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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro settimo
    • [Articoli di riforma de' francesi]
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[Articoli di riforma de' francesi]

L'anno 1563 ebbe principio in concilio con l'atto della presentazione che gl'ambasciatori francesi fecero de' capitoli della riforma, che a' legati et a tutti li ponteficii parvero molto ardui: ne' particolari, massime, dove si trattava d'alterar li riti della Chiesa romana e dove erano toccati gl'emolumenti e dritti che la Sede apostolica riceve dalle altre Chiese. E gl'ambasciatori alla presentazione aggionsero la solita appendice, per non chiamarla protesta: che se quelle proposte non fossero abbracciate, averebbono proveduto a' loro bisogni in Francia. Furono certi li legati che dal pontefice sarebbono stati visti con alterazione, attesa la promessa fattagli che non si sarebbe, intorno le annate et altre raggioni pecuniarie, trattato in concilio, ma amicabilmente con lui. Ebbero per necessario mandar un prelato a portargli et informar la Santità Sua; inclinarono a mandar il vescovo di Viterbo, come ben informato delle cose di Francia, per esservi dimorato molti anni noncio, e consapevole de' pensieri del cardinale e prelati francesi del concilio, con quali aveva conversato dopo il suo arrivo. Il che inteso dal cardinal di Lorena, gli confortò a cosí fare, et esso ancora gli diede instruzzioni per parlar al pontefice. Quel vescovo fu cosí destro che, quantonque fosse dal cardinale tenuto essergli mandato per esploratore et osservatore, nondimeno seppe cosí ben maneggiarsi, che acquistò la confidenza del cardinale e degl'ambasciatori, senza diminuir quella che il pontefice et i legati avevano in lui. Andò questo prelato con instruzzione di dover rapresentar al papa tutte le difficoltà che li legati sentivano, e di riportarne risoluzione et ordine come in ciascun particolare dovessero governarsi. Da Lorena ebbe instruzzione di supplicare il pontefice a ricever in buona parte che fosse dal re ricercato quello che era necessario per il suo regno, e da loro, che esseguivano li commandamenti regii, e d'offerir a Sua Santità l'opera sua per accommodare le differenze dell'instituzione de' vescovi e residenza, che tenevano il concilio impedito in cose leggieri.

I cesarei, veduta la riforma de' francesi e considerato il proemio, parve loro d'esser notati come di poca autorità. Si dolsero co' legati che gl'articoli di riforma raccordati dall'imperatore o da loro non fossero stati proposti, quantonque ne avessero dato fuori copie, mandate a Roma e disseminate per Trento, e ricercando che si ponessero insieme con quei de' francesi. Si scusarono i legati per la facoltà, data loro dall'imperatore con lettere e da essi ambasciatori a bocca, che proponessero e tralasciassero quello che a loro pareva, soggiongendo che aspettavano tempo opportuno, e che veramente li francesi non avevano trovato buona congiontura, mentre che vive la differenza de' doi canoni, che molta necessità a Sua Santità. Non restarono sodisfatti gl'ambasciatori, dicendo esser differenza dal tralasciar il tutto ad una sola parte, e dal differire, tenendo tra tanto le cose col debito rispetto, al propalarle e metterle in derisione. E replicando Simoneta che era troppo difficile discernere quei da proporre, dove erano manifesti quei da tralasciare; in fine si contentarono li cesarei che s'aspettasse quello che il papa avesse detto alle proposte francesi, e poi si fossero date fuori le loro. I prelati francesi avevano acconsentito con parole generali a' capitoli spettanti a' riti et altri di gravame a vescovi, che in secreto loro non approvavano, credendo che nella ventilazione d'essi dovessero aver li spagnuoli e buona parte d'italiani contrarii; ma vedendo che si mandavano a Roma, ebbero timore che, opponendosi il papa a quelli che toccavano le sue entrate, fosse condesceso agli altri, e per composizione contentatosi de' pregiudiciali a loro, per fuggir quei di suo interesse. Per questa causa si diedero a far qualche secrete prattiche con altri prelati, persuadendo la moderazione; il che facendo alla francese senza intiera cauzione, fu noto agl'ambasciatori. Perilché Lansac gli congregò tutti e riprese acremente che ardissero opponersi alla volontà regia, della regina, del conseglio tutto e del regno; gl'essortò non solo a non contra operare, ma a promover la regia deliberazione, e l'ammonizione fu in forma che si conosceva non senza rigore.

