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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro settimo
    • [Lorena giunge in Trento]
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[Lorena giunge in Trento]

Essendo il cardinale di Lorena entrato in Italia, il pontefice non poté negar a' francesi di fare che fosse aspettato, e scrisse a Trento che la sessione fosse prolongata, non però tanto che uscisse fuori il mese novembre; et avendo li legati aviso che il cardinale si trovava sul lago di Garda, nella congregazione de' 9 novembre propose il cardinal di Mantova di differir la sessione sino a' 26 del medesimo mese. Il che non sapendo Lorena, mandò inanzi Carlo de' Grassi, vescovo di Montefiascone, e scrisse anco lettere a' legati che, piacendo loro aspettarlo, sarebbe in pochi giorni in Trento; et essi risolsero di non far piú congregazione sino alla venuta sua per dargli maggior sodisfazzione. Riferí il vescovo suddetto che quello cardinale in tutti li suoi raggionamenti mostrava andar con buona intenzione, volendo anco mandar a Sua Santità li voti suoi, acciò gli potesse veder; che li prelati di sua compagnia andavano per servizio di Dio e con buon animo verso la Sede apostolica, e sperava la gionta de' francesi dover causare concordia nel concilio e dover esser causa di far attender fruttuosamente alla riforma, senza aver rispetto alcuno agl'interessi proprii; et altre tal cose, le quali se ben testificate dal Grassi e confermate dall'ambasciator Ferrier, però da' ponteficii erano credute per solo complemento, ma non ad effetto di tralasciar d'usare tutti li rimedii dissegnati et in Trento et in Roma.

Entrò il cardinale in Trento, incontrato un miglio discosto dal cardinale Madruccio con molti prelati, et alla porta della città da tutti li legati, dalla qual sino alla casa del suo allogiamento fu accompagnato. Cavalcò in mezo de' cardinali di Mantova e Seripando: il qual onore credettero esser necessario fargli, poiché il medesimo gli fu fatto da Monte e Santa Croce, allora legati in Bologna, nel tempo che il concilio era in quella città et egli andava a Roma a pigliar il capello. Egli la sera andò a visitar il cardinale di Mantova, et il giorno seguente, alla audienza de' legati, insieme con gl'ambasciatori Lansac e Ferrier, presentò le lettere del re dirette al concilio e vi fece sopra un longo raggionamento, mostrandosi inclinato al servizio della Sede apostolica, promettendo di participar tutti li dissegni suoi col pontefice e con essi legati, né voler ricercare cosa alcuna, se non con buona satisfazzione di Sua Santità; mostrò di non voler esser curioso in questioni inutili, soggiongendo che le due controversie dell'instituzione de' vescovi e residenza, de' quali si raggionava in ogni parte, come avevano diminuito dell'autorità del concilio, cosí avevano anco levato assai della buona opinione che ne aveva il mondo. E quanto a sé, disse esser piú inclinato all'opinione che le afferma de iure divino; nondimeno, quando anco fossero certissime, non vedeva necessità, né opportunità di venirne alla decchiarazione; che il fine del concilio doveva esser di riunir alla Chiesa quelli che si erano separati; che egli era stato a parlamento co' protestanti e non gl'aveva trovati tanto differenti che non si potessero accommodare, quando si levassero gl'abusi, e nissun tempo esser piú opportuno d'acquistargli di quello, sapendosi certo che non furono mai tanto uniti all'imperatore quanto allora. Che molti d'essi, e specificamente il duca di Vittemberg, erano di volontà d'intervenir al concilio; ma era necessario dargli sodisfazzione con un principio di riforma, nel che il servizio di Dio ricercava che Sue Signorie Illustrissime s'occupassero; narrò il desiderio del re che si provedesse al bisogno de' suoi popoli con opportuni rimedii, poiché come al presente s'aveva guerra con gl'ugonotti, quando non si rimediasse agl'abusi, s'averebbe avuto che fare maggiormente co' catolici, l'ubedienza de' quali si sarebbe perduta. Che queste erano le cause perché la Maestà Sua l'aveva mandato al concilio. Si dolse che di tutta la somma del danaro promesso per imprestito dal pontefice al re, non s'era potuto valer piú che di 25000 scudi, sborsati dal cardinale di Ferrara, per le condizioni poste ne' mandati, che non si potessero essiger se non sotto certe condizioni di levar le pragmatiche di tutti li parlamenti del regno, cosa di tanta difficoltà che levava la speranza di potersi prevalere pur d'un denaro. In fine disse che aveva portato nuove instruzzioni agl'ambasciatori, e però, quando avesse parlato alla sinodo nella prima congregazione per nome del re, all'inanzi non averebbe atteso ad altro che a dire i suoi voti liberamente come arcivescovo, non volendosi intromettere nelle cose del regno, ma lasciarne la cura a loro.

Fu risposto da' legati senza altra consultazione tra loro, secondo che a ciascuno meglio parve, lodando la sua pietà e devozione verso la Sede apostolica et offerendosi essi ancora di communicar con lui tutti i negozii. Gli narrarono la grandissima pazienza da loro usata in tolerar la libertà, anzi licenza del dire de' prelati, [acciò non fosse pigliata occasione di dolersi che il concilio non fosse libero; che li inconvenienti occorsi non erano nati dalle proposte fatte, ma per la licenza presa dalli prelati], che erano andati vagando con movere nuove questioni. Imperò, essendo ora Sua Signoria Illustrissima unita con essi loro, non dubitavano col suo aviso poter levar quella tanta licenza e componer anco col suo aiuto e mezo le differenze nate, e nel proceder all'avvenire caminar con tanto decoro che il mondo ne fosse per ricever altretanta edificazione, quanto di non buona opinione aveva concetto. Che de' protestanti era troppo nota la mala volontà, e quando si mostrano non alieni dalla concordia, allora a punto s'ha da dubitare che machinino nuove occasioni di maggior discordia. Esser cosa certa che hanno dimandato concilio, pensando che gli dovesse esser negato, e nel medesimo tempo che lo ricchiedevano, con ogni sollecitudine vi mettevano impedimenti, et al presente quelli che sono ridotti in Francfort fanno ogni opera che non procedi inanzi e si faticano appresso l'imperatore per interporgli qualche impedimento. Che odiano il nome del concilio, non meno che del pontefice, né per il passato se ne sono valuti, se non a fine di coprire e scusare la loro apostasia dalla Sede apostolica: però non conveniva aver alcuna buona speranza della loro conversione, ma attender solo a conservar li buoni catolici nella fede. Commendarono la pietà e la buona intenzione del re, e narrarono il desiderio del pontefice per la riformazione della Chiesa e quanto egli aveva operato per riformazione della corte, senza aver risguardo che si diminuissero le proprie entrate e che al concilio ha sempre scritto instando per la riforma; alla quale essi legati ancora erano grandemente inclinati e disposti, ma venivano impediti per le contenzioni de' prelati, che consummavano quasi tutto 'l tempo. Che se in Francia vi era pericolo di perder l'ubedienza de' catolici, quella era materia da trattare con Sua Santità. Quanto all'imprestito, dissero esser cosí grande la paterna carità del pontefice verso il re et il regno, che conveniva tener per certo le condizioni da lui poste nell'imprestito esservi framesse per pura necessità. Et essendo passati tra loro varii complementi, conclusero che il lunedí sarebbe andato nella congregazione generale per espor a' padri la caggione della sua venuta e per legger a loro anco le lettere del re.

 

 




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