[L'ambasciator di Savoia fa rimetter su
le congregazioni]
Nacque opportuna occasione di reassumer le
congregazioni, la venuta del vescovo d'Avosta ambasciatore del duca di Savoia,
nella quale dissegnando, dopo averlo ricevuto, rinovar la proposizione de'
canoni, mandarono il vescovo di Sinigaglia al cardinale di Lorena per pregarlo di
trovar qualche maniera come i francesi potessero ricever sodisfazzione. Gli
dimostrò il vescovo che quel termine di reggere la Chiesa universale era usato
da molti concilii; che quell'altro d'esser assonti in parte della sollecitudine
era usato da san Bernardo, scrittore tanto lodato da Sua Signoria
Illustrissima. A che rispose il cardinale che tutto 'l mondo era spettatore
delle azzioni del concilio; che si sapevano le openioni e voti di ciascuno; che
bisognava ben avvertire quello che si diceva; che di Francia erano state
mandate scritture contra le openioni che in Trento si tengono nelle questioni
trattate; che molti s'erano doluti di lui che procedi con troppo rispetto, e
specialmente in quella materia e della residenza che non abbia fatto la debita
instanza acciò siano dechiarate de iure divino; che per valersi d'un
termine usato da qualche scrittore, non si debbe concludere di parlar secondo
il senso di quello, importando molto dove il termine si ponga e che
congionzione abbia con le parole antecedenti e consequenti, da' quali possono
anco nascere opinioni contrarie; che a lui non danno fastidio li termini, ma i
sensi che si dissegna canonizare; che il dire il pontefice aver autorità di
regger la Chiesa universale non poteva esser ammesso da' francesi in modo
alcuno; e se per l'avvenire fosse stato proposto, gl'ambasciatori non averiano
potuto mancar di protestare il nome del re e di 120 prelati francesi, da' quali
averebbono avuto sempre il mandato di farlo; che quello sarebbe un pregiudicare
all'opinione che si tiene da tutti in Francia, che il concilio sia sopra il
papa. Le qual cose riferite da Sinigaglia a' legati, in presenza di molti
prelati italiani congregati là per consultare questa medesima materia, gli fece
entrar in dubio che fosse impossibile ridur li francesi.
Occorse anco nel medesimo tempo, cosa che
diede grand'animo a' spagnuoli, la venuta di Martin Guzdellun, del quale di
sopra s'è parlato; egli avendo veduto gl'andamenti di qualche giorno, si lasciò
intender d'aver chiaramente compreso che il concilio non era libero; lodava
molto il Uranata e diceva il re averlo in buona opinione, e che, se vacasse il
vescovado di Toledo, gliene faria mercede. Negoziate queste cose, venne la
dominica d'ultimo genaro, quando era intimata la congregazione generale per
ricever l'ambasciator di Savoia sopranominato; egli fece un breve
raggionamento, mostrando li pericoli in quali era lo stato del suo prencipe per
la vicinità degl'eretici e le spese grandi che faceva; essortò a finir presto
il concilio et a' pensar modi come far ricever li decreti a' contumaci, et
offerí tutte le forze del suo patrone. Gli fu risposto lodando la pietà e
prudenza di quel duca e rallegrandosi della venuta dell'ambasciatore.
Continuando le congregazioni, le dissensioni crescevano, e molti dimandavano
che fosse proposto il decreto della residenza formato da' due cardinali. Li
legati, vedendo tanti dispareri, dopo longhe consulte tra loro e consegli presi
co' prelati amorevoli, deliberarono che non fosse tempo di far decisione alcuna,
ma necessario d'interponervi tanta dilazione, che gl'umori da se medesimi
deponessero tanto fervore, overo si trovasse qualche ispediente per accordare
le differenze con prolongar il tempo della sessione; e per farlo d'accordo,
andarono tutti a casa di Lorena per conferirgli il loro pensiero e dimandargli
conseglio et aiuto. Egli si dolse delle conventicole e che con modi cosí
illeciti si pretendesse dar al papa quello che non gli veniva e togliere a'
vescovi quello che da Cristo era stato dato loro; mostrò che gli dispiacesse il
differire la sessione tanto tempo, nondimeno, per compiacere, se ne contentava:
ma ben gli pregò, poiché questo era a fine di moderar gl'animi, di far ufficii
efficaci che gl'inquieti et ambiziosi fossero raffrenati.
Nella congregazione de' 3 febraro propose
il cardinale di Mantova che, essendo prossimo il principio quadragesimale,
dovendo poi succeder li giorni santi e le feste di Pasca, si differisse la
sessione sino dopo quella, et in quel mentre si trattasse nelle congregazioni
la riforma pertinente all'ordine sacro e la materia del sacramento del
matrimonio. La proposta ebbe gran contradizzione. I francesi e spagnuoli quasi
tutti fecero instanza che si deliberasse una breve prorogazione e fosse
definita la materia dell'ordine insieme con la sua riforma, prima che trattare
del matrimonio; alla qual opinione aderivano anco alquanti italiani. Aggionsero
anco alcuni che la sessione si facesse con le cose decise, et in particolare si
stabilisse il decreto della residenza formato da' cardinali, e da alcuni fu
accennato che era grand'indegnità del concilio l'aver prolongato tante volte di
termine in termine, e che si mostrava di voler violentar i padri con la
stanchezza ad acconsentire alle opinioni che non sentivano in conscienza; però
che si dovesse far la sessione e risolver le materie secondo il numero
maggiore. Non fu anco tacciuto che quella distinzione di sessione e
congregazione generale non era reale, et intervenendo cosí in questa, come in
quella le medesime persone e l'istesso numero intiero, si dovesse aver per
deciso quello che fosse deliberato nella congregazione generale. Dopo gran
contenzione fu risoluto per il numero del piú la dilazione sino a' 22 aprile,
non rimovendosi l'altra parte dalla contradizzione. Il cardinale di Lorena, se
ben mostrò consentire a complacenza, ebbe però caro per proprio interresse la
dilazione per quattro cause: perché fra tanto averebbe veduto quello che
succedesse della salute del papa; averebbe avuto commodità di trattar
coll'imperatore, et intender la mente del re Catolico, et averebbe visto il
successo delle cose in Francia, onde potesse poi deliberar con fondamento
maggiore.
Il dí seguente gl'ambasciatori francesi
fecero grand'e longa instanza a' legati che si trattasse la riforma e fossero proposte
le loro petizioni, prima che s'incomminciasse a trattar la materia del
matrimonio. I legati risposero che il concilio non doveva ricever leggi da
altri, e se da' prencipi sono proposte cose convenienti, è il dovere avervi
sopra considerazione in quelle opportunità che giudicassero li presidenti; che
se nelle petizioni loro vi saranno cose pertinenti alla materia dell'ordine,
proponeranno quelle insieme, e successivamente le altre a suo tempo. Questa
risposta non contentando gl'ambasciatori, replicarono l'instanza, aggiongendo
che, se non volevano far la proposizione, si contentassero che da loro medesimi
fosse fatta, overo gli dassero aperta negativa; soggiongendo quasi in forma di
protesto che il continuare con risposte ambigue, sarebbe da loro tenuto per
equivalente ad una negativa derisoria. Presero li legati termine di 3 giorni a
dargli risposta piú precisa, et in questo mezo fecero opera con Lorena che
gl'acquietasse, facendogli contentar d'aspettare sin che venisse da Roma
risposta sopra gl'articoli loro mandati.
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