Ma prima che narrare la negoziazione di Roma, è ben portar qui la sostanza della proposta francese, la qual fu immediate stampata in Ripa et a Padoa; e conteneva: che gl'ambasciatori già molto tempo avevano deliberato, esseguendo il commandamento del re, di proponer al concilio le cose contenute in quel scritto; ma avendo l'imperatore fatto propor quasi le stesse, per non importunar li padri, avevano aspettato di veder la risoluzione sopra le proposte di Sua Maestà cesarea. Ma ricevuto nuovo commandamento dal re e vedendo l'istanza dell'imperatore portata piú in longo che non si pensava, avevano deliberato non differir piú, non volendo essi cosa singolare, separata dal rimanente della cristianità; e che il re, desiderando che si tenga conto delle cose da lui proposte, rimette nondimeno il giudicio e la cognizione di tutte a' padri. Erano li capi 34:

1 Che non siano ordinati sacerdoti se non vecchi con buona testimonianza del popolo, esperimentati per buona vita passata, e siano punite le carnalità e transgressioni loro secondo li canoni.

2 Che gl'ordini sacri non siano conferiti in un istesso giorno o tempo, ma chi ha d'ascender a' maggiori, sia provato ne' minori.

3 Che non sia ordinato prete, al qual insieme non sia dato beneficio o ministerio, secondo il concilio calcedonense, quando non era conosciuto il titolo presbiterale senza ufficio.

4 Che sia restituita la debita fonzione a' diaconi et altri ordini sacri, acciò non appaiano nudi nomi et in sola ceremonia.

5 Che li preti et altri ministri ecclesiastici attendino alla loro vocazione, né s'intromettino in altro ufficio che nel divino ministerio.

6 Che non si faccia vescovo se non d'età legitima, di costumi e dottrina che possi insegnar e dar essempio a' popoli.

7 Che non sia fatto piovano se non di bontà provata, che possi insegnar al popolo, ben celebrar il sacrificio et amministrar li sacramenti et insegnar l'uso et effetto di quelli a' recipienti

8 Che non sia creato abbate o prior conventuale se non ha insegnato lettere sacre in una celebre università et ottenuto il magisterio o altro grado.

9 Che il vescovo, per se stesso o per mezo d'altri predicatori, in tanto numero che basti secondo la grandezza della diocesi, ogni domenica e festa, e nella quadragesima i giorni di digiuno, e nell'avvento e sempre che sarà opportuno debbia predicar.

10 Che l'istesso faccia il piovano quando vi sono audienti.

11 Che l'abbate e prior conventuale legga la Sacra Scrittura et instituisca ospitale, che siano restituite a' monasterii le antiche scole et ospitalità.

12 Che i vescovi, piovani, abbati et altri ecclesiastici inetti a far il loro ufficio ricevino per quello coadiutori, o cedino a' beneficii.

13 Che per conto del catechismo et instruzzione summaria della dottrina cristiana sia ordinato quello che la cesarea Maestà ha proposto al concilio.

14 Che un solo beneficio sia conferito ad uno, levata via la differenza della qualità di persone e di beneficii compatibili et incompatibili, divisione nuova, incognita agl'antichi decreti, causa di gran turbe nella Chiesa catolica, e li beneficii regolari siano dati a' regolari, e li secolari a' secolari.

15 Che chi al presente ha doi o piú, retenga quel solo che eleggerà tra breve tempo, altrimenti incorra la pena degl'antichi canoni.

16 Che per levar ogni nota d'avarizia dall'ordine sacerdotale, sotto qual si voglia pretesto, non sia ricchiesta alcuna cosa per l'amministrazione delle cose sacre, ma sia provisto che li curati con doi o piú chierici abbiano di che vivere et essercitar l'ospitalità; dando ordine il vescovo con unione de beneficii o assignazione di decime, overo, dove ciò non si potrà, provedendo il prencipe per subvenzioni e collette imposte sopra le parochie.

17 Che nelle messe parochiali sia esposto l'Evangelio chiaramente secondo la capacità del popolo, e le preghiere che il paroco fa insieme col popolo siano in lingua volgare, e finito il sacrificio in latino, facciano publiche orazioni in lingua volgare parimente, e si possi in quel tempo e nell'altre ore cantar nella medesima lingua canti spirituali o salmi di David approvati dal vescovo.

