[Lettera del re di Francia, che chiede
riforma. Lorena va a Cesare]
Il dí 11 febraro in congregazione
presentarono li francesi una lettera del re loro de 18 genaro, nella quale
diceva che, se ben era certo essere stata data parte alla sinodo dal cardinal
di Lorena della felice vittoria contra gl'inimici della religione, all'audacia
de' quali egli era sempre fatto e fa alla giornata opposizione, senza rispetto
di difficoltà o pericoli, esponendo anco la vita sua propria, come convien ad
un figlio primogenito della Chiesa e Cristianissimo, con tutto ciò voleva anco
egli medesimo dar loro parte della stessa allegrezza, e sapendo che li rimedii
salutari per i mali che affligono le provincie cristiane sono sempre stati
ricchiesti da' concilii, gli pregava per amor di Cristo d'una emmendazione e
riformazione conveniente all'espettazione che il mondo ha concetto di loro; e
sí come egli e tanti uomini singolari con lui hