[Articoli di riforma de' francesi]
L'anno 1563 ebbe principio in concilio con
l'atto della presentazione che gl'ambasciatori francesi fecero de' capitoli
della riforma, che a' legati et a tutti li ponteficii parvero molto ardui: ne'
particolari, massime, dove si trattava d'alterar li riti della Chiesa romana e
dove erano toccati gl'emolumenti e dritti che la Sede apostolica riceve dalle
altre Chiese. E gl'ambasciatori alla presentazione aggionsero la solita
appendice, per non chiamarla protesta: che se quelle proposte non fossero
abbracciate, averebbono proveduto a' loro bisogni in Francia. Furono certi li
legati che dal pontefice sarebbono stati visti con alterazione, attesa la
promessa fattagli che non si sarebbe, intorno le annate et altre raggioni
pecuniarie, trattato in concilio, ma amicabilmente con lui. Ebbero per
necessario mandar un prelato a portargli et informar la Santità Sua;
inclinarono a mandar il vescovo di Viterbo, come ben informato delle cose di
Francia, per esservi dimorato molti anni noncio, e consapevole de' pensieri del
cardinale e prelati francesi del concilio, con quali aveva conversato dopo il
suo arrivo. Il che inteso dal cardinal di Lorena, gli confortò a cosí fare, et
esso ancora gli diede instruzzioni per parlar al pontefice. Quel vescovo fu
cosí destro che, quantonque fosse dal cardinale tenuto essergli mandato per
esploratore et osservatore, nondimeno seppe cosí ben maneggiarsi, che acquistò
la confidenza del cardinale e degl'ambasciatori, senza diminuir quella che il
pontefice et i legati avevano in lui. Andò questo prelato con instruzzione di
dover rapresentar al papa tutte le difficoltà che li legati sentivano, e di
riportarne risoluzione et ordine come in ciascun particolare dovessero
governarsi. Da Lorena ebbe instruzzione di supplicare il pontefice a ricever in
buona parte che fosse dal re ricercato quello che era necessario per il suo
regno, e da loro, che esseguivano li commandamenti regii, e d'offerir a Sua
Santità l'opera sua per accommodare le differenze dell'instituzione de' vescovi
e residenza, che tenevano il concilio impedito in cose leggieri.
I cesarei, veduta la riforma de' francesi
e considerato il proemio, parve loro d'esser notati come di poca autorità. Si
dolsero co' legati che gl'articoli di riforma raccordati dall'imperatore o da
loro non fossero stati proposti, quantonque ne avessero dato fuori copie,
mandate a Roma e disseminate per Trento, e ricercando che si ponessero insieme
con quei de' francesi. Si scusarono i legati per la facoltà, data loro
dall'imperatore con lettere e da essi ambasciatori a bocca, che proponessero e
tralasciassero quello che a loro pareva, soggiongendo che aspettavano tempo
opportuno, e che veramente li francesi non avevano trovato buona congiontura,
mentre che vive la differenza de' doi canoni, che dà molta necessità a Sua
Santità. Non restarono sodisfatti gl'ambasciatori, dicendo esser differenza dal
tralasciar il tutto ad una sola parte, e dal differire, tenendo tra tanto le
cose col debito rispetto, al propalarle e metterle in derisione. E replicando
Simoneta che era troppo difficile discernere quei da proporre, dove erano
manifesti quei da tralasciare; in fine si contentarono li cesarei che
s'aspettasse quello che il papa avesse detto alle proposte francesi, e poi si
fossero date fuori le loro. I prelati francesi avevano acconsentito con parole
generali a' capitoli spettanti a' riti et altri di gravame a vescovi, che in
secreto loro non approvavano, credendo che nella ventilazione d'essi dovessero
aver li spagnuoli e buona parte d'italiani contrarii; ma vedendo che si
mandavano a Roma, ebbero timore che, opponendosi il papa a quelli che toccavano
le sue entrate, fosse condesceso agli altri, e per composizione contentatosi
de' pregiudiciali a loro, per fuggir quei di suo interesse. Per questa causa si
diedero a far qualche secrete prattiche con altri prelati, persuadendo la
moderazione; il che facendo alla francese senza intiera cauzione, fu noto
agl'ambasciatori. Perilché Lansac gli congregò tutti e riprese acremente che
ardissero opponersi alla volontà regia, della regina, del conseglio tutto e del
regno; gl'essortò non solo a non contra operare, ma a promover la regia
deliberazione, e l'ammonizione fu in forma che si conosceva non senza rigore.