18 Che l'antico decreto della communione sotto ambedue le specie di Leone e Gelasio sia rinovato.

19 Che inanzi l'amministrazione di ciascun sacramento preceda in lingua volgare un'esposizione, che gl'ignoranti intendino l'uso e l'efficacia.

20 Che secondo gl'antichi canoni, li beneficii non siano conferiti da' vicarii, ma da' medesimi vescovi fra termine di sei mesi, altrimenti la collazione si devolva al prossimo superiore e gradatamente al papa.

21 Che li mandati di proveder le espettative, li rigressi, le resignazioni in confidenza e le commende siano rivocate e bandite dalla Chiesa come contrarie a' decreti.

22 Che le resignazioni in favore siano in tutto esterminate dalla corte romana, essendo un eleggersi o dimandar il successore, cosa proibita da' canoni.

23 Che li priorati semplici, a' quali contra la fondazione è stata levata la cura delle anime et assignata ad un vicario perpetuo con una picciola porzione di decima o d'altra entrata, alla prima vacanza siano restituiti nello stato di prima.

24 Che li beneficii, a' quali non è congionto alcun ufficio di predicar, amministrar sacramenti, o altro carico ecclesiastico, dal vescovo, col conseglio del capitolo, sia imposta qualche cura spirituale, o siano unite alle parochiali vicine, non dovendo, né potendo esser alcun beneficio senza ufficio.

25 Che non siano imposte pensioni sopra beneficii e le imposte siano abolite, accioché le entrate ecclesiastiche siano spese nel viver de' pastori, de' poveri et altre opere pie.

26 Che a' vescovi sia restituita intieramente la giurisdizzione ecclesiastica in tutta la diocese, levate tutte le essenzioni, eccetto a' capi degl'ordini e monasterii che sono soggetti a loro et a quelli che fanno capitoli generali, a' quali le essenzioni sono con titolo legitimo concesse, provedendo però che non siano essenti dalla correzzione.

27 Che il vescovo non usi la giurisdizzione, né tratti negozii gravi della diocesi, se non con conseglio del capitolo; e li canonici resedino continuamente nella catedrale, siano di buoni costumi e scienza et almeno di 25 anni: perché inanzi quella età, non avendo per le leggi libera potestà sopra li suoi beni, non debbono esser dati per conseglieri a' vescovi.

28 Che li gradi di consanguinità, affinità e parentela spirituale siano osservati, overo di nuovo riformati, ma non sia lecito dispensar in quelli, eccetto tra li re e prencipi per ben publico.

29 Che essendo nate molte pertorbazioni per causa delle imagini, proveda la sinodo che il popolo sia insegnato che cosa debbia creder di quelle, e che siano levati gl'abusi e superstizioni, se alcune siano introdotte nel culto d'esse. Il medesimo si faccia delle indulgenze, peregrinaggi, reliquie de' santi, e delle compagnie o confraternità.

30 Che sia restituita nella Chiesa catolica la publica et antica penitenza per i peccati gravi e publici, e posta in uso; et ancora, per placar l'ira di Dio, sia restituito l'uso de' digiuni et altri essercizii luttuosi e preghiere publiche.

31 Che la scommunica non sia decretata per ogni sorte di delitto o contumacia, ma solo per i gravissimi e ne' quali il reo perseveri dopo le ammonizioni.

32 Che per abbreviar o levar in tutto le liti beneficiali, da' quali tutto l'ordine ecclesiastico è contaminato, sia tolta via la distinzione di petitorio e possessorio, novamente trovata in quelle cause; siano abolite le nominazioni delle università, sia commandato a' vescovi di dar li beneficii non a chi gli ricerca, ma a chi gli fugge et è meritevole, et il merito si potrà conoscer se dopo il grado ricevuto nell'università, s'averà adoperato qualche tempo, col voler del vescovo et approbazione del popolo, nelle prediche.

33 Che nascendo lite beneficiale, sia creato un economo e li litiganti eleggano arbitri; il che se non faranno, il vescovo gli dia, e quei fra sei mesi terminino la lite inappellabilmente.

34 Che le sinodi vescovali si faccino almeno una volta all'anno, e le provinciali ogni tre anni, e le generali, quando non vi sarà impedimento, ogni decimo.

 

 




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