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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro settimo
    • [Renes giunge a Trento per menar Lorena a Cesare, onde nascono sospetti]
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[Renes giunge a Trento per menar Lorena a Cesare, onde nascono sospetti]

Arrivò in Trento il vescovo di Renes, ambasciator di Francia all'imperatore, il quale avendo trattato con Lorena, quel cardinale andò a' legati e diede loro conto che sino al suo partir di Francia aveva ricevuto commissione dal re d'andar alla Maestà cesarea, il che dissegnava far tra pochi , dovendo esser Cesare in Ispruc et essendo venuto Renes a levarlo. Diede anco conto del medesimo viaggio al papa con sue lettere, nelle quali toccò il modo di proceder degl'italiani nel concilio, aggiongendo un motto, che, continuandosi in tal guisa, pregherà Dio che l'inspiri a far cosa di suo santo servizio. Di questa andata s'era raggionato qualche mese prima e però quando si publicò non furono cosí grandi li sospetti come se sprovista fosse stata. Si teneva per fermo da tutti che fosse per concertar nelle cose del concilio, e particolarmente per trattar come introdur l'uso del calice; e questo perché il cardinale in piú occasioni e con diversi prelati detto aveva che l'imperatore, li re de' Romani e di Francia, sin tanto che non ottengano l'uso del calice, daranno sempre nuove petizioni di riforma, quantonque si dovesse star doi anni in concilio; ma concedendo loro questa grazia, si quieterebbono facilmente, e che il sodisfar quei prencipi era un ottimo rimedio per ritener quei regni in ubedienza; che non era possibile ottener quella grazia dal pontefice per la contrarietà che averebbe da' cardinali, aborrenti da questa concessione; che non s'era ottenuta già in concilio, perché non fu ben maneggiato il negozio; vi era però speranza che, portandosi co' debiti modi, s'ottenesse. Ma quelli che piú attentamente osservavano li progressi del cardinale avvertivano una gran varietà di parlar: perché ora diceva che, non si risolvendo le cose, sarà costretto a partire la Pasca o alla Pentecoste; ora che si starà in Trento 2 anni; et ora proponendo modi di finir presto il concilio, ora proponendo partiti da eternarlo: indicii manifesti che egli non aveva ancora scoperto la sua intenzione. E prendevano sospetto del cauto proceder, il qual argomenta animo di voler con arte giustificar le sue raggioni et onestar la sua causa: onde considerando che in Ispruc dovevano intervenire ancora il re de Romani, il duca di Baviera, l'arcivescovo di Salzburg e l'arciduca Ferdinando, si teneva che quell'abboccamento non potesse apportar se non novità, attesa la poca sodisfazzione mostrata dall'imperatore sino allora del concilio e l'unione che in tutte le cose s'era veduta tra lui e Francia, potendosi pensare che il re di Spagna aderisca anco a quella parte, essendo tanto congionto con loro di sangue, massime essendosi divulgato che quel re, per lettere sue de' 8 genaro al conte di Luna, gl'aveva commesso d'intendersi coll'imperatore e con Francia nelle cose della riforma e della libertà del concilio. In questi giorni fra Feliciano Ninguarda, procurator dell'arcivescovo di Salzburg presentò lettere di quel prencipe e fece instanza che li procuratori de' vescovi di Germania potessero dar voto in congregazioni, affermando che, se cosí si facesse, altri vescovi di Germania manderebbono procuratori; ma, negandolo, et esso e gl'altri, per non star occiosi, partirebbono. Fu risposto che s'averebbe avuto considerazione e deliberato conforme al giusto; e di tanto fu dato conto a Roma per non risolver manco questo particolare senza aviso di . Ma per l'occupazioni nell'uno e l'altro luogo in cose maggiori, non se ne parlò piú.

 

 




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