Ma prima che narrare la negoziazione di
Roma, è ben portar qui la sostanza della proposta francese, la qual fu
immediate stampata in Ripa et a Padoa; e conteneva: che gl'ambasciatori già
molto tempo avevano deliberato, esseguendo il commandamento del re, di proponer
al concilio le cose contenute in quel scritto; ma avendo l'imperatore fatto
propor quasi le stesse, per non importunar li padri, avevano aspettato di veder
la risoluzione sopra le proposte di Sua Maestà cesarea. Ma ricevuto nuovo
commandamento dal re e vedendo l'istanza dell'imperatore portata piú in longo
che non si pensava, avevano deliberato non differir piú, non volendo essi cosa
singolare, separata dal rimanente della cristianità; e che il re, desiderando
che si tenga conto delle cose da lui proposte, rimette nondimeno il giudicio e
la cognizione di tutte a' padri. Erano li capi 34:
1 Che non siano ordinati sacerdoti se non
vecchi con buona testimonianza del popolo, esperimentati per buona vita passata,
e siano punite le carnalità e transgressioni loro secondo li canoni.
2 Che gl'ordini sacri non siano conferiti
in un istesso giorno o tempo, ma chi ha d'ascender a' maggiori, sia provato ne'
minori.
3 Che non sia ordinato prete, al qual
insieme non sia dato beneficio o ministerio, secondo il concilio calcedonense,
quando non era conosciuto il titolo presbiterale senza ufficio.
4 Che sia restituita la debita fonzione a'
diaconi et altri ordini sacri, acciò non appaiano nudi nomi et in sola
ceremonia.
5 Che li preti et altri ministri
ecclesiastici attendino alla loro vocazione, né s'intromettino in altro ufficio
che nel divino ministerio.
6 Che non si faccia vescovo se non d'età
legitima, di costumi e dottrina che possi insegnar e dar essempio a' popoli.
7 Che non sia fatto piovano se non di
bontà provata, che possi insegnar al popolo, ben celebrar il sacrificio et
amministrar li sacramenti et insegnar l'uso et effetto di quelli a' recipienti
8 Che non sia creato abbate o prior
conventuale se non ha insegnato lettere sacre in una celebre università et
ottenuto il magisterio o altro grado.
9 Che il vescovo, per se stesso o per mezo
d'altri predicatori, in tanto numero che basti secondo la grandezza della
diocesi, ogni domenica e festa, e nella quadragesima i giorni di digiuno, e
nell'avvento e sempre che sarà opportuno debbia predicar.
10 Che l'istesso faccia il piovano quando
vi sono audienti.
11 Che l'abbate e prior conventuale legga
la Sacra Scrittura et instituisca ospitale, sí che siano restituite a'
monasterii le antiche scole et ospitalità.
12 Che i vescovi, piovani, abbati et altri
ecclesiastici inetti a far il loro ufficio ricevino per quello coadiutori, o
cedino a' beneficii.
13 Che per conto del catechismo et
instruzzione summaria della dottrina cristiana sia ordinato quello che la
cesarea Maestà ha proposto al concilio.
14 Che un solo beneficio sia conferito ad
uno, levata via la differenza della qualità di persone e di beneficii
compatibili et incompatibili, divisione nuova, incognita agl'antichi decreti,
causa di gran turbe nella Chiesa catolica, e li beneficii regolari siano dati
a' regolari, e li secolari a' secolari.
15 Che chi al presente ha doi o piú,
retenga quel solo che eleggerà tra breve tempo, altrimenti incorra la pena
degl'antichi canoni.
16 Che per levar ogni nota d'avarizia
dall'ordine sacerdotale, sotto qual si voglia pretesto, non sia ricchiesta
alcuna cosa per l'amministrazione delle cose sacre, ma sia provisto che li
curati con doi o piú chierici abbiano di che vivere et essercitar l'ospitalità;
dando ordine il vescovo con unione de beneficii o assignazione di decime,
overo, dove ciò non si potrà, provedendo il prencipe per subvenzioni e collette
imposte sopra le parochie.
17 Che nelle messe parochiali sia esposto
l'Evangelio chiaramente secondo la capacità del popolo, e le preghiere che il
paroco fa insieme col popolo siano in lingua volgare, e finito il sacrificio in
latino, facciano publiche orazioni in lingua volgare parimente, e si possi in
quel tempo e nell'altre ore cantar nella medesima lingua canti spirituali o
salmi di David approvati dal vescovo.
