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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro settimo
    • [Lorena offende con le sue adunanze domestiche, ma a spagnuoli e francesi è fatta spia]
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[Lorena offende con le sue adunanze domestiche, ma a spagnuoli e francesi è fatta spia]

Il seguente giorno si continuarono le congregazioni, e la prima fu tutta occupata solo da fra Gasparo di Casal, vescovo di Liria; il qual per informar il cardinale di Lorena di tutte le raggioni de' spagnuoli, recapitulò con magniloquenzia le cose da altri dette in quella materia; vi aggionse di piú che nissuna cosa era piú a favor de luterani, quanto il far l'instituzione de' vescovi de legge umana; che cosí s'approva la novità da loro fatta d'aver posto predicatori o predicanti o ministri al governo della Chiesa, in luogo de' vescovi, da Cristo instituiti. Aggionse a questo che leggendo le epistole di san Gregorio a Gioanni Constantinopolitano et ad altri scritte contra il medesimo, perché si chiamava vescovo universale, vedersi chiaramente che non si può dir che l'instituzione del pontefice romano venga da Cristo, se non si dice anco che dal medesimo venga quella de' vescovi.

Il cardinal di Lorena fece in casa propria congregazione de' prelati e teologi francesi con lui venuti, per intender la loro opinione sopra il particolare della giurisdizzione de' vescovi, e fu tra loro concordamente risoluto che la ricevevano da Dio e fosse de iure divino. E questa singolarità di congregazione fu usata dal cardinale dopoi in tutte le altre materie occorrenti, con molto dispiacere de' ponteficii, a' quali pareva che volesse far un concilio a parte, e temevano che spagnuoli, con l'essempio, non ne introducessero un'altra, le quali poi potessero portar un scisma manifesto, come avvenne nel concilio efesino primo per le congregazioni che facevano separatamente gl'egizzii e li suriani. Avevano però i ponteficii tra i spagnuoli Bartolomeo Sebastiani, vescovo di Patti, che se ben spagnuolo di nazione, per aver vescovato in Sicilia, aveva grand'intelligenza con Roma, da quale gli veniva scoperto tutte le prattiche e consegli loro. Tra i francesi, sino al tempo quando il cardinale di Lorena si metteva in ordine per il viaggio, il noncio di Francia guadagnò fra Giacomo Ugonio francescano, teologo sorbonista, eletto dal cardinale di Lorena per sua compagnia; col quale ebbe qualche ingresso per esser egli constituito procurator al concilio da Gioanni Ursino, vescovo di Triguier, e diede conto a Roma e l'inviò per corrispondenza in Trento con sue lettere a Lattanzio Roverella, vescovo d'Ascoli. Ma al cardinale Simoneta non piacque confidar tanto di quel vescovo, né volse lasciargli saper l'intelligenza che si doveva tener col teologo. Però, avvicinandosi Lorena a Trento, fece che il vescovo di Ventimiglia mandò incontra un altro frate di san Francesco, chiamato il Pergola, all'Ugonio, a dirgli per sua parte che era avisato dal noncio di Francia della lettera che portava a monsignor d'Ascoli, dal qual noncio gl'era scritto che dovesse parlar con lui prima che la consegnasse. Dal Pergola fu fatto destramente l'officio, che il teologo diede intenzione di cosí fare e, conforme all'ordine, pochi giorni dopo che fu in Trento, andò a trovar il Ventimiglia e dopo fatta la ricognizione e dati li contrasegni di trattar insieme, il frate gli fece relazione dello stato delle cose; e gli disse tra le altre la maggior parte della rovina del regno derivare dalla regina, la qual favoriva gl'eretici; et egli l'aveva chiaramente conosciuto nelle dispute che in presenza di lei gli era occorso piú volte far con loro. Degl'ambasciatori che erano in Trento, gli disse che essi ancora erano corrotti. Quanto al cardinale, che lo teneva per buon catolico, ma inclinato alle riforme impertinenti de' riti ecclesiastici, dell'uso del calice, de levar le imagini, d'introdur la lingua volgare et altre tal cose, al che era persuaso dal duca di Ghisa, suo fratello, e da altri suoi parenti; che la regina al suo partire gliene fece efficace persuasione e gli diede 20000 scudi. Disse che nel numero de' vescovi ve n'erano 3 della medesima fazzione; ma sopra tutti quello di Valenza s'intendeva con la regina et era mandato da lei espresso, come principale, al qual averebbe convenuto che il cardinale portasse rispetto. Misero in fine ordine tra loro, come trovarsi e trattarsi insieme. Gli diede il Ventimiglia 50 scudi d'oro, che cosí avevano commesso li legati, quali in principio egli fece resistenza d'accettare; ma il Ventimiglia con buone et accommodate parole lo fece contentare; non però esso gli pigliò, ma chiamato un suo servitore che seco era, ordinò che gli pigliasse a nome della sua religione.

Io ho narrato ben spesso, e tuttavia continuo narrando alle volte qualche particolari che son certo dover da molti esser stimati non degni di menzione, come io parimente tali gli ho riputati; ma ritrovandogli conservati e notati nelle memorie di quelli che si sono trovati nelle azzioni, mi son persuaso che qualche rispetto a me incognito vi fosse, per quale gl'abbiano giudicati meritevoli di commemorazione, et ho voluto, secondo il giudicio di quelli piú che secondo il mio, riferirgli. Qualche ingegno acuto forse potrà scoprirvi dentro cosa degna d'osservazione da me non penetrata, e quelli che non gli stimeranno, nel legger però averanno fatto perdita di poco tempo.

 

 




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