[Lorena in congregazione]
Il 22 del mese di novembre fu risoluto il
cardinale d'entrar il dí seguente in congregazione; si concertò che si sarebbono
lette le lettere del re e che egli averebbe fatto un raggionamento; ma oltre
questo propose il cardinale che un altro sarebbe fatto anco dall'ambasciatore
Ferriero. A questo non acconsentivano li legati: la causa vera era perché
quando una volta fosse permesso, averebbono voluto et essi e tutti
gl'ambasciatori parlare e proponere, con pericolo di metter maggior confusione;
ma tacendo questo, dissero che in quel concilio, né in quel tempo, né sotto
Paolo e Giulio, s'era mai permesso che ambasciatori parlassero in
congregazione, se non il giorno che erano ricevuti. Però non senza il consenso
del pontefice non erano per acconsentire a tal novità. Ma Lorena rispose che
essendo nuova lettera del re e nuova instruzzione, si può dir nuova
ambasciaria, e quella sarà essa ancora come un primo ingresso; e dopo molte
risposte e repliche, avendo Lorena datogli parola che non ricercherebbono piú
di parlare oltra quella fiata, per dargli sodisfazzione et acciò non prendesse
occasione di mostrar aperto disgusto, si contentarono.
Adonque il dí seguente, adunata la
congregazione, fu letta la lettera del re con soprascrizzione: «A' santissimi e
reverendissimi padri congregati in Trento per celebrar il santo concilio». In
quella diceva che essendo piaciuto a Dio chiamarlo al regno, gli è anco
piaciuto affligere quello di molte guerre: ma però ha aperto ad esso gl'occhi,
sí che, quantonque giovane, ha conosciuto la principal occasione de' mali esser
la diversità delle openioni nel fatto della religione; per la qual divina
illuminazione dal principio del suo regno fece instanza per la celebrazione del
concilio, nel quale essi allora erano congregati, sapendo che in quelli
gl'antichi padri hanno trovato li piú proprii rimedii a simili infermità, et
essergli dispiaciuto che, sí come è stato il primo a procurare cosí buon'opera,
non abbia potuto inviare li suoi prelati tra li primi; del che essendo le cause
notorie, stimava d'esserne a bastanza iscusato, e maggiormente vedendo arrivato
nella loro compagnia il cardinale di Lorena accompagnato da altri prelati. Che
due cause principali l'hanno persuaso a mandar il detto cardinale: la prima, la
grande e frequente instanza da lui fatta d'aver licenza per satisfar al suo
debito per il luogo che tiene nella Chiesa; la seconda, che essendo egli del
conseglio regio secreto e dalla gioventú nudrito negl'importanti affari di
Stato del regno, sa meglio d'ogni altro le necessità di quello e dove siano
nate le occasioni; onde potrà ancora farne a loro la rilazione conforme al
carico che gli è stato dato e ricchiederne per nome regio li rimedii che
s'aspettano dalla loro prudenza et amor paterno, cosí per tranquillità del
regno, come per salute universale di tutta cristianità. Soggionse che gli
supplicava voler metter mano a questo con la solita sincerità, acciò si venga
ad una santa riforma e che si vegga rilucere l'antico splendore della Chiesa
catolica con unione di tutto 'l cristianesmo in una religione; che sarà opera
degna di loro, desiderata da tutto 'l mondo, che ne averanno ricompensa da Dio
e lode da tutti i prencipi. Concluse che rimettendosi egli, quanto a'
particolari, al voler e prudenza del cardinale, gli pregava dargli fede in
quello che averebbe detto da sua parte.
