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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro settimo
    • [Contesa di precedenza tra Francia e Spagna. Nuova rissa de' ponteficii con gli spagnuoli]
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[Contesa di precedenza tra Francia e Spagna. Nuova rissa de' ponteficii con gli spagnuoli]

Si preparava in questo tempo nuova materia di contenzione; perché il conte di Luna fece intender a' legati che doveva andar a Trento come ambasciator del re di Spagna e non dell'imperatore, ma inanzi andarvi, voleva sapere che luogo gli sarebbe dato. I legati, chiamati gl'ambasciatori francesi, gliene diedero conto, dicendo esservi gran travaglio per le dispute di precedenza, e gli pregavano di trovar qualche modo per accordarle. E dicendo loro non esser mandati per componer differenze, ma per tener il luogo debito e sempre conceduto al loro re, che non intendevano pregiudicar in cosa alcuna apertamente al re di Spagna, ma fargli ogni onore e servizio conveniente al parentado et amicizia che tiene col loro re, e che avevano carico, quando il luogo gli fosse negato, protestare della nullità degl'atti del concilio e partirsi con tutti li prelati francesi, il cardinale di Mantova propose di far seder l'ambasciator spagnuolo separato dagl'altri, dirimpetto a' legati, overo di sotto gl'ambasciatori ecclesiastici, o pur di sotto di tutti gl'ambasciatori secolari: ma di nissun partito si contentarono li francesi, volendo che in ogni modo avesse il luogo dopo di loro e non altrove.

Nella congregazione del primo decembre Melchior Avosmediario, vescovo di Guadice, parlando sopra quella parte dell'ultimo canone dove si determinava che i vescovi chiamati dal papa sono veri e legitimi, disse che non gli piaceva il modo d'esprimer, perciò che vi erano anco de' vescovi non chiamati dal pontefice, né meno confermati da lui, che erano però veri e legitimi. Addusse per essempio 4 suffraganei eletti et ordinati dall'arcivescovo di Salzburg, che non pigliano alcuna confermazione dal papa. Il cardinale Simoneta non lo lasciò passar piú oltre, dicendo che quanto il vescovo di Salzburg e gl'altri primati facevano, tutto era con autorità del pontefice. Si levò fra Tomaso Castello, vescovo della Cava, et il patriarca di Venezia tutti in un tratto, dicendo che si dovesse mandar fuori, come scismatico. Et Egidio Falceta, vescovo di Caurle, gridò: «Fuori il scismatico!» E seguí grandissimo romore tra li prelati, cosí di susurri, come di piedi, parte in offesa del vescovo votante e parte in difesa, che diede mala sodisfazzione a' prelati oltramontani. Il cardinale di Lorena, se ben ne sentí dispiacere, non fece dimostrazione alcuna, e li legati con difficoltà quietarono il romore, facendo proseguir agl'altri che dovevano parlar in quella congregazione: la qual finita, il cardinale di Lorena in presenza di molti prelati ponteficii ebbe a dire che l'insolenza era stata grande, che il vescovo di Guadice non aveva parlato male e se fosse stato francese, egli averebbe appellato ad un concilio piú libero, e quando non si proveda che tutti possino parlar liberamente, non s'averebbono tenuti li francesi che non fossero partiti per far un concilio nazionale in Francia. E veramente fu conosciuto che il vescovo non aveva mal parlato, e fu corretto il canone che, come diceva: «i vescovi chiamati dal pontefice romano», cosí dicesse: «i vescovi assonti per autorità del pontefice romano».

Il seguente, essendo venuto il tempo di dicchiarar il giorno della sessione, il cardinale di Mantova propose che si prorogasse sino a' 17, e se in quel mentre non s'avessero potuto aver in ordine li decreti della riforma spettante alla materia che si trattava, questa si diferisse alla seguente sessione. Il cardinale di Lorena concorse nel medesimo parer quanto al giorno, ma con condizione che non si ommettesse di trattar tutto quello che parteneva alla materia, né cosa alcuna si rimettesse alla seguente, nella qual era necessario dar principio alla riforma universale. L'arcivescovo di Praga, il Cinquechiese e l'orator di Polonia concordarono nel medesimo parer; e dopo molta contenzione d'alcuni che volevano, secondo il voto del vescovo di Nimes, che si rimettessero le questioni ad altro tempo, e de altri, che volevano deciderle, si deliberò di stabilire la sessione per il sudetto giorno, con ordine che, per spedire tutta la materia, si facessero due congregazioni al giorno, e se allora non fosse decisa, si publicassero li decreti che si trovassero in quel tempo stabiliti, rimettendo gli indecisi ad altro tempo, e nella seguente sessione si trattasse della riforma inanzi che entrar ne' ponti della dottrina. Riprese ancora il cardinale di Mantova lo strepito de' piedi e di parole del giorno precedente, concludendo che se per l'inanzi non avessero parlato con rispetto e riverenza conveniente alla degnità propria et alla presenza d'essi legati, che rapresentano Sua Beatitudine, e de' cardinali et ambasciatori, che rapresentano i prencipi, essi sarebbono usciti di congregazione per non comportar tanti disordini. Et il cardinale di Lorena commendò l'ammonizione fatta, soggiongendo che come non era conveniente che per qualsivoglia occasione li legati dovessero partirsi di congregazione, cosí era giustissima cosa che si punissero li perturbatori. Il vescovo della Cava, non solo non volse scusarsi di quello che detto aveva, né meno con silenzio ricever l'ammonizione, se ben generale, ma disse che si dovevano levar le cause, che gl'effetti cesserrebbono; che se le parole del vescovo di Guadice avessero offeso la persona sua, egli averebbe sopportata per carità cristiana, la qual come ricerca sofferenza nelle ingiurie proprie, cosí vuol acre risentimento delle ingiurie fatte a Cristo, la Maestà divina del quale è offesa, quando è toccata l'autorità del suo vicario; che egli aveva ben et ottimamente detto, e confermava il medesimo con altre parole dell'istesso senso, che universalmente furono stimate petulanti.

 

 




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