[Si fanno provisioni per raffrenar il
concilio]
Ma oltre di questo fu giudicato in Roma
buon rimedio che li legati troncassero il tanto ardire de' prelati usando
l'autorità e superiorità, piú di quello che per il passato avevano fatto. Et in
Trento era stimato buon rimedio che fossero tenuti uniti, ben edificati e
sodisfatti li prelati amorevoli; perché, se ben crescessero i voti della parte
contraria, essi sempre avanzerebbono di numero e sariano patroni delle
risoluzioni, e senza rispetto si caminasse inanzi all'espedizione per finir il
concilio, o per sospenderlo, o per trasferirlo. Scrissero anco e fecero scriver
da molti de' prelati ponteficii agl'amici e patroni loro in Roma che miglior
risoluzione o provisione non si potrebbe far, quanto porger qualche occasione,
la qual agevolmente si potrebbe trovare, che la suspensione fosse ricercata da
qualche prencipe, non lasciando passar la prima che si presentasse; e per
questo effetto dimandavano da Roma diversi brevi in materia di translazione,
sospensione et altri modi per valersene secondo l'occasione. Consegliarono anco
il pontefice che si transferisse personalmente a Bologna: imperoché, oltre il
ricever piú frequenti e freschi avisi e poter in un momento far le provisioni
occorenti e necessarie, averebbe colorata ragione, con ogni minima occasione,
di trasferir il concilio in quella città, overo di sospenderlo, avvertendo che,
sí come essi di questo non communicavano cosa alcuna col cardinale Madruccio,
cosí in Roma non si lasciasse penetrar all'orecchie del cardinale di Trento suo
zio, li quali per molti rispetti e particolari interessi si poteva esser certo dover
far ogni ufficio acciò che non si levasse di Trento.
E per fermar il bollor concitato nella
controversia dell'instituzione de' vescovi, anzi acciò non crescesse per tanti
preparati a contradir a Lainez, fermarono per molti giorni di far
congregazione: ma l'ozio fomentava le opinioni, né d'altro si sentiva parlar in
ogni canto, e li spagnuoli si trovavano spesso insieme con loro aderenti sopra
questa trattazione, e quasi ogni giorno 3 o 4 di loro andavano a ritrovar
alcuno de' legati per rinovar l'instanza. Et un giorno, avendo il vescovo di
Gadici con altri quattro, dopo la proposta, aggionto che, sí come confessavano
che la giurisdizzione appartenesse al papa, cosí si contentavano che si
aggiongesse nel canone, credettero li legati che i spagnuoli, riconosciuti,
volessero confessare tutta la giurisdizzione esser nel papa e da lui derivare;
ma quando furono a voler maggior decchiarazione, disse quel vescovo che, sí
come un principe instituisce nella città il giudice di prima instanza et il
giudice d'appellazione, il qual, se ben è superiore, non può però levar
l'autorità dell'altro, né occupargli li casi a lui spettanti, cosí Cristo nella
Chiesa aveva instituito tutti li vescovi et il pontefice superiore, nel qual
era la suprema giurisdizzione ecclesiastica, ma non sí che gl'altri non
avessero la propria dependente da solo Cristo. Il Cinquechiese si doleva con
ciascuno che si perdesse tanto tempo senza far congregazione, il quale
s'averebbe potuto spender utilmente, se li legati a studio, secondo il loro solito,
non lo lasciassero perdere, per dar li capi della riforma solo l'ultimo giorno,
a fine di non lasciar spacio che si possa far considerazione, né meno parlargli
sopra. Ma li legati non stavano in ozio essi, pensando tuttavia di trovar
qualche forma a quel canone che potesse esser ricevuta, e mutandole anco piú
d'una volta al giorno; le qual formule andando attorno e mostrando la
titubazione de' legati, non solo li spagnuoli prendevano animo di perseverar
nella loro opinione, ma di parlar anco con maggior libertà; tanto che in
congresso di gran numero di prelati, Segovia non ebbe rispetto di dire che una
parola voleva esser causa della ruina della Chiesa.
Erano passati 7 giorni senza alcuna
congregazione, quando il dí 30 ottobre, essendo li legati in consultazione,
come negl'altri giorni inanzi, tutti li spagnuoli insieme con alcuni altri
ricercarono audienza e fecero di nuovo instanza che si definisse l'instituzione
e superiorità de vescovi de iure divino; aggiongendo che, se non si
facesse, si mancherebbe di quello che è giusto e necessario in questi tempi per
dilucidazione della verità catolica, e protestando di non intervenire piú né in
congregazione, né in sessione. Il che udito, molti prelati italiani concertati
insieme in casa del cardinale Simoneta, nella camera di Giulio Simoneta,
vescovo di Pescara, la matina seguente si presentarono a' legati, 3 patriarchi,
6 arcivescovi et 11 vescovi, con ricchiesta che nel canone non fosse posto la
superiorità esser de iure divino, essendo cosa ambiziosa [et] indecente
che essi medesimi facessero sentenza in propria causa, e perché la maggior
parte non la volevano, e che l'instituzione non fosse decchiarata de iure
divino per non dar occasione di parlar della potestà del pontefice, la qual
volevano e dovevano confermare. Il che publicato per Trento, diede materia di
parlare che li medesimi legati avessero procurata questa instanza; onde, dopo
il vespero, se ne ridusse maggior numero in sacristia a favore dell'opinione
spagnuola, et altri in casa del vescovo di Modena per la medesima, e con
l'arcivescovo d'Otranto e con quelli di Taranto e di Rosano e col vescovo di
Parma si fecero 4 altre ridozzioni de' ponteficii; et il tumolto passò tanto
inanzi, che li legati ebbero dubio di qualche scandalo e giudicarono necessario
non pensare a poter far la sessione al tempo dissegnato, ma inanzi che venir
alla risoluzione di quell'articolo, che era causa di tanto moto, far parlar
sopra li capi della dottrina e proponer qualche cosa di riforma, lamentandosi
spesso Simoneta che era poco aiutato da Mantova e da Seripando, che se ben
facevano qualche opera, non potevano però a fatto occultar il loro intrinseco,
che inclinava agl'avversarii.
|