[Orazione del Lainez, che tutta la
potestà è del papa et i vescovi l'hanno da lui]
Ma la mattina venuta, il Lainez parlò piú
di due ore molto accommodatamente con gran veemenza e magistralmente;
l'argomento del discorso ebbe due parti: la prima consummò in provare la
potestà della giurisdizzione esser data tutta intieramente al pontefice romano
e nissun altro nella Chiesa averne scintilla, se non da lui; la seconda passò
in risoluzione di tutti gl'argomenti addotti nelle precedenti congregazioni in
contrario. La sostanza fu esser gran differenza, anzi contrarietà tra la Chiesa
di Cristo e le communità civili; imperoché queste prima hanno l'esser e poi si
formano il suo governo, e per ciò sono libere et in loro è originalmente e
fontalmente ogni giurisdizzione, la quale communicano a' magistrati senza
privarsene. Ma la Chiesa non si fece se stessa, né si formò il suo governo,
anzi Cristo, principe e monarca, prima statuí le leggi come dovesse esser
retta, poi la congregò e, come la divina Scrittura dice, l'edificò; onde nacque
serva senza alcuna sorte di libertà, potestà o giurisdizzione, ma in tutto e
per tutto soggetta. Per prova di questo allegò luoghi della Scrittura, dove
l'adunazione della Chiesa è comparata ad un seminato, ad una tratta di rete, ad
un edificio; aggionto quello dove si dice che Cristo è venuto nel mondo per
adunare i fedeli suoi, per congregar le sue pecorelle, per instruirle e con
dottrina e con essempio; poi soggionse, il primo e principal fondamento sopra
quale Cristo edificò la Chiesa fu Pietro e la successione sua, secondo le
parole che a lui disse: «Tu sei Pietro, e sopra questa pietra fabricherò la mia
Chiesa». La qual pietra, se ben alcuni de' padri hanno inteso Cristo stesso et
altri la fede in lui overo la confessione della fede, è nondimeno esposizione
piú catolica che s'intenda l'istesso Pietro, che in ebreo o siriaco è detto
Cipa, cioè pietra. E seguendo il discorso disse che, mentre Cristo visse in
carne mortale, governò la Chiesa con assoluto e monarchico governo, e dovendo
di questo secolo partire, lasciò l'istessa forma, constituendo suo vicario san
Pietro e li successori per amministrarlo, come era da lui stato essercitato,
dandogli piena e total potestà e giurisdizzione, et assogettandogli la Chiesa
nel modo che è soggetta a lui; il che provò di Pietro, perché a lui solo furono
date le chiavi del regno de' cieli, e per consequenza potestà d'introdurre et
escludere, che è la giurisdizzione, et a lui solo fu detto: »Pasci, cioè reggi
le mie pecorelle», animale che non ha parte né arbitrio alcuno nella propria
condotta: le qual cose, cioè d'esser clavigero e pastore, essendo perpetui ufficii,
conviene che siano conferiti in perpetua persona; cioè non nel primo solamente,
ma in tutta la successione. Onde il romano pontefice, incomminciando da san
Pietro sino alla fine del secolo, è vero et assoluto monarca con piena e total
potestà e giurisdizzione, e la Chiesa è a lui soggetta come fu a Cristo. E sí
come quando la Maestà Sua la reggeva, non si poteva dire che alcuno de' fedeli
avesse pur minima potestà o giurisdizzione, ma mera, pura e total soggezzione,
il medesimo s'ha da dire in tutta la perpetuità del tempo, e cosí s'ha da
intender che la Chiesa è un ovile, che è un regno e quello che san Cipriano
dice che il vescovato è uno e da ciascun vescovo n'è tenuta una parte, cioè che
in un solo pastore è collocata tutta la potestà indivisa, il quale la partecipa
e communica a' comministri secondo l'essigenza; et a questo risguardando, san
Cipriano, fece la Sede apostolica simile alla radice, al capo, al fonte, al
sole, con queste comparazioni mostrando che in quella sola è essenzialmente la
giurisdizzione e nelle altre per derivazione o participazione; e questo è il
senso delle parole, usitatissime dall'antichità, che Pietro et il pontefice
hanno la pienezza della potestà e gli altri sono a parte della cura. E che
questo sia solo et unico pastore si prova chiaramente per le parole di Cristo,
quando disse che egli ha altre pecorelle, quali adunerà, e si farà un ovile et
un pastore. Quel pastore, di che in quel luogo parla, non può esser esso
Cristo, perché non direbbe nel tempo futuro che si farà un pastore, essendo
egli già il pastore, adonque convien intendersi d'un altro unico pastore, che
dopo di lui doveva esser constituito, che non può esser se non Pietro con la