Dopo questo parlò il cardinale. Nel
principio narrò le miserie del regno: deplorò le guerre, le demolizioni delle
chiese, le uccisioni de' religiosi, la conculcazione de' sacramenti, l'incendio
delle librarie, delle imagini, delle reliquie de' santi, la devastazione delle
sepolture de' re, prencipi e vescovi, l'espulsione de' veri pastori; e passando
alle cose civili, narrò lo sprezzo della Maestà regia, l'usurpazione delle
entrate regali, la violazione delle leggi, le sedizioni eccitate nel popolo; e
di tutti questi mali attribuí la causa alla corrozzione de' costumi, alla
disciplina ecclesiastica rovinata, alla negligenza usata nel reprimere l'eresia
et usar li remedii instituiti da Dio. Voltato agli ambasciatori de' prencipi,
gli raccordò che quello che oziosi, vedono ora in Francia, pentiti tardi lo
esperimenteranno a casa loro, se la Francia, cadendo con la sua mole, darà ne'
luoghi vicini; con tutto ciò disse restarci ancora rimedii: la virtú et indole
del re, li consegli della regina e del re di Navarra e degl'altri prencipi,
quali non perdonano alla vita et all'aver; ma il principale esser aspettato da
quella sinodo, d'onde debbe venir la pace di Dio eccedente ogni senso. Del che
essendo certo il re Cristianissimo, mosso dalla osservanza verso quella sinodo,
e per la molestia che sente per i dispareri della religione, due cose da loro
ricercava. La prima, che si fugissero le nuove discordie, le nuove et
infruttuose questioni, e si procurasse sospensione d'arme tra tutti li prencipi
e Stati, che non si dasse scandalo a' protestanti con dargli occasione di
credere che la sinodo attenda piú tosto ad incitar i prencipi alle armi, a
trattar confederazioni e leghe, che a servar l'unità della pace. Che il re
Enrico l'ha primieramente stabilita, e poi il re Francesco II continuata, et il
presente re pupillo con la madre l'hanno sempre desiderata; il che se ben è
infelicemente successo, convien però temer, come piú infelici, gl'avvenimenti
della guerra: perché essendo posti tutti li stati del regno in pericolo di
naufragio, uno non può l'altro aiutare. Onde desidera che si tenga qualche
conto degli sviati dalla Chiesa, condannandogli quanto si può senza offesa di
Dio, et avendogli per amici per quanto si può, e sino agl'altari. La seconda
ricchiesta, commune al re coll'imperatore e gl'altri re e prencipi, era che si
trattasse della riforma de' costumi e della disciplina ecclesiastica,
mettendoci seriamente la mano, al che il re gl'ammoniva e scongiurava per il
Signor nostro Cristo, che verrà al giudicio, che volendo redintegrar l'autorità
della Chiesa e ritener quel regno di Francia, non voglino misurar gl'incommodi
de' francesi co' proprii loro; rallegrarsi che Italia sia tutta in pace e che
la Spagna ne tenga il timone. La Francia esser caduta et a pena tenerlo con un
dito. Soggionse che, se [di]manderanno a chi debbia ascriver la causa della
tempesta e fortuna eccitata, egli non poteva altro rispondere, salvo che
dicendo: «Per noi è stata questa fortuna, buttateci in mare». Perilché esser
bisogno d'ardire e di cuore, e d'attender a se medesimi et a tutto 'l gregge.
In fine disse aver finita la sua legazione e che gl'ambasciatori direbbono il
rimanente; ma egli e li prelati seco venuti protestavano di voler esser
soggetti, dopo Iddio, al beatissimo pontefice Pio, riconoscendo il suo primato
in terra sopra tutte le chiese, li commandamenti del quale mai ricuseranno. Che
hanno in venerazione li decreti della Chiesa catolica e della sinodo generale;
che onoravano e riverivano li legati, offerivano concordia et unione a'
vescovi, e si rallegravano che gl'ambasciatori dovessero esser testimonii de'
pareri loro, tutto ad onor della Maestà divina.
