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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro settimo
    • [Orazione del Lainez, che tutta la potestà è del papa et i vescovi l'hanno da lui]
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[Orazione del Lainez, che tutta la potestà è del papa et i vescovi l'hanno da lui]

Ma la mattina venuta, il Lainez parlò piú di due ore molto accommodatamente con gran veemenza e magistralmente; l'argomento del discorso ebbe due parti: la prima consummò in provare la potestà della giurisdizzione esser data tutta intieramente al pontefice romano e nissun altro nella Chiesa averne scintilla, se non da lui; la seconda passò in risoluzione di tutti gl'argomenti addotti nelle precedenti congregazioni in contrario. La sostanza fu esser gran differenza, anzi contrarietà tra la Chiesa di Cristo e le communità civili; imperoché queste prima hanno l'esser e poi si formano il suo governo, e per ciò sono libere et in loro è originalmente e fontalmente ogni giurisdizzione, la quale communicano a' magistrati senza privarsene. Ma la Chiesa non si fece se stessa, né si formò il suo governo, anzi Cristo, principe e monarca, prima statuí le leggi come dovesse esser retta, poi la congregò e, come la divina Scrittura dice, l'edificò; onde nacque serva senza alcuna sorte di libertà, potestà o giurisdizzione, ma in tutto e per tutto soggetta. Per prova di questo allegò luoghi della Scrittura, dove l'adunazione della Chiesa è comparata ad un seminato, ad una tratta di rete, ad un edificio; aggionto quello dove si dice che Cristo è venuto nel mondo per adunare i fedeli suoi, per congregar le sue pecorelle, per instruirle e con dottrina e con essempio; poi soggionse, il primo e principal fondamento sopra quale Cristo edificò la Chiesa fu Pietro e la successione sua, secondo le parole che a lui disse: «Tu sei Pietro, e sopra questa pietra fabricherò la mia Chiesa». La qual pietra, se ben alcuni de' padri hanno inteso Cristo stesso et altri la fede in lui overo la confessione della fede, è nondimeno esposizione piú catolica che s'intenda l'istesso Pietro, che in ebreo o siriaco è detto Cipa, cioè pietra. E seguendo il discorso disse che, mentre Cristo visse in carne mortale, governò la Chiesa con assoluto e monarchico governo, e dovendo di questo secolo partire, lasciò l'istessa forma, constituendo suo vicario san Pietro e li successori per amministrarlo, come era da lui stato essercitato, dandogli piena e total potestà e giurisdizzione, et assogettandogli la Chiesa nel modo che è soggetta a lui; il che provò di Pietro, perché a lui solo furono date le chiavi del regno de' cieli, e per consequenza potestà d'introdurre et escludere, che è la giurisdizzione, et a lui solo fu detto: »Pasci, cioè reggi le mie pecorelle», animale che non ha partearbitrio alcuno nella propria condotta: le qual cose, cioè d'esser clavigero e pastore, essendo perpetui ufficii, conviene che siano conferiti in perpetua persona; cioè non nel primo solamente, ma in tutta la successione. Onde il romano pontefice, incomminciando da san Pietro sino alla fine del secolo, è vero et assoluto monarca con piena e total potestà e giurisdizzione, e la Chiesa è a lui soggetta come fu a Cristo. E come quando la Maestà Sua la reggeva, non si poteva dire che alcuno de' fedeli avesse pur minima potestà o giurisdizzione, ma mera, pura e total soggezzione, il medesimo s'ha da dire in tutta la perpetuità del tempo, e cosí s'ha da intender che la Chiesa è un ovile, che è un regno e quello che san Cipriano dice che il vescovato è uno e da ciascun vescovo n'è tenuta una parte, cioè che in un solo pastore è collocata tutta la potestà indivisa, il quale la partecipa e communica a' comministri secondo l'essigenza; et a questo risguardando, san Cipriano, fece la Sede apostolica simile alla radice, al capo, al fonte, al sole, con queste comparazioni mostrando che in quella sola è essenzialmente la giurisdizzione e nelle altre per derivazione o participazione; e questo è il senso delle parole, usitatissime dall'antichità, che Pietro et il pontefice hanno la pienezza della potestà e gli altri sono a parte della cura. E che questo sia solo et unico pastore si prova chiaramente per le parole di Cristo, quando disse che egli ha altre pecorelle, quali adunerà, e si farà un ovile et un pastore. Quel pastore, di che in quel luogo parla, non può esser esso Cristo, perché non direbbe nel tempo futuro che si farà un pastore, essendo egli già il pastore, adonque convien intendersi d'un altro unico pastore, che dopo di lui doveva esser constituito, che non può esser se non Pietro con la successione sua. E qui notò che il precetto di pascere il gregge non si trova se non due volte nella Scrittura: una in singolare, detto da Cristo a Pietro: «Pasci le mie pecorelle», l'altra in plurale da Pietro agl'altri: «Pascete il gregge assegnatovi»; e se li vescovi da Cristo ricevessero qualche giurisdizzione, quella sarebbe in tutti uguale e si leverrebbe la differenza de' patriarchi, arcivescovi, vescovi, et in quell'autorità il papa non potrebbe metter mano, minuendola o levandola tutta, come non può metterla nella potestà dell'ordine, che è da Dio; però guardinsi, che mentre vogliono far l'instituzione de' vescovi de iure divino, che non levino la ierarchia et introduchino un'oligarchia o piú tosto un'anarchia. Aggionse anco che, acciò Pietro ben reggesse la Chiesa, che le porte dell'inferno non prevalessero contra di quella, Cristo vicino alla morte pregò efficacemente che la sua fede non mancasse e gl'ordinò che confermasse i fratelli, cioè gli diede privilegio d'infallibilità nel giudicio della fede, de' costumi e di tutta la religione, obligando la Chiesa tutta ad ascoltarlo e star confermato in quello che fosse determinato da lui. Concluse che questo era il fondamento della dottrina cristiana e la pietra sopra qual la Chiesa era edificata; e passò a censurare quelli che tenevano esser alcuna potestà ne' vescovi, ricevuta da Cristo, perché sarebbe un levar il privilegio della Chiesa romana, che il pontefice sia capo della Chiesa e vicario di Cristo. E si sa molto ben quello che dall'antico canone Omnes sive patriarchæ è statuito, cioè chi leva raggioni delle altre chiese commette ingiustizia, e chi leva li privilegii della Chiesa romana è eretico. Aggionse esser una mera contradizzione voler che il pontefice sia capo della Chiesa, voler che il governo sia monarchico, e poi dire che vi sia potestà o giurisdizzione non derivata da lui, ricevuta da altri.