successione sua. E qui notò che il precetto di pascere il gregge non si trova
se non due volte nella Scrittura: una in singolare, detto da Cristo a Pietro:
«Pasci le mie pecorelle», l'altra in plurale da Pietro agl'altri: «Pascete il
gregge assegnatovi»; e se li vescovi da Cristo ricevessero qualche
giurisdizzione, quella sarebbe in tutti uguale e si leverrebbe la differenza
de' patriarchi, arcivescovi, vescovi, et in quell'autorità il papa non potrebbe
metter mano, minuendola o levandola tutta, come non può metterla nella potestà
dell'ordine, che è da Dio; però guardinsi, che mentre vogliono far
l'instituzione de' vescovi de iure divino, che non levino la ierarchia
et introduchino un'oligarchia o piú tosto un'anarchia. Aggionse anco che, acciò
Pietro ben reggesse la Chiesa, sí che le porte dell'inferno non prevalessero
contra di quella, Cristo vicino alla morte pregò efficacemente che la sua fede
non mancasse e gl'ordinò che confermasse i fratelli, cioè gli diede privilegio
d'infallibilità nel giudicio della fede, de' costumi e di tutta la religione,
obligando la Chiesa tutta ad ascoltarlo e star confermato in quello che fosse
determinato da lui. Concluse che questo era il fondamento della dottrina
cristiana e la pietra sopra qual la Chiesa era edificata; e passò a censurare
quelli che tenevano esser alcuna potestà ne' vescovi, ricevuta da Cristo,
perché sarebbe un levar il privilegio della Chiesa romana, che il pontefice sia
capo della Chiesa e vicario di Cristo. E si sa molto ben quello che dall'antico
canone Omnes sive patriarchæ è statuito, cioè chi leva raggioni delle
altre chiese commette ingiustizia, e chi leva li privilegii della Chiesa romana
è eretico. Aggionse esser una mera contradizzione voler che il pontefice sia
capo della Chiesa, voler che il governo sia monarchico, e poi dire che vi sia
potestà o giurisdizzione non derivata da lui, ricevuta da altri.
Nel risolver le raggioni in contrario
dette, discorse che, secondo l'ordine da Cristo instituito, gli apostoli
dovevano esser ordinati vescovi non da Cristo ma da Pietro, ricevendo da lui
solo la giurisdizzione, e cosí molti dottori catolici anco tengono che fosse
fatto; la qual opinione è molto probabile. Gl'altri però che dicono gl'apostoli
esser stati ordinati vescovi da Cristo, aggiongono che ciò facendo la Maestà
Sua prevenne l'ufficio di Pietro, facendo per quella volta quello che a lui
toccava, dando agl'apostoli esso quella potestà che dovevano aver da Pietro; a
punto come Dio pigliò dello spirito di Mosè e lo compartí a' 70 giudici; onde
tanto fu come se da Pietro fossero stati ordinati e da lui avessero ricevuto
tutta l'autorità, e però restarono soggetti a Pietro quanto a' luoghi e modi
d'essercitarla; e se non si legge che Pietro gli correggesse, ciò non esser
stato per difetto di potestà, ma perché essercitarono rettamente il loro
carico. E chi leggerà il celebrato e famoso canone Ita Dominus, si
certificherà che cosí debbe tener ogni uomo catolico, e cosí li vescovi, che
sono successori degl'apostoli, la ricevono tutta dal successor di Pietro. Et
avvertí anco che li vescovi non si dicono successori degl'apostoli, se non perché
in luogo loro sono, al modo che un vescovo succede a' suoi precessori, non che
da loro siano stati ordinati. Rispose poi a quelli che avevano inferito che
adonque il papa potrebbe lasciar di far vescovi e voler esso esser unico, esser
ordinazione divina che nella Chiesa vi sia moltitudine de vescovi coadiutori
del pontefice e però esser il pontefice ubligato a conservargli; ma esser gran
differenza a dire alcuna cosa de iure divino o veramente ordinata da
Dio. Le cose de iure divino instituite sono perpetue e da lui solo
dependono, et in universale et in particolare, in ogni tempo. Cosí de iure
divino è il battesmo e tutti gl'altri sacramenti, ne' quali Dio opera
singolarmente in ogni particolare: cosí è da Dio il romano pontefice. Perché,
quando uno muore, le chiavi non restano alla Chiesa, perché a lei non sono
date, e creato il nuovo, Dio immediatamente gliele dà; ma altrimenti avviene
nelle cose di ordinazione divina, dove da lui solamente vien l'universale, e li
particolari sono esseguiti dagl'uomini. Cosí dice san Paolo che li prencipi e
potestà temporali sono ordinati da Dio, cioè da lui solamente viene
l'universale precetto che vi siano i prencipi, ma però i particolari sono fatti