18 Che l'antico decreto della communione
sotto ambedue le specie di Leone e Gelasio sia rinovato.
19 Che inanzi l'amministrazione di ciascun
sacramento preceda in lingua volgare un'esposizione, sí che gl'ignoranti
intendino l'uso e l'efficacia.
20 Che secondo gl'antichi canoni, li
beneficii non siano conferiti da' vicarii, ma da' medesimi vescovi fra termine
di sei mesi, altrimenti la collazione si devolva al prossimo superiore e
gradatamente al papa.
21 Che li mandati di proveder le
espettative, li rigressi, le resignazioni in confidenza e le commende siano
rivocate e bandite dalla Chiesa come contrarie a' decreti.
22 Che le resignazioni in favore siano in
tutto esterminate dalla corte romana, essendo un eleggersi o dimandar il
successore, cosa proibita da' canoni.
23 Che li priorati semplici, a' quali
contra la fondazione è stata levata la cura delle anime et assignata ad un
vicario perpetuo con una picciola porzione di decima o d'altra entrata, alla
prima vacanza siano restituiti nello stato di prima.
24 Che li beneficii, a' quali non è
congionto alcun ufficio di predicar, amministrar sacramenti, o altro carico
ecclesiastico, dal vescovo, col conseglio del capitolo, sia imposta qualche
cura spirituale, o siano unite alle parochiali vicine, non dovendo, né potendo
esser alcun beneficio senza ufficio.
25 Che non siano imposte pensioni sopra
beneficii e le imposte siano abolite, accioché le entrate ecclesiastiche siano
spese nel viver de' pastori, de' poveri et altre opere pie.
26 Che a' vescovi sia restituita
intieramente la giurisdizzione ecclesiastica in tutta la diocese, levate tutte
le essenzioni, eccetto a' capi degl'ordini e monasterii che sono soggetti a
loro et a quelli che fanno capitoli generali, a' quali le essenzioni sono con
titolo legitimo concesse, provedendo però che non siano essenti dalla
correzzione.
27 Che il vescovo non usi la
giurisdizzione, né tratti negozii gravi della diocesi, se non con conseglio del
capitolo; e li canonici resedino continuamente nella catedrale, siano di buoni
costumi e scienza et almeno di 25 anni: perché inanzi quella età, non avendo
per le leggi libera potestà sopra li suoi beni, non debbono esser dati per
conseglieri a' vescovi.
28 Che li gradi di consanguinità, affinità
e parentela spirituale siano osservati, overo di nuovo riformati, ma non sia
lecito dispensar in quelli, eccetto tra li re e prencipi per ben publico.
29 Che essendo nate molte pertorbazioni per
causa delle imagini, proveda la sinodo che il popolo sia insegnato che cosa
debbia creder di quelle, e che siano levati gl'abusi e superstizioni, se alcune
siano introdotte nel culto d'esse. Il medesimo si faccia delle indulgenze,
peregrinaggi, reliquie de' santi, e delle compagnie o confraternità.
30 Che sia restituita nella Chiesa
catolica la publica et antica penitenza per i peccati gravi e publici, e posta
in uso; et ancora, per placar l'ira di Dio, sia restituito l'uso de' digiuni et
altri essercizii luttuosi e preghiere publiche.
31 Che la scommunica non sia decretata per
ogni sorte di delitto o contumacia, ma solo per i gravissimi e ne' quali il reo
perseveri dopo le ammonizioni.
32 Che per abbreviar o levar in tutto le
liti beneficiali, da' quali tutto l'ordine ecclesiastico è contaminato, sia
tolta via la distinzione di petitorio e possessorio, novamente trovata in
quelle cause; siano abolite le nominazioni delle università, sia commandato a'
vescovi di dar li beneficii non a chi gli ricerca, ma a chi gli fugge et è
meritevole, et il merito si potrà conoscer se dopo il grado ricevuto
nell'università, s'averà adoperato qualche tempo, col voler del vescovo et
approbazione del popolo, nelle prediche.
33 Che nascendo lite beneficiale, sia
creato un economo e li litiganti eleggano arbitri; il che se non faranno, il
vescovo gli dia, e quei fra sei mesi terminino la lite inappellabilmente.
34 Che le sinodi vescovali si faccino
almeno una volta all'anno, e le provinciali ogni tre anni, e le generali, quando
non vi sarà impedimento, ogni decimo.
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