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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro primo
    • [Bolla di Leone]
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[Bolla di Leone]

Nella quale il pontefice inviando il principio delle sue parole a Cristo, il quale ha lasciato Pietro et i suoi successori per vicarii della sua Chiesa, lo eccita ad aiutarla in questi bisogni; e da Cristo voltatosi a san Pietro, lo prega per la cura ricevuta dal Salvatore voler attendere alle necessità della Chiesa romana, consecrata col suo sangue; et passando a san Paulo, lo prega del medesimo aiuto, aggiongendo che se ben egli ha giudicato l'eresie necessarie per prova de' buoni, è però cosa conveniente estinguerle nel principio; finalmente rivoltatosi a tutti i santi del cielo et alla Chiesa universale, gli prega ad interceder appresso Dio che la Chiesa sia purgata da tanta contagione. Passa poi a narrare come gli sia pervenuto a notizia et abbia veduto con gli occhi proprii essere rinovati molti errori già dannati, de' greci e boemi et altri, falsi, scandalosi, atti ad offender le pie orecchie et ingannar le menti semplici, seminati nella Germania, sempre amata da lui e da suoi predecessori, i quali, doppo la translazione dell'Imperio greco, hanno pigliato sempre defensori da quella nazione e da quei prencipi pii sono emanati molti decreti contra gli eretici, confermati anco dalli pontefici; perilché egli, non volendo piú tolerare simili errori, ma provedervi, vuol recitare alcuni d'essi. E qui recita 42 articoli che sono nelle materie del peccato originale, della penitenza e remissione de' peccati, della communione, delle indulgenze, della scommunica, della podestà del papa, dell'autorità de' concilii, delle buone opere, del libero arbitrio, del purgatorio, e della mendicità; i quali dice che respettivamente sono pestiferi, perniziosi, scandalosi, con offesa delle pie orecchie, contra la carità, contra la riverenza dovuta alla romana Chiesa, contra l'obedienza, che è nervo della disciplina ecclesiastica; per la quale causa, volendo procedere alla condannazione, ne ha fatto diligente essaminazione con gli cardinali e generali degli ordini regolari, con altri teologi e dottori dell'una e l'altra legge, e per tanto gli condanna e reproba respettivamente come eretici, scandalosi, falsi, in offesa delle pie orecchie et inganno delle pie menti e contrarii alla verità catolica, proibisce sotto pena di scommunica e d'innumerabili altre pene che nissuno ardisca tenerli, defenderli, predicarli o favorirli. E perché le medesime asserzioni si ritrovano nelli libri di Martino, però li danna, commandando sotto l'istesse pene che nissuno possa legerli o tenerli, ma debbiano esser abbrucciati cosí quelli che contengono le proposizioni predette, come qualunque altri. Quanto alla persona di esso Martino, dice che l'ha ammonito piú volte, citato e chiamato con promessa di salvocondotto e viatico, e che se fosse andato, non averebbe trovato tanti falli nella corte come diceva, e che esso pontefice gli averebbe insegnato che mai i papi suoi predecessori hanno errato nelle constituzioni loro. Ma perché egli ha sostenute le censure per un anno et ha ardito d'appellare al futuro concilio, cosa proibita da Pio e Giulio II sotto le pene degli eretici, poteva proceder alla condannazione senza altro; nondimeno, scordato delle ingiurie, ammonisce esso Martino e quelli che lo difendono che debbiano desister da quelli errori, cessar di predicare, et in termine di 60 giorni, sotto le medesime pene, aver rivocati tutti gli errori sudetti et abrusciati i libri: il che non facendo, gli dichiara notorii e pertinaci eretici. Appresso commanda a ciascuno, sotto le stesse pene, che non tenga alcun libro dell'istesso Martino, se ben non contenesse tali errori. Poi ordina che tutti debbano schifare cosí lui, come i suoi fautori; anzi commanda a ognuno che debbiano prenderli e presentarli personalmente, o almeno scacciarli dalle proprie terre e regioni; interdice tutti i luoghi dove anderanno; commanda che siano publicati per tutto e che la sua bolla debba essere letta in ogni luogo, scommunicando chi impedirà la publicazione; determina che si creda alli transonti, et ordina che la bolla sia publicata in Roma, Brandeburg, Misna e Manspergh.

Martino Lutero, avuto nova della dannazione della sua dottrina e libri, mandò fuori una scrittura facendo repetizione dell'appellazione interposta al concilio, replicandola per le stesse cause. Et oltre di ciò, perché il papa abbia proceduto contra uno non chiamato e non convinto, e non udita la controversia della dottrina, anteponendo le opinioni sue alle Sacre Lettere e non lasciando luogo alcuno al concilio, si offerí di mostrare tutte queste cose, pregando Cesare e tutti i magistrati che per diffesa dell'autorità del concilio ammettessero questa sua appellazione, non riputando che il decreto del papa oblighi persona alcuna, fin che la causa non sia legitimamente discussa nel concilio.

 

 




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