chiesa perpetuamente gli ha con giurisdizzione
instituiti: adonque questo s'ha d'aver per tradizione apostolica, et essendo
definito che li dogmi della fede s'hanno per la Scrittura e per le tradizioni,
non si può negare che questo dell'instituzione episcopale non sia dogma di fede
e tanto piú, quanto sant'Epifanio e sant'Agostino pongono Aerio tra gl'eretici
per aver detto che li preti fossero uguali a' vescovi, che non potrebbe esser
se non fossero de iure divino.
Cinquantanove padri furono di questa
opinione e sarebbe forse il numero stato maggiore, quando molti non si fossero
trovati indisposti in quel tempo per un'influenza che generalmente regnava
allora de' catarri, et alcuni altri non avessero finto il medesimo impedimento
per non ritrovarsi in quella meschia e non offender alcuno in cosa trattata con
tanto affetto, e massime quelli che per aver parlato della residenza come
sentivano, si trovavano incorsi in indegnazione de' loro patroni; et ancora se
il cardinale Simoneta, quando gli parve che le cose passassero troppo inanzi,
non avesse fatto diversi ufficii, adoperando a questo Giovanni Antonio
Fachinetto, vescovo di Nicastro, e Sebastiano Vanzio, vescovo di Orvieto, li
quali con molta destrezza persuadendo che il tentativo de' spagnuoli era a fine
di sottrarsi dalla ubedienza del papa e che sarebbe stato un'apostasia dalla
Sede apostolica con gran vergogna e danno dell'Italia, la qual non ha altro
onore tra le nazioni oltramontane, se non quello che riceve dal ponteficato. Il
Cinquechiese disse che era giusta cosa che de tutti gl'ordini e gradi della
Chiesa si dicchiarasse quo iure fossero instituiti e da chi ricevessero
l'autorità; al qual aderirono alquanti altri et in particolare Pompeio
Picolomeni, vescovo di Tropeia, il qual facendo la medesima instanza, soggionse
che, quando si trattasse di tutti li gradi della Chiesa, dal maggior al minore,
e si dicchiarasse quo iure fossero, egli direbbe la sua sentenza anco
nella materia del vescovato se fosse concessa licenza da' legati. Di questo
numero furono alquanti che con brevi parole aderirono alla sentenza d'alcuni di
quelli che prima avevano parlato et altri si diffusero in amplificar e rivoltar
in diverse forme le medesime raggioni, che longo sarebbe far narrazione di
tutti quelli voti che mi sono venuti in mano.
Merita ben d'esser commemorato quello di
fra Giorgio Sincout, francescano, vescovo di Segna, il qual dopo aver aderito
al voto di Granata, soggionse che non averebbe mai creduto dover sentir a
metter in difficoltà se i vescovi sono instituiti e se hanno l'autorità da
Cristo; perché quando non l'abbiano dalla Maestà Sua Divina, meno il concilio,
che è un integrato de' vescovi l'ha da quella; esser necessario che una
congregazione, quantonque numerosissima, abbia l'autorità da chi l'hanno le
singular persone; che se li vescovi non sono da' Cristo, ma dagli uomini,
l'autorità di tutti insieme è umana, e chi ode dire li vescovi non sono
instituiti da Cristo, non poter restar di pensar che questa sinodo sia una
congregazione d'uomini profani, nella quale non preseda Cristo, ma una potestà
precaria dagl'uomini ricevuta, e tanti padri vanamente sarebbono con tanta
spesa et incommodo in Trento, potendo con maggior autorità trattar le stesse cose
quello che ha dato la potestà a' vescovi et al concilio di trattarle, e sarebbe
stata una general illusione di tutta la cristianità il proporlo come mezo non
solo megliore, ma unico e necessario per decidere le presenti controversie.
Aggionse che egli era stato cinque mesi in Trento con questa persuasione, che
mai nissun dovesse metter in difficoltà se il concilio ha l'autorità da Dio e
se può dire quello che il primo concilio gierosolimitano disse: «È parso allo
Spirito Santo et a noi». Che mai sarebbe venuto al concilio, quando non avesse
creduto che Cristo dovesse esser nel mezo d'esso; né poter alcun dire che dove
Cristo assiste, l'autorità da lui non sia; e quando alcun vescovo credesse in
contrario e riputasse l'autorità sua umana, nelle difficoltà passate averebbe
usato grand'ardire a dire anatema, e non piú tosto inviare il tutto a quello
che ha autorità maggiore; e quando l'autorità del concilio non fosse certa, il
giusto voleva che la prima cosa, quando del 1545 fu questo concilio congregato,
si fosse ventilata questa materia e deciso qual fosse l'autorità del concilio,
come ne' fori si costuma che nel primo ingresso della causa si disputa e si
decreta se il giudice è competente, acciò non sia opposto in fine alla sua
sentenzia nullità per defetto della potestà. I protestanti, che ogni occasione
pigliano per detraere et ingiuriare questa santa sinodo, non potranno averla
piú apposita, quanto che ella non sia certa della propria autorità. Concluse
che guardassero ben li padri quello che risolvevano in un punto che, risoluto
per la verità, stabilisce tutte le azzioni del concilio e, per il contrario,
sovverte ogni cosa.
