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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro settimo
    • [Si rimette in campo l'instituzione de' vescovi]
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[Si rimette in campo l'instituzione de' vescovi]

Giacomo Gilberto de Nogueras, vescovo d'Aliffe, nel suo voto disse dell'instituzione de' vescovi non potersi parlar con meglior fondamento che considerando e ben intendendo le parole di san Paolo agl'efesi. Imperoché, come era molto vero che Cristo reggeva con assoluto governo la Chiesa vivendo in carne mortale, come da altri in congregazione era stato giudiciosamente detto, cosí era una gran falsità quello che fu aggionto, cioè che, asceso in cielo, ha abbandonato il medesimo governo; anzi, piú che mai l'essercita, e questo è quello che disse agl'apostoli nel partire: «Io sono con esso voi sino alla fine del mondo», aggiontovi anco l'opera dello Spirito Santo; che da Cristo, come da capo, al presente ancora non solo viene l'influsso interiore delle grazie, ma anco un'esterior assistenza, ben invisibile a noi, ma però che somministra le occasioni per la salute de' fedeli e propulsa le tentazioni del mondo. Con tutto ciò, oltre tutte queste cose, ha instituito anco alcuni membri della Chiesa per apostoli, pastori, ecc., a fine di defendere li fedeli dagl'errori et indrizzargli all'unità della fede e cognizione di Dio; et a questi ha dato il dono necessario per essercitar questo santo officio, il qual è la potestà chiamata di giurisdizzione, la qual in tutti non è uguale, ma tanta, quanta in ciascuno è, e gli è data immediate da Cristo. Niente esser piú contrario a san Paolo quanto il dir che ad uno solo sia data, che la communichi come gli piace. Vero è che non in tutti è uguale, ma secondo la divina distribuzione, la qual, acciò si conservasse l'unità della Chiesa, come san Cipriano disse, ordinò che fosse in Pietro e ne' successori suoi la suprema; non che sia assoluta e, secondo il proverbio, dove la volontà sia per raggione, ma, come san Paolo dice, in edificazione solamente della Chiesa, non in destruzzione; onde non si estende a levare leggi e canoni statuiti dalla Chiesa per fondamento del suo governo. E qui diede principio ad allegare li canoni citati da Graziano, dove li vecchi pontefici romani si confessano soggetti a decreti de' padri et alle constituzioni de' predecessori.

Ma il cardinale varmiense non lo lasciò caminar inanzi: l'interruppe dicendo che s'aveva da parlar della superiorità de' vescovi, a che non era a proposito il discorso suo. A che egli rispose che, trattandosi dell'autorità de' vescovi, necessariamente bisognava raggionare di quella del papa; e l'arcivescovo di Granata si levò e disse che gl'altri n'avevano parlato, e superfluamente, per non dire perniciosamente, e però che anco Aliffe ne poteva raggionare, accennando alle cose dette da Lainez. Il vescovo della Cava sopranominato si alzò e disse che gl'altri ne avevano parlato, ma non a quel modo; e comminciando a nascer tra li prelati bisbigli, Simoneta fece segno alla Cava che tacesse e con ammonir Aliffe che parlasse al caso, fece quietar il mormorio. E seguitando esso nell'allegazione de' canoni incomminciata, varmiense di nuovo l'interruppe, non parlando a lui, ma facendo un raggionamento formato a' padri sopra la materia, dicendo che gl'eretici pretendono di provare che li vescovi eletti dal papa non sono veri e legitimi vescovi, e che questa opinione è quella che si debbe condannare: ma se li veri vescovi siano instituiti de iure divino o no, nissuna differenza vi è tra gl'eretici e li catolici, e però la questione non pertenere alla sinodo, che è congregata solo per dannar le eresie. Raccordò a' padri che s'astenessero dal dire cose che potessero dar occasione di scandalo e gl'essortò a lasciar queste questioni. Alle parole del cardinale il vescovo d'Aliffe volse replicare, ma Simoneta, con l'aiuto d'alcuni altri prelati, lo quietò, se ben con qualche difficoltà. E parlò dopo di lui Antonio Maria Salviati, vescovo di San Papulo, il quale con discorrere che tutti erano congregati per servizio di Dio e caminavano con buona intenzione, se ben alcuni per un verso et altri per l'altro, e con andar dicendo diverse cose che servivano in parte per accordar le opinioni, ma piú principalmente per conciliar gl'animi, fu causa che la congregazione si finí quietamente e che tra il cardinale et il vescovo passassero parole d'umanità e riverenza.