per leggi civili. A questo medesimo modo li vescovi sono per ordinazione
divina, e san Paolo disse che sono posti dallo Spirito Santo al reggimento
della Chiesa, ma non de iure divino; e però il papa non può levar
l'ordine universale del far vescovi nella Chiesa, perché è da Dio, ma ciascun
particolare essendo de iure canonico, per autorità ponteficia può esser
levato. Et all'opposizione fatta, che li vescovi sarebbono delegati e non
ordinarii, rispose che conveniva distinguere la giurisdizzione in fondamentale
e derivata; e la derivata, in delegata et ordinaria: nelle republiche civili la
fondamentale è nel prencipe, in tutti li magistrati è la derivata; né
gl'ordinarii sono differenti da' delegati, perché ricevino l'autorità da
diversi; anzi, dalla medesima sopranità derivano ugualmente tutti; ma la
differenzia sta perché gli ordinarii sono per legge perpetua e con successione,
gl'altri hanno autorità singolare o in persona, o anco in caso. Però sono li
vescovi ordinarii per esser instituiti, per legge ponteficia, degnità di
perpetua successione nella Chiesa. Soggionse che quei luoghi dove pare che da
Cristo sia data autorità alla Chiesa, come quello dove dice che è colonna e
base della verità, e quell'altro: «Chi non udirà la Chiesa sia tenuto per
etnico e publicano», tutti s'intendono per raggion del capo suo, che è il papa;
e per ciò non può fallar la Chiesa, perché non può fallar il capo, e cosí è
separato dalla Chiesa chi è separato dal papa, capo di quella. E per quello che
fu detto che né meno il concilio averebbe autorità da Cristo se nissun de'
vescovi l'avesse, rispose che ciò non era inconveniente, ma consequenza molto
chiara e necessaria; anzi, se ciascuno de' vescovi in concilio può fallare, non
si poteva negar che non potessero fallar anco tutti insieme, e se l'autorità
del concilio venisse dall'autorità de vescovi, mai si potrebbe chiamar generale
un concilio dove il numero de' presenti è incomparabilmente minore che
degl'assenti. Raccordò che in quel concilio medesimo, sotto Paolo III, furono
definiti principalissimi articoli, de' libri canonici, delle interpretazioni,
della parità delle tradizioni alla Scrittura in un numero di 50 e meno; che se
la moltitudine dasse autorità, tutto caderebbe. Ma sí come un numero de prelati
dal pontefice congregati per far concilio generale, sia quanto picciolo si
vuole, non d'altronde ha il nome e l'efficacia d'esser generale, se non perché
il papa gliela dà, cosí anco non ha d'altrove l'autorità; e però, se statuisce
precetti o anatemi, quelli non operano niente, se non in virtú della futura
confermazione del pontefice, né il concilio può astringere con gl'anatemi suoi,
se non quanto averanno forza dalla confermazione. E quando la sinodo dice
d'esser congregata in Spirito Santo, altro non vuol dire se non che li padri
siano congregati secondo l'intimazione del pontefice per trattar quello che,
venendo approbato dal pontefice, sarà decretato dallo Spirito Santo. Altrimenti
non si potrebbe dir che un decreto fosse fatto dallo Spirito Santo e potesse
per autorità ponteficia esser invalidato o avesse bisogno di maggior confermazione.
E però ne' concilii quanto si voglia numerosi, quando il papa è presente, egli
solo decreta, né il concilio vi mette del suo, se non che approva, cioè riceve;
et in tutti li tempi s'è detto solamente: «sacro approbante concilio»; anzi,
che nelle determinazioni di supremo peso, come fu la deposizione
dell'imperatore Federico II, nel concilio generale di Lione, Innocenzo IV,
sapientissimo pontefice, ricusò l'approbazione della sinodo, acciò non paresse
ad alcuno che fosse necessaria, e gli bastò dire: «sacro praesente concilio»,
né per questo si debbe dir superfluo il concilio, perché si congrega per
maggior inquisizione, per piú facile persuasione et anco per dar gusto alle
persone; e quando giudica, lo fa in virtú dell'autorità ponteficia, derivata
dalla divina datagli dal papa. E per queste raggioni i buoni dottori hanno
sottoposto l'autorità del concilio all'autorità del pontefice, come tutta
dependente da questa, senza la quale non ha né assistenza dello Spirito Santo,
né infallibilità, né potestà d'obligar la Chiesa, se non in quanto gli è
concessa da quel solo a chi Cristo ha detto: «Pasci le mie pecorelle».
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