[Contesa di precedenza tra Francia e
Spagna. Nuova rissa de' ponteficii con gli spagnuoli]
Si preparava in questo tempo nuova materia
di contenzione; perché il conte di Luna fece intender a' legati che doveva
andar a Trento come ambasciator del re di Spagna e non dell'imperatore, ma
inanzi andarvi, voleva sapere che luogo gli sarebbe dato. I legati, chiamati
gl'ambasciatori francesi, gliene diedero conto, dicendo esservi gran travaglio
per le dispute di precedenza, e gli pregavano di trovar qualche modo per
accordarle. E dicendo loro non esser mandati per componer differenze, ma per
tener il luogo debito e sempre conceduto al loro re, che non intendevano
pregiudicar in cosa alcuna apertamente al re di Spagna, ma fargli ogni onore e
servizio conveniente al parentado et amicizia che tiene col loro re, e che
avevano carico, quando il luogo gli fosse negato, protestare della nullità
degl'atti del concilio e partirsi con tutti li prelati francesi, il cardinale
di Mantova propose di far seder l'ambasciator spagnuolo separato dagl'altri,
dirimpetto a' legati, overo di sotto gl'ambasciatori ecclesiastici, o pur di
sotto di tutti gl'ambasciatori secolari: ma di nissun partito si contentarono
li francesi, volendo che in ogni modo avesse il luogo dopo di loro e non
altrove.
Nella congregazione del primo decembre
Melchior Avosmediario, vescovo di Guadice, parlando sopra quella parte
dell'ultimo canone dove si determinava che i vescovi chiamati dal papa sono
veri e legitimi, disse che non gli piaceva il modo d'esprimer, perciò che vi
erano anco de' vescovi non chiamati dal pontefice, né meno confermati da lui,
che erano però veri e legitimi. Addusse per essempio 4 suffraganei eletti et
ordinati dall'arcivescovo di Salzburg, che non pigliano alcuna confermazione
dal papa. Il cardinale Simoneta non lo lasciò passar piú oltre, dicendo che
quanto il vescovo di Salzburg e gl'altri primati facevano, tutto era con
autorità del pontefice. Si levò fra Tomaso Castello, vescovo della Cava, et il
patriarca di Venezia tutti in un tratto, dicendo che si dovesse mandar fuori,
come scismatico. Et Egidio Falceta, vescovo di Caurle, gridò: «Fuori il
scismatico!» E seguí grandissimo romore tra li prelati, cosí di susurri, come
di piedi, parte in offesa del vescovo votante e parte in difesa, che diede mala
sodisfazzione a' prelati oltramontani. Il cardinale di Lorena, se ben ne sentí
dispiacere, non fece dimostrazione alcuna, e li legati con difficoltà
quietarono il romore, facendo proseguir agl'altri che dovevano parlar in quella
congregazione: la qual finita, il cardinale di Lorena in presenza di molti
prelati ponteficii ebbe a dire che l'insolenza era stata grande, che il vescovo
di Guadice non aveva parlato male e se fosse stato francese, egli averebbe
appellato ad un concilio piú libero, e quando non si proveda che tutti possino
parlar liberamente, non s'averebbono tenuti li francesi che non fossero partiti
per far un concilio nazionale in Francia. E veramente fu conosciuto che il
vescovo non aveva mal parlato, e fu corretto il canone che, sí come diceva: «i
vescovi chiamati dal pontefice romano», cosí dicesse: «i vescovi assonti per
autorità del pontefice romano».
Il dí seguente, essendo venuto il tempo di
dicchiarar il giorno della sessione, il cardinale di Mantova propose che si
prorogasse sino a' 17, e se in quel mentre non s'avessero potuto aver in ordine
li decreti della riforma spettante alla materia che si trattava, questa si
diferisse alla seguente sessione. Il cardinale di Lorena concorse nel medesimo
parer quanto al giorno, ma con condizione che non si ommettesse di trattar
tutto quello che parteneva alla materia, né cosa alcuna si rimettesse alla
seguente, nella qual era necessario dar principio alla riforma universale.
L'arcivescovo di Praga, il Cinquechiese e l'orator di Polonia concordarono nel
medesimo parer; e dopo molta contenzione d'alcuni che volevano, secondo il voto
del vescovo di Nimes, che si rimettessero le questioni ad altro tempo, e de
altri, che volevano deciderle, si deliberò di stabilire la sessione per il
sudetto giorno, con ordine che, per spedire tutta la materia, si facessero due
congregazioni al giorno, e se allora non fosse decisa, si publicassero li
decreti che si trovassero in quel tempo stabiliti, rimettendo gli indecisi ad
altro tempo, e nella seguente sessione si trattasse della riforma inanzi che
entrar ne' ponti della dottrina. Riprese ancora il cardinale di Mantova lo
strepito de' piedi e di parole del giorno precedente, concludendo che se per
l'inanzi non avessero parlato con rispetto e riverenza conveniente alla degnità
propria et alla presenza d'essi legati, che rapresentano Sua Beatitudine, e de'
cardinali et ambasciatori, che rapresentano i prencipi, essi sarebbono usciti
di congregazione per non comportar tanti disordini. Et il cardinale di Lorena
commendò l'ammonizione fatta, soggiongendo che sí come non era conveniente che
per qualsivoglia occasione li legati dovessero partirsi di congregazione, cosí
era giustissima cosa che si punissero li perturbatori. Il vescovo della Cava,
non solo non volse scusarsi di quello che detto aveva, né meno con silenzio
ricever l'ammonizione, se ben generale, ma disse che si dovevano levar le
cause, che gl'effetti cesserrebbono; che se le parole del vescovo di Guadice avessero
offeso la persona sua, egli averebbe sopportata per carità cristiana, la qual
sí come ricerca sofferenza nelle ingiurie proprie, cosí vuol acre risentimento
delle ingiurie fatte a Cristo, la Maestà divina del quale è offesa, quando è
toccata l'autorità del suo vicario; che egli aveva ben et ottimamente detto, e
confermava il medesimo con altre parole dell'istesso senso, che universalmente
furono stimate petulanti.
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