Finito di parlare, il cardinale di Mantova
con poche parole lo lodò della fatica presa per servizio di Dio, attestò che della
venuta sua tutta la sinodo s'era rallegrata, fece anco onorata menzione de'
fratelli suoi, commendandogli che nella professione non mostrassero minor
prontezza nel servizio di Dio e del regno, e si rimise alla risposta che per
nome della sinodo averebbe dato l'arcivescovo di Zara a ciò deputato. Il qual
disse che la sinodo con sommo dispiacere aveva sempre udito le sedizioni e
tumulti di religione in Francia, della quale la quiete e tranquillità gl'era
stata sempre a cuore, e tanto piú ne sentiva dispiacer allora, quanto con la
narrazione di Sua Signoria Illustrissima gl'erano stati posti sotto gl'occhi;
ma sperava che in breve il re potrà, imitando la virtú de' suoi maggiori,
reprimergli. Che la sinodo s'adopererà con tutto l'animo per far conoscer il
vero culto di Dio, emendar li costumi e render la tranquillità alla Chiesa; al
che sperava poter piú facilmente pervenire, aiutata dall'opera di Sua Signoria
Illustrissima e da' prelati con lei venuti. Si estese longamente nelle laudi
del cardinale, e concluse che la sinodo ringraziava Dio per la venuta sua e si
congratulava con lui, e s'offeriva d'ascoltar quello che a suo luogo e tempo
dagl'ambasciatori fosse detto, non dubitando che debbia esser a gloria di Dio,
utilità della Chiesa e somma degnità della Sede apostolica.
Dopo questo parlò l'ambasciator Ferrier,
incomminciando a commendar l'animo del re inclinato alla religione, il che si
rendeva piú manifesto per la venuta et il raggionamento del cardinale, dal
quale appariva quanto la Francia procuri il bene della Chiesa catolica, potendo
ogni uno conoscer che potentissime cause l'abbiano indotto a mandarlo, poiché
s'era sempre valuto del conseglio suo ne' gran negozii del regno; che potrebbe
il re in tre giorni quietar tutte le sedizioni e ritener nella natural
obedienza gl'animi di tutti i suoi sudditi, quando avesse solo mira alle cose
sue e non alla Chiesa catolica et a ritener la degnità et autorità del
pontefice in Francia, per quali solamente espone a pericolo il regno, la vita e
l'aver di tutti i grandi e nobili; e descendendo alle ricchieste, soggionse che
in quelle non sarebbono fastidiosi e difficili, che non domandavano se non
quello che tutto 'l mondo cristiano dimanda. Che il re Cristianissimo ricchiede
quello che dimandò il gran Constantino da' padri del concilio niceno; che tutte
le ricchieste regie si contengono nelle Sacre Lettere, ne' vecchi concilii
della Chiesa catolica, nelle antiche constituzioni, decreti e canoni de'
pontefici e padri. Che il Cristianissimo dimandava la restituzione della Chiesa
catolica in integro da essi padri, constituiti giudici pretorii da Cristo, ma
non per un decreto di clausula generale, anzi secondo la forma delle espresse
parole di quell'editto perpetuo e divino, contra il quale non può aver luogo
usurpazione o prescrizzione alcuna. Sí che ritornino finalmente come dalla
captività nella santa città di Dio et alla luce degl'uomini quei buoni ordini
che il demonio ha per forza rubbati e per longo tempo ascosti. Diede l'essempio
di Dario, che quietò li tumulti di Giudea non con arme, ma con esseguir
l'antico editto di Ciro; di Giosia, che riformò la religione con far legger et
osservare il libro della Legge, occultato per malizia degli uomini. Passò poi
ad un acuto motto, dicendo che se li padri dimanderanno perché la Francia non
sia in pace, non si potrà risponder altro se non quello che Gieú disse a
Gioran: «Come può esser pace restando ancora [..]?». E tacque le seguenti
parole, ma soggionse: «Voi sapete il resto». Aggiongendo poi che, se non si
attenderà a questa riformazione, saranno vani gl'aiuti del re di Spagna, del
pontefice e degl'altri prencipi, et il sangue di quelli che periranno, se ben
meritamente per li proprii peccati, sarà ricchiesto dalle mani d'essi padri.
Concluse che prima che descendere a' particolari che debbono dimandare,
ricchiedevano che finissero presto le cose che avevano comminciato a trattare,
acciò potessero attender quanto prima alle altre molto piú gravi e necessarie
in quel tempo. Non dispiacque meno la pongente libertà di questo ambasciatore,
che la usata di Pibrac, suo collega, alla loro venuta in Trento; nondimeno il
timore che s'aveva de' francesi fece metter in silenzio le offese di parole.
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