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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro settimo
    • [Si fanno provisioni per raffrenar il concilio]
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[Si fanno provisioni per raffrenar il concilio]

Ma oltre di questo fu giudicato in Roma buon rimedio che li legati troncassero il tanto ardire de' prelati usando l'autorità e superiorità, piú di quello che per il passato avevano fatto. Et in Trento era stimato buon rimedio che fossero tenuti uniti, ben edificati e sodisfatti li prelati amorevoli; perché, se ben crescessero i voti della parte contraria, essi sempre avanzerebbono di numero e sariano patroni delle risoluzioni, e senza rispetto si caminasse inanzi all'espedizione per finir il concilio, o per sospenderlo, o per trasferirlo. Scrissero anco e fecero scriver da molti de' prelati ponteficii agl'amici e patroni loro in Roma che miglior risoluzione o provisione non si potrebbe far, quanto porger qualche occasione, la qual agevolmente si potrebbe trovare, che la suspensione fosse ricercata da qualche prencipe, non lasciando passar la prima che si presentasse; e per questo effetto dimandavano da Roma diversi brevi in materia di translazione, sospensione et altri modi per valersene secondo l'occasione. Consegliarono anco il pontefice che si transferisse personalmente a Bologna: imperoché, oltre il ricever piú frequenti e freschi avisi e poter in un momento far le provisioni occorenti e necessarie, averebbe colorata ragione, con ogni minima occasione, di trasferir il concilio in quella città, overo di sospenderlo, avvertendo che, come essi di questo non communicavano cosa alcuna col cardinale Madruccio, cosí in Roma non si lasciasse penetrar all'orecchie del cardinale di Trento suo zio, li quali per molti rispetti e particolari interessi si poteva esser certo dover far ogni ufficio acciò che non si levasse di Trento.

E per fermar il bollor concitato nella controversia dell'instituzione de' vescovi, anzi acciò non crescesse per tanti preparati a contradir a Lainez, fermarono per molti giorni di far congregazione: ma l'ozio fomentava le opinioni, né d'altro si sentiva parlar in ogni canto, e li spagnuoli si trovavano spesso insieme con loro aderenti sopra questa trattazione, e quasi ogni giorno 3 o 4 di loro andavano a ritrovar alcuno de' legati per rinovar l'instanza. Et un giorno, avendo il vescovo di Gadici con altri quattro, dopo la proposta, aggionto che, come confessavano che la giurisdizzione appartenesse al papa, cosí si contentavano che si aggiongesse nel canone, credettero li legati che i spagnuoli, riconosciuti, volessero confessare tutta la giurisdizzione esser nel papa e da lui derivare; ma quando furono a voler maggior decchiarazione, disse quel vescovo che, come un principe instituisce nella città il giudice di prima instanza et il giudice d'appellazione, il qual, se ben è superiore, non può però levar l'autorità dell'altro, né occupargli li casi a lui spettanti, cosí Cristo nella Chiesa aveva instituito tutti li vescovi et il pontefice superiore, nel qual era la suprema giurisdizzione ecclesiastica, ma non che gl'altri non avessero la propria dependente da solo Cristo. Il Cinquechiese si doleva con ciascuno che si perdesse tanto tempo senza far congregazione, il quale s'averebbe potuto spender utilmente, se li legati a studio, secondo il loro solito, non lo lasciassero perdere, per dar li capi della riforma solo l'ultimo giorno, a fine di non lasciar spacio che si possa far considerazione, né meno parlargli sopra. Ma li legati non stavano in ozio essi, pensando tuttavia di trovar qualche forma a quel canone che potesse esser ricevuta, e mutandole anco piú d'una volta al giorno; le qual formule andando attorno e mostrando la titubazione de' legati, non solo li spagnuoli prendevano animo di perseverar nella loro opinione, ma di parlar anco con maggior libertà; tanto che in congresso di gran numero di prelati, Segovia non ebbe rispetto di dire che una parola voleva esser causa della ruina della Chiesa.

Erano passati 7 giorni senza alcuna congregazione, quando il 30 ottobre, essendo li legati in consultazione, come negl'altri giorni inanzi, tutti li spagnuoli insieme con alcuni altri ricercarono audienza e fecero di nuovo instanza che si definisse l'instituzione e superiorità de vescovi de iure divino; aggiongendo che, se non si facesse, si mancherebbe di quello che è giusto e necessario in questi tempi per dilucidazione della verità catolica, e protestando di non intervenire piú né in congregazione, né in sessione. Il che udito, molti prelati italiani concertati insieme in casa del cardinale Simoneta, nella camera di Giulio Simoneta, vescovo di Pescara, la matina seguente si presentarono a' legati, 3 patriarchi, 6 arcivescovi et 11 vescovi, con ricchiesta che nel canone non fosse posto la superiorità esser de iure divino, essendo cosa ambiziosa [et] indecente che essi medesimi facessero sentenza in propria causa, e perché la maggior parte non la volevano, e che l'instituzione non fosse decchiarata de iure divino per non dar occasione di parlar della potestà del pontefice, la qual volevano e dovevano confermare. Il che publicato per Trento, diede materia di parlare che li medesimi legati avessero procurata questa instanza; onde, dopo il vespero, se ne ridusse maggior numero in sacristia a favore dell'opinione spagnuola, et altri in casa del vescovo di Modena per la medesima, e con l'arcivescovo d'Otranto e con quelli di Taranto e di Rosano e col vescovo di Parma si fecero 4 altre ridozzioni de' ponteficii; et il tumolto passò tanto inanzi, che li legati ebbero dubio di qualche scandalo e giudicarono necessario non pensare a poter far la sessione al tempo dissegnato, ma inanzi che venir alla risoluzione di quell'articolo, che era causa di tanto moto, far parlar sopra li capi della dottrina e proponer qualche cosa di riforma, lamentandosi spesso Simoneta che era poco aiutato da Mantova e da Seripando, che se ben facevano qualche opera, non potevano però a fatto occultar il loro intrinseco, che inclinava agl'avversarii.

 

 




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