[Sessione differita]
Il 26 novembre, giorno che era destinato
per la sessione, il cardinale Seripando propose in congregazione, che quella si
differisse, poiché non erano stabiliti li decreti da publicarsi, et ammoní li
prelati di tanta loro longhezza nel dire, da che nasceva che non si poteva
deliberar alcun giorno certo per la sessione, perilché era necessario
rimetterla a beneplacito; aggiongendo che molti di loro volevano parlar
degl'abusi senza accorgersi che il continuar tanto tempo in disputazioni
vanamente senza alcun frutto, era un abuso grandissimo, necessario da levare,
volendo veder fine del concilio con edificazione. Lorena confermò il medesimo
et essortò li padri a lasciar le questioni che in quel tempo non erano in
proposito, et esser brevi e solleciti nell'espedir le cose già proposte, per
venire alle piú importanti e necessarie. Un buon numero de prelati non consentí
che si rimettesse la sessione a beneplacito e ricercarono tempo determinato; al
che replicandosi che non era possibile prefiger certa giornata, per non sapersi
quanto fosse necessario per uscir dalla materia tanto controversa tra loro, fu
concluso che dopo 8 giorni si stabilisse il dí determinato.
Gionse il medesimo giorno il senator
Molines, mandato dal marchese di Pescara, per rinovare e dar maggior efficacia
agl'officii a favor del pontefice co' prelati spagnuoli, che già fatti dal
secretario residente, non avevano partorito effetto; portò nuove lettere di
credenza del marchese a tutti loro e s'affaticò il senator con gran
sollecitudine; il qual officio fece contrario effetto: perché li prelati
interpretarono tanta sollecitudine esser prattica del cardinale d'Aragona,
fratello del marchese, senza commissione espressa della corte. Ma vedendosi tuttavia
che quanto piú si caminava inanzi, tanto piú nascevano difficoltà, per questo
capo dell'instituzione, gl'ambasciatori di Francia sollecitavano che si
trovasse temperamento di spedirsi da quelle superfluità e venir al negozio
della riforma, desiderosi di chiarirsi di quello che potevano aver dal
concilio. Et il vescovo di Nimes si lasciò intender, dicendo il suo voto, che
se a' padri era tanto a cuore il decider una curiosità, che finalmente non era
se non parole, non volessero trattener gli altri, ma differirla ad altro tempo
e metter mano adesso a quello che fa di bisogno. E Diego Covarruvias, vescovo
di Città di Rodrigo, dopo di quello, iscusando li padri che si trattenessero in
quella questione, disse che essendo ella stata proposta da' signori legati, non
potevano restar li prelati di dir il parer proprio. Da che commosso il cardinal
Simoneta negò che da loro fosse fatta la proposta e seguí Seripando piú
gagliardemente, dicendo che ad essi, per la troppo licenza assontasi, non solo
non bastava raggionar della superiorità de' vescovi, che era stata proposta, ma
avevano anco messo in campo l'altra dell'instituzione, et aggionto ad ambedue
il ius divino, e non contenti della toleranza e pazienza usata in
lasciargli dir ciò che volevano, entravano ancora in dar la colpa a' legati.
Riprese acremente la troppo libertà d'entrar in quelle questioni e l'ardimento
di trattar della potestà del papa, tutto vanamente e sovverchiamente, con
repetizioni delle medesime cose, dieci e piú volte dette, e da alcuni anco con
raggioni frivole e con modi inetti, indegni di quel consesso; e nel progresso
del suo parlar, accortosi d'aver usato troppo acrimonia, passò a dar una
formula come un prelato dovesse dir il parer suo in concilio: e parlò esso
sopra le proposte questioni con mostrare che le opinioni opposite fossero
ambedue probabili, e quando anco quella che tiene de iure divino avesse
probabilità maggiore, non esser però cosa da decider in concilio. Non per
questo quietò gl'animi di molti commossi, né al cardinale di Lorena piacque
intieramente, il quale non mancava di far ogni demostrazione per acquistar
buona opinione: andava cercando di conoscer gl'uomini et assicurarsi di quello
che si potesse far per non mettersi ad impresa, se non conosciuta riuscibile;
et affettava ancora esser quello che concordasse le differenze e fosse arbitro
della questione. Fu proposto per espedizione di quella materia deputar alcuni
prelati per ciascuna nazione, quasi compromettendo in loro la risoluzione. Ma
non si poté effettuare, perché francesi e spagnuoli volevano un numero pari di
ciascuna, e gl'italiani, sí come erano maggior numero degl'altri, cosí volevano
maggior numero de deputati. Il cardinale Simoneta fu il principale in opporsi a
questa proposta, per non introdur la consuetudine del concilio basileense.
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