Finirono tutti li padri di parlar in
questa materia il giorno 19 ottobre, eccetto il padre Lainez, generale de'
giesuiti, il qual dovendo esser l'ultimo, fu ordinato studiosamente che quel
giorno non si ritrovasse in congregazione, per dargli commodo di poterne
occupar una egli solo: del che per far intender la causa, convien ritornar
alquanto indietro e raccontar che quando da principio fu messo in campo la
questione, pensarono li legati che solamente si mirasse ad aggrandire
l'autorità de' vescovi con dargli maggior riputazione: ma non fu finita la
seconda congregazione che da' voti detti e dalle raggioni usate, s'avviddero
ben tardi di quanta importanza e consequenza fosse, poiché s'inferiva che le
chiavi non fussero a solo Pietro date e che il concilio fosse sopra il papa e
si facevano li vescovi uguali al pontefice, al qual non lasciavano se non
preeminenza sopra gl'altri; che la degnità cardinalizia, superiore a' vescovi,
era afatto levata e restavano puri preti o diaconi; che da quella
determinazione si passava per necessaria consequenza alla residenza e
s'annichilava la corte; che si levavano le prevenzioni e reservazioni, e la collazione
de' beneficii si tirava a' vescovi. Era notato che pochi giorni inanzi il
vescovo di Segovia aveva ricusato di ricever ad un beneficio della sua diocesi
un provisto da Roma; le qual cose sempre piú manifestamente si vedevano, quanto
alla giornata s'aggiongevano nuovi voti, e nuove raggioni. E per queste cause
li legati adoperarono gl'ufficii di sopra narrati, acciò maggior parte
d'italiani non s'aggiongesse a' spagnuoli; e con tutto ciò, se ben molto si
fece, non però tanto si poté, che quasi la metà non fosse entrata
nell'opinione; et i legati ne sostenevano reprensione appresso gl'altri
ponteficii, che gli incolpavano di non premeditare le cose che possono
occorrere, se non quando sopravengono li gran pregiudicii; che operavano a
caso, non admettevano li consegli et avvertimenti de' prudenti, che da
principio, udito il voto di Granata, raccordarono che si mettesse mano efficace
agl'ufficii, il che poi è convenuto fare, ma poco a tempo; che per loro
inavvertenza (se in alcuni non è stata malizia) sono poste in trattazione
materie di consequenze le piú importanti che potessero occorrere in concilio. E
s'aggionse che l'ambasciator Lansac, con molti negoziamenti fatti con diversi
prelati, s'era scoperto fautore e piú tosto promotore di quell'opinione, e si
considerava quanto aummento averebbe ricevuto alla venuta de' francesi che
s'aspettavano, e se ne parlava in modo che qualche parole giongevano anco alle
orecchie de' legati medesimi; li quali veduto il non preveduto pericolo, oltre
gl'ufficii fatti, consegliarono che, per esser la cosa tanto inanzi e scoperto
cosí gran numero, non era piú da pensar di divertir la questione, ma di trovar
temperamento per dar qualche sodisfazzione a' spagnuoli; e dopo molta consulta,
pensarono di formar il canone con queste parole: cioè che li vescovi hanno la
potestà dell'ordine da Dio et in quella sono superiori a' preti, non nominando
la giurisdizzione per non dar ombra, poiché con una tal forma di parole
s'inferiva poi che la giurisdizzione resti tutta al papa senza dirlo.
Con questa forma mandarono il padre Soto a
trattar co' prelati spagnuoli, non tanto con speranza di rimover alcuno di
loro, quanto per penetrare quello a che si potessero ridurre. Da Granata non
ebbe altro che audienza senza altra risposta; si travagliò anco con gl'altri,
né acquistò se non concetto di buon corteggiano di Roma, in luogo di quello in
che era prima di buono religioso. Pensavano appresso li ponteficii, per
acquistar alcuni de' titubanti e di quelli che incautamente erano passati
nell'opinione, ma nel rimanente divoti al pontefice, di far con loro ufficii
che, conosciuta la difficoltà, dicessero di rimetter al pontefice overo almeno
parlassero piú ritenutamente: e per far questo, a' doi sopranominati aggionsero
l'arcivescovo di Rosano et il vescovo di Ventimiglia. Et acciò quelli che
riconoscessero, avessero colore di ritirarsi con onore, ordinarono che il
Lainez facesse una piena lezzione di questa materia; la quale acciò fosse
attentamente udita e potesse far impressione, volsero, come s'è detto, che
essendo egli l'ultimo, non parlasse dopo gl'altri in fine di congregazione, ma
ne avesse una tutta intiera per lui; e fu il voto suo consultato tra tutti 4
essi giesuiti, adoperandosi sopra gl'altri il Caveglione; e per non tralasciare
un buon rimedio di diversione, occupando li prelati in altra materia.
Ora, ritornando alle cose occorse in
quella congregazione, de' quali dopo che ebbe votato per ultimo il general de'
servi e confermatosi co' sensi de' spagnuoli, il cardinale di Mantova fece un'ammonizione
a' padri deputati sopra l'Indice, mostrando quanto importante negozio avevano
per mano, poiché tutte le sovversioni nascono e le eresie si disseminano col
mezo de' libri; gl'essortò ad usar diligenza e far veder alla sinodo il fine
dell'opera presto; esser ben certo che è di molta fattura e longhezza, ma
considerare anco che tutti i padri contribuiranno fatica per aiuto de'
deputati; che si consumano le congregazioni in trattar questioni di nissuna
utilità e si va procrastinando in opera cosí necessaria; essortò in fine a far
opera che questo particolar dell'Indice si potesse definire nella sessione
seguente.
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