[Bolla di Leone]
Nella quale il pontefice inviando il
principio delle sue parole a Cristo, il quale ha lasciato Pietro et i suoi
successori per vicarii della sua Chiesa, lo eccita ad aiutarla in questi
bisogni; e da Cristo voltatosi a san Pietro, lo prega per la cura ricevuta dal
Salvatore voler attendere alle necessità della Chiesa romana, consecrata col
suo sangue; et passando a san Paulo, lo prega del medesimo aiuto, aggiongendo
che se ben egli ha giudicato l'eresie necessarie per prova de' buoni, è però
cosa conveniente estinguerle nel principio; finalmente rivoltatosi a tutti i
santi del cielo et alla Chiesa universale, gli prega ad interceder appresso Dio
che la Chiesa sia purgata da tanta contagione. Passa poi a narrare come gli sia
pervenuto a notizia et abbia veduto con gli occhi proprii essere rinovati molti
errori già dannati, de' greci e boemi et altri, falsi, scandalosi, atti ad
offender le pie orecchie et ingannar le menti semplici, seminati nella
Germania, sempre amata da lui e da suoi predecessori, i quali, doppo la
translazione dell'Imperio greco, hanno pigliato sempre defensori da quella
nazione e da quei prencipi pii sono emanati molti decreti contra gli eretici,
confermati anco dalli pontefici; perilché egli, non volendo piú tolerare simili
errori, ma provedervi, vuol recitare alcuni d'essi. E qui recita 42 articoli
che sono nelle materie del peccato originale, della penitenza e remissione de'
peccati, della communione, delle indulgenze, della scommunica, della podestà
del papa, dell'autorità de' concilii, delle buone opere, del libero arbitrio,
del purgatorio, e della mendicità; i quali dice che respettivamente sono
pestiferi, perniziosi, scandalosi, con offesa delle pie orecchie, contra la
carità, contra la riverenza dovuta alla romana Chiesa, contra l'obedienza, che
è nervo della disciplina ecclesiastica; per la quale causa, volendo procedere
alla condannazione, ne ha fatto diligente essaminazione con gli cardinali e
generali degli ordini regolari, con altri teologi e dottori dell'una e l'altra
legge, e per tanto gli condanna e reproba respettivamente come eretici, scandalosi,
falsi, in offesa delle pie orecchie et inganno delle pie menti e contrarii alla
verità catolica, proibisce sotto pena di scommunica e d'innumerabili altre pene
che nissuno ardisca tenerli, defenderli, predicarli o favorirli. E perché le
medesime asserzioni si ritrovano nelli libri di Martino, però li danna,
commandando sotto l'istesse pene che nissuno possa legerli o tenerli, ma
debbiano esser abbrucciati cosí quelli che contengono le proposizioni predette,
come qualunque altri. Quanto alla persona di esso Martino, dice che l'ha
ammonito piú volte, citato e chiamato con promessa di salvocondotto e viatico,
e che se fosse andato, non averebbe trovato tanti falli nella corte come
diceva, e che esso pontefice gli averebbe insegnato che mai i papi suoi predecessori
hanno errato nelle constituzioni loro. Ma perché egli ha sostenute le censure
per un anno et ha ardito d'appellare al futuro concilio, cosa proibita da Pio e
Giulio II sotto le pene degli eretici, poteva proceder alla condannazione senza
altro; nondimeno, scordato delle ingiurie, ammonisce esso Martino e quelli che
lo difendono che debbiano desister da quelli errori, cessar di predicare, et in
termine di 60 giorni, sotto le medesime pene, aver rivocati tutti gli errori
sudetti et abrusciati i libri: il che non facendo, gli dichiara notorii e
pertinaci eretici. Appresso commanda a ciascuno, sotto le stesse pene, che non
tenga alcun libro dell'istesso Martino, se ben non contenesse tali errori. Poi
ordina che tutti debbano schifare cosí lui, come i suoi fautori; anzi commanda
a ognuno che debbiano prenderli e presentarli personalmente, o almeno
scacciarli dalle proprie terre e regioni; interdice tutti i luoghi dove
anderanno; commanda che siano publicati per tutto e che la sua bolla debba
essere letta in ogni luogo, scommunicando chi impedirà la publicazione;
determina che si creda alli transonti, et ordina che la bolla sia publicata in
Roma, Brandeburg, Misna e Manspergh.
Martino Lutero, avuto nova della
dannazione della sua dottrina e libri, mandò fuori una scrittura facendo
repetizione dell'appellazione interposta al concilio, replicandola per le
stesse cause. Et oltre di ciò, perché il papa abbia proceduto contra uno non
chiamato e non convinto, e non udita la controversia della dottrina, anteponendo
le opinioni sue alle Sacre Lettere e non lasciando luogo alcuno al concilio, si
offerí di mostrare tutte queste cose, pregando Cesare e tutti i magistrati che
per diffesa dell'autorità del concilio ammettessero questa sua appellazione,
non riputando che il decreto del papa oblighi persona alcuna, fin che la causa
non sia legitimamente discussa nel concilio.
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