[Il papa definisce due capi
dell'instituzione della residenza]
Il pontefice, che era restato molto afflitto
per la morte, successa in fine del mese inanzi, di Federico Borromeo, suo
nipote, al quale pensava di voltar tutta la grandezza della casa, avendolo
maritato in una figlia del duca d'Urbino, fattolo governator generale della
Chiesa, con trattato di dargli anco il ducato di Camerino, et oppresso dalla
gravezza del dolore era incorso in una indisposizione pericolosa alla sua età;
recreato alquanto, applicò l'animo alle cose del concilio. Tenne diverse
congregazioni per trovar temperamento sopra li doi canoni dell'instituzione e
della residenza, giudicati da tutta la corte molto pericolosi all'autorità
ponteficia; et a ritrovar modo come proveder alla prolissità de' prelati nel
dire le opinioni, come quella che portava il concilio in longo, lasciando una
porta aperta a tutti quelli che volessero entrar ad attentare contra la sua
degnità. Sopra tutto gli dava molestia quello che da' francesi era dissegnato,
massime che non riceveva mai lettere da Trento nelle quali non si dicesse che o
il cardinale di Lorena, o alcuno degl'ambasciatori non facevano instanza di
riforma, con aggionta che se non avessero potuto riportar le provisioni che
ricercavano, le farebbono in casa loro, e che ben spesso facevano menzione di
voler provisioni sopra le annate e prevenzioni et altre cose proprie spettanti
al pontefice romano. Deliberò di venir all'aperta co' francesi, e disse a
quelli che erano in Roma che, avendosi egli tante volte offerto di trattar col
re di quello che toccava li suoi proprii dritti e venire ad amicabile
composizione, e vedendo che i ministri del re in concilio sempre facevano
menzione di volerne trattar nella sinodo, era risoluto di veder se voleva
romper con lui a sí aperta dissensione. Diede ordine per corrier espresso in
Francia al suo noncio di parlarne. A Lorena scrisse che non si potevano
proponer in concilio quelle materie, senza contravenir alle promesse espresse
fatte dal re per mezo di monsignor d'Auxerre. Si querelò in consistoro della
impertinenza de' vescovi in Trento nell'allongar le materie per vanità. Essortò
li cardinali a scriver agl'amici loro, et a' legati scrisse che adoperassero le
minaccie e l'autorità, poiché le persuasioni non giovavano. Sopra gl'articoli
dell'instituzione scrisse che il dire assolutamente l'instituzione de' vescovi
esser de iure divino, era opinione falsa et erronea; perché la sola
potestà dell'ordine era da Cristo, ma la giurisdizzione era dal romano
pontefice, et in tanto si può dire da Cristo, perché la autorità ponteficia è
dalla Maestà Sua e tutto quello che il papa fa, lo fa Cristo mediante lui. E
scrisse per risoluzione che overo si tralasciassero assolutamente le parole de
iure divino, overo si proponesse nella forma che egli mandava, nella quale
si diceva Cristo aver instituito li vescovi da esser creati dal romano
pontefice, con distribuzione di quale e quanta autorità pareva a lui, per
beneficio della Chiesa, dargli, e con assoluta potestà di restringere et
amplificare la data, secondo che da lui è giudicato. Scrisse appresso che nel
particolare della residenza, essendo cosa chiara che il pontefice ha autorità
di dispensare, fosse per ogni buona cautela riservata l'autorità sua nel
decreto, nel quale non si poteva metter de iure divino, come aveva ben
provato il Catarino, dal parer del quale, come catolico, non si dovessero
partire. E quanto al tener la sessione, scrisse confusamente che non fosse
differita oltre li 15 giorni e che non si celebrasse senza aver le materie in
ordine, acciò non fosse presa occasione da' maligni di cavillare.
Per Trento passò una solenne ambasciaria
del duca di Baviera, inviata a Roma per ottener dal papa la communione del
calice. Ebbe audienza da' legati e trattò in secreto col cardinale di Lorena.
Fu causa di rinovar la controversia già sopita in quella materia, essendo li spagnuoli
e molti degl'italiani (se ben per voti della maggior parte s'era rimessa la
causa al papa) di parere che fosse pregiudicio al concilio, se, durante esso,
quell'uso s'introducesse. Si posero anco tutti li padri in moto per esser da
Roma gionte lettere a diversi prelati che s'averebbe sospeso il concilio; la
qual fama fu anco confermata da don Gioanni Manriques, che per Trento passò da
Germania a Roma. Ma li legati, ricevute le lettere del pontefice, giudicarono
impossibile esseguir gl'ordini da Roma venuti, e che fosse di bisogno dar al
pontefice informazione piú minuta delle cose occorrenti, di quella che si
poteva dar per lettere, e far capace il papa che non si può governar il
concilio come a Roma si pensa, et aver instruzzione da Sua Santità piú chiara
di quanto dovevano operare. Et essendo bisogno di persona di buono giudicio,
ben informata et a che doveva il papa aver credito, non trovarono migliore del
vescovo di Vintimiglia, il qual deliberarono d'ispedire in diligenza. Le feste
del Natale instante furono di opportuna commodità per far prima caminar
lentamente, poi per intermetter le congregazioni, e con aggio attender a
quell'espedizione, che fu il 26 del mese di decembre.
|