[Renes giunge a Trento per menar Lorena
a Cesare, onde nascono sospetti]
Arrivò in Trento il vescovo di Renes,
ambasciator di Francia all'imperatore, il quale avendo trattato con Lorena, quel
cardinale andò a' legati e diede loro conto che sino al suo partir di Francia
aveva ricevuto commissione dal re d'andar alla Maestà cesarea, il che
dissegnava far tra pochi dí, dovendo esser Cesare in Ispruc et essendo venuto
Renes a levarlo. Diede anco conto del medesimo viaggio al papa con sue lettere,
nelle quali toccò il modo di proceder degl'italiani nel concilio, aggiongendo
un motto, che, continuandosi in tal guisa, pregherà Dio che l'inspiri a far
cosa di suo santo servizio. Di questa andata s'era raggionato qualche mese
prima e però quando si publicò non furono cosí grandi li sospetti come se
sprovista fosse stata. Si teneva per fermo da tutti che fosse per concertar
nelle cose del concilio, e particolarmente per trattar come introdur l'uso del
calice; e questo perché il cardinale in piú occasioni e con diversi prelati
detto aveva che l'imperatore, li re de' Romani e di Francia, sin tanto che non
ottengano l'uso del calice, daranno sempre nuove petizioni di riforma,
quantonque si dovesse star doi anni in concilio; ma concedendo loro questa
grazia, si quieterebbono facilmente, e che il sodisfar quei prencipi era un
ottimo rimedio per ritener quei regni in ubedienza; che non era possibile
ottener quella grazia dal pontefice per la contrarietà che averebbe da'
cardinali, aborrenti da questa concessione; che non s'era ottenuta già in
concilio, perché non fu ben maneggiato il negozio; vi era però speranza che,
portandosi co' debiti modi, s'ottenesse. Ma quelli che piú attentamente
osservavano li progressi del cardinale avvertivano una gran varietà di parlar:
perché ora diceva che, non si risolvendo le cose, sarà costretto a partire la
Pasca o alla Pentecoste; ora che si starà in Trento 2 anni; et ora proponendo
modi di finir presto il concilio, ora proponendo partiti da eternarlo: indicii
manifesti che egli non aveva ancora scoperto la sua intenzione. E prendevano
sospetto del cauto proceder, il qual argomenta animo di voler con arte
giustificar le sue raggioni et onestar la sua causa: onde considerando che in
Ispruc dovevano intervenire ancora il re de Romani, il duca di Baviera,
l'arcivescovo di Salzburg e l'arciduca Ferdinando, si teneva che
quell'abboccamento non potesse apportar se non novità, attesa la poca
sodisfazzione mostrata dall'imperatore sino allora del concilio e l'unione che
in tutte le cose s'era veduta tra lui e Francia, potendosi pensare che il re di
Spagna aderisca anco a quella parte, essendo tanto congionto con loro di
sangue, massime essendosi divulgato che quel re, per lettere sue de' 8 genaro
al conte di Luna, gl'aveva commesso d'intendersi coll'imperatore e con Francia
nelle cose della riforma e della libertà del concilio. In questi giorni fra
Feliciano Ninguarda, procurator dell'arcivescovo di Salzburg presentò lettere
di quel prencipe e fece instanza che li procuratori de' vescovi di Germania
potessero dar voto in congregazioni, affermando che, se cosí si facesse, altri
vescovi di Germania manderebbono procuratori; ma, negandolo, et esso e
gl'altri, per non star là occiosi, partirebbono. Fu risposto che s'averebbe
avuto considerazione e deliberato conforme al giusto; e di tanto fu dato conto
a Roma per non risolver manco questo particolare senza aviso di là. Ma per
l'occupazioni nell'uno e l'altro luogo in cose maggiori, non se ne parlò piú.
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