Il quarto giorno del mese di decembre disse il parer suo sopra la medesima materia il cardinale di Lorena, e parlò a longo che la giurisdizzione fosse data da Dio immediate alla Chiesa: allegò li luoghi [di] sant'Agostino, che le chiavi sono date a Pietro, non ad una persona, ma all'unità, e che Pietro, quando Cristo gli promise le chiavi, rapresentava tutta la Chiesa; che se egli non fosse stato sacramento, cioè rapresentante la Chiesa, non gl'averebbe dato Cristo le chiavi; mostrando molta memoria in recitarli formalmente. Passò poi a dire che quella parte della giurisdizzione che è connessa con l'ordine episcopale, li vescovi la ricevevano immediate da Dio, e dicchiarando in che consistesse, specificò, tra l'altre cose, in quella contenersi la facoltà di scommunicare, estendendosi molto nell'esposizione di quel luogo di san Mateo, dove da Cristo è prescritto il modo della correzzion fraterna e giudiciale della Chiesa, con autorità del separare dal suo corpo gl'inobedienti. Poi si diede ad argomentar anco contra questa opinione con diverse raggioni cavate dalle parole di Cristo dette a san Pietro, e dall'intelligenza che gli in molti luoghi san Leone papa. Addusse molti essempi de vescovi, che tutta la giurisdizzione avevano riconosciuto dalla Sede apostolica, e parlò con tanta eloquenza et in modo tale, che non si poteva far chiaro giudicio dell'animo suo. Disse dopoi che i concilii avevano l'autorità immediate da Dio; allegò per questo le parole di Cristo che disse: «Dove saranno doi o tre congregati nel mio nome, io sarò nel mezo tra loro», et il concilio degl'apostoli che ascrisse la risoluzione propria allo Spirito Santo; allegò lo stile de' concilii di chiamarsi congregati nello Spirito Santo, e del constanziense che apertamente disse aver l'autorità immediate da Cristo. Però soggionse che, parlando de' concilii, intendeva che vi fosse congionto il capo, e che nissuna cosa era di maggior servizio per l'unione della Chiesa che in fermar bene l'autorità ponteficia; che egli non averebbe mai consentito di terminar cosa che la potesse diminuire, e del medesimo parere erano tutti li prelati e clero di Francia. E tornando all'instituzione de' vescovi e parlandone tuttavia con la medesima ambiguità, finalmente concluse che era una questione interminata. Essortò poi la congregazione a tralasciarla, e diede esso una forma del canone, dove erano ommesse le parole iure divino, et in luogo di quelle si diceva: instituiti da Cristo.

I prelati francesi che parlarono dopo Lorena in quel medesimo [giorno] e ne' seguenti ancora, non trattarono né con l'istessa ambiguità, né col medesimo rispetto all'autorità ponteficia, ma dissero apertamente che l'autorità de' vescovi fosse de iure divino, portando le raggioni dette dal cardinale et esplicandole; e se ben egli, mentre che parlavano, stava con la mano sotto la guancia, in modo che pareva che mostrasse sentir dispiacere di quello che dicevano, tuttavia però era ascritta ad ambizione, come se avesse studiosamente procurato che il voto suo fosse commentato. E se ben da' francesi fosse apertamente difesa la sentenza de' spagnuoli, questi però non restarono sodisfatti, cosí perché il cardinale aveva parlato con ambiguità, come anco perché esso e li prelati s'erano dicchiarati di non aver per necessario di terminar in concilio l'instituzione e superiorità de' vescovi esser de iure divino, anzi doversi tralasciare, e maggiormente per la formula dal cardinale proposta, dove era tralasciato, se ben per loro sodisfazzione, piú che per altro rispetto, erano poste le parole che sono instituiti da Cristo.

 

 




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