[Lorena offende con le sue adunanze
domestiche, ma a spagnuoli e francesi è fatta spia]
Il seguente giorno si continuarono le
congregazioni, e la prima fu tutta occupata solo da fra Gasparo di Casal,
vescovo di Liria; il qual per informar il cardinale di Lorena di tutte le
raggioni de' spagnuoli, recapitulò con magniloquenzia le cose da altri dette in
quella materia; vi aggionse di piú che nissuna cosa era piú a favor de
luterani, quanto il far l'instituzione de' vescovi de legge umana; che cosí
s'approva la novità da loro fatta d'aver posto predicatori o predicanti o ministri
al governo della Chiesa, in luogo de' vescovi, da Cristo instituiti. Aggionse a
questo che leggendo le epistole di san Gregorio a Gioanni Constantinopolitano
et ad altri scritte contra il medesimo, perché si chiamava vescovo universale,
vedersi chiaramente che non si può dir che l'instituzione del pontefice romano
venga da Cristo, se non si dice anco che dal medesimo venga quella de' vescovi.
Il cardinal di Lorena fece in casa propria
congregazione de' prelati e teologi francesi con lui venuti, per intender la
loro opinione sopra il particolare della giurisdizzione de' vescovi, e fu tra
loro concordamente risoluto che la ricevevano da Dio e fosse de iure divino.
E questa singolarità di congregazione fu usata dal cardinale dopoi in tutte le
altre materie occorrenti, con molto dispiacere de' ponteficii, a' quali pareva
che volesse far un concilio a parte, e temevano che spagnuoli, con l'essempio,
non ne introducessero un'altra, le quali poi potessero portar un scisma
manifesto, come avvenne nel concilio efesino primo per le congregazioni che
facevano separatamente gl'egizzii e li suriani. Avevano però i ponteficii tra i
spagnuoli Bartolomeo Sebastiani, vescovo di Patti, che se ben spagnuolo di
nazione, per aver vescovato in Sicilia, aveva grand'intelligenza con Roma, da
quale gli veniva scoperto tutte le prattiche e consegli loro. Tra i francesi,
sino al tempo quando il cardinale di Lorena si metteva in ordine per il
viaggio, il noncio di Francia guadagnò fra Giacomo Ugonio francescano, teologo
sorbonista, eletto dal cardinale di Lorena per sua compagnia; col quale ebbe
qualche ingresso per esser egli constituito procurator al concilio da Gioanni
Ursino, vescovo di Triguier, e diede conto a Roma e l'inviò per corrispondenza
in Trento con sue lettere a Lattanzio Roverella, vescovo d'Ascoli. Ma al
cardinale Simoneta non piacque confidar tanto di quel vescovo, né volse
lasciargli saper l'intelligenza che si doveva tener col teologo. Però,
avvicinandosi Lorena a Trento, fece che il vescovo di Ventimiglia mandò incontra
un altro frate di san Francesco, chiamato il Pergola, all'Ugonio, a dirgli per
sua parte che era avisato dal noncio di Francia della lettera che portava a
monsignor d'Ascoli, dal qual noncio gl'era scritto che dovesse parlar con lui
prima che la consegnasse. Dal Pergola fu fatto destramente l'officio, sí che il
teologo diede intenzione di cosí fare e, conforme all'ordine, pochi giorni dopo
che fu in Trento, andò a trovar il Ventimiglia e dopo fatta la ricognizione e
dati li contrasegni di trattar insieme, il frate gli fece relazione dello stato
delle cose; e gli disse tra le altre la maggior parte della rovina del regno
derivare dalla regina, la qual favoriva gl'eretici; et egli l'aveva chiaramente
conosciuto nelle dispute che in presenza di lei gli era occorso piú volte far
con loro. Degl'ambasciatori che erano in Trento, gli disse che essi ancora
erano corrotti. Quanto al cardinale, che lo teneva per buon catolico, ma
inclinato alle riforme impertinenti de' riti ecclesiastici, dell'uso del calice,
de levar le imagini, d'introdur la lingua volgare et altre tal cose, al che era
persuaso dal duca di Ghisa, suo fratello, e da altri suoi parenti; che la
regina al suo partire gliene fece efficace persuasione e gli diede 20000 scudi.
Disse che nel numero de' vescovi ve n'erano 3 della medesima fazzione; ma sopra
tutti quello di Valenza s'intendeva con la regina et era mandato da lei
espresso, come principale, al qual averebbe convenuto che il cardinale portasse
rispetto. Misero in fine ordine tra loro, come trovarsi e trattarsi insieme.
Gli diede il Ventimiglia 50 scudi d'oro, che cosí avevano commesso li legati,
quali in principio egli fece resistenza d'accettare; ma il Ventimiglia con
buone et accommodate parole lo fece contentare; non però esso gli pigliò, ma
chiamato un suo servitore che seco era, ordinò che gli pigliasse a nome della
sua religione.
Io ho narrato ben spesso, e tuttavia
continuo narrando alle volte qualche particolari che son certo dover da molti
esser stimati non degni di menzione, sí come io parimente tali gli ho riputati;
ma ritrovandogli conservati e notati nelle memorie di quelli che si sono
trovati nelle azzioni, mi son persuaso che qualche rispetto a me incognito vi
fosse, per quale gl'abbiano giudicati meritevoli di commemorazione, et ho
voluto, secondo il giudicio di quelli piú che secondo il mio, riferirgli.
Qualche ingegno acuto forse potrà scoprirvi dentro cosa degna d'osservazione da
me non penetrata, e quelli che non gli stimeranno, nel legger però averanno
fatto perdita di poco tempo.
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