Nel risolver le raggioni in contrario dette, discorse che, secondo l'ordine da Cristo instituito, gli apostoli dovevano esser ordinati vescovi non da Cristo ma da Pietro, ricevendo da lui solo la giurisdizzione, e cosí molti dottori catolici anco tengono che fosse fatto; la qual opinione è molto probabile. Gl'altri però che dicono gl'apostoli esser stati ordinati vescovi da Cristo, aggiongono che ciò facendo la Maestà Sua prevenne l'ufficio di Pietro, facendo per quella volta quello che a lui toccava, dando agl'apostoli esso quella potestà che dovevano aver da Pietro; a punto come Dio pigliò dello spirito di Mosè e lo compartí a' 70 giudici; onde tanto fu come se da Pietro fossero stati ordinati e da lui avessero ricevuto tutta l'autorità, e però restarono soggetti a Pietro quanto a' luoghi e modi d'essercitarla; e se non si legge che Pietro gli correggesse, ciò non esser stato per difetto di potestà, ma perché essercitarono rettamente il loro carico. E chi leggerà il celebrato e famoso canone Ita Dominus, si certificherà che cosí debbe tener ogni uomo catolico, e cosí li vescovi, che sono successori degl'apostoli, la ricevono tutta dal successor di Pietro. Et avvertí anco che li vescovi non si dicono successori degl'apostoli, se non perché in luogo loro sono, al modo che un vescovo succede a' suoi precessori, non che da loro siano stati ordinati. Rispose poi a quelli che avevano inferito che adonque il papa potrebbe lasciar di far vescovi e voler esso esser unico, esser ordinazione divina che nella Chiesa vi sia moltitudine de vescovi coadiutori del pontefice e però esser il pontefice ubligato a conservargli; ma esser gran differenza a dire alcuna cosa de iure divino o veramente ordinata da Dio. Le cose de iure divino instituite sono perpetue e da lui solo dependono, et in universale et in particolare, in ogni tempo. Cosí de iure divino è il battesmo e tutti gl'altri sacramenti, ne' quali Dio opera singolarmente in ogni particolare: cosí è da Dio il romano pontefice. Perché, quando uno muore, le chiavi non restano alla Chiesa, perché a lei non sono date, e creato il nuovo, Dio immediatamente gliele ; ma altrimenti avviene nelle cose di ordinazione divina, dove da lui solamente vien l'universale, e li particolari sono esseguiti dagl'uomini. Cosí dice san Paolo che li prencipi e potestà temporali sono ordinati da Dio, cioè da lui solamente viene l'universale precetto che vi siano i prencipi, ma però i particolari sono fatti per leggi civili. A questo medesimo modo li vescovi sono per ordinazione divina, e san Paolo disse che sono posti dallo Spirito Santo al reggimento della Chiesa, ma non de iure divino; e però il papa non può levar l'ordine universale del far vescovi nella Chiesa, perché è da Dio, ma ciascun particolare essendo de iure canonico, per autorità ponteficia può esser levato. Et all'opposizione fatta, che li vescovi sarebbono delegati e non ordinarii, rispose che conveniva distinguere la giurisdizzione in fondamentale e derivata; e la derivata, in delegata et ordinaria: nelle republiche civili la fondamentale è nel prencipe, in tutti li magistrati è la derivata; né gl'ordinarii sono differenti da' delegati, perché ricevino l'autorità da diversi; anzi, dalla medesima sopranità derivano ugualmente tutti; ma la differenzia sta perché gli ordinarii sono per legge perpetua e con successione, gl'altri hanno autorità singolare o in persona, o anco in caso. Però sono li vescovi ordinarii per esser instituiti, per legge ponteficia, degnità di perpetua successione nella Chiesa. Soggionse che quei luoghi dove pare che da Cristo sia data autorità alla Chiesa, come quello dove dice che è colonna e base della verità, e quell'altro: «Chi non udirà la Chiesa sia tenuto per etnico e publicano», tutti s'intendono per raggion del capo suo, che è il papa; e per ciò non può fallar la Chiesa, perché non può fallar il capo, e cosí è separato dalla Chiesa chi è separato dal papa, capo di quella. E per quello che fu detto che né meno il concilio averebbe autorità da Cristo se nissun de' vescovi l'avesse, rispose che ciò non era inconveniente, ma consequenza molto chiara e necessaria; anzi, se ciascuno de' vescovi in concilio può fallare, non si poteva negar che non potessero fallar anco tutti insieme, e se l'autorità del concilio venisse dall'autorità de vescovi, mai si potrebbe chiamar generale un concilio dove il numero de' presenti è incomparabilmente minore che degl'assenti. Raccordò che in quel concilio medesimo, sotto Paolo III, furono definiti principalissimi articoli, de' libri canonici, delle interpretazioni, della parità delle tradizioni alla Scrittura in un numero di 50 e meno; che se la moltitudine dasse autorità, tutto caderebbe. Ma come un numero de prelati dal pontefice congregati per far concilio generale, sia quanto picciolo si vuole, non d'altronde ha il nome e l'efficacia d'esser generale, se non perché il papa gliela , cosí anco non ha d'altrove l'autorità; e però, se statuisce precetti o anatemi, quelli non operano niente, se non in virtú della futura confermazione del pontefice, né il concilio può astringere con gl'anatemi suoi, se non quanto averanno forza dalla confermazione. E quando la sinodo dice d'esser congregata in Spirito Santo, altro non vuol dire se non che li padri siano congregati secondo l'intimazione del pontefice per trattar quello che, venendo approbato dal pontefice, sarà decretato dallo Spirito Santo. Altrimenti non si potrebbe dir che un decreto fosse fatto dallo Spirito Santo e potesse per autorità ponteficia esser invalidato o avesse bisogno di maggior confermazione. E però ne' concilii quanto si voglia numerosi, quando il papa è presente, egli solo decreta, né il concilio vi mette del suo, se non che approva, cioè riceve; et in tutti li tempi s'è detto solamente: «sacro approbante concilio»; anzi, che nelle determinazioni di supremo peso, come fu la deposizione dell'imperatore Federico II, nel concilio generale di Lione, Innocenzo IV, sapientissimo pontefice, ricusò l'approbazione della sinodo, acciò non paresse ad alcuno che fosse necessaria, e gli bastò dire: «sacro praesente concilio», né per questo si debbe dir superfluo il concilio, perché si congrega per maggior inquisizione, per piú facile persuasione et anco per dar gusto alle persone; e quando giudica, lo fa in virtú dell'autorità ponteficia, derivata dalla divina datagli dal papa. E per queste raggioni i buoni dottori hanno sottoposto l'autorità del concilio all'autorità del pontefice, come tutta dependente da questa, senza la quale non ha né assistenza dello Spirito Santo, né infallibilità, né potestà d'obligar la Chiesa, se non in quanto gli è concessa da quel solo a chi Cristo ha detto: «Pasci le mie pecorelle».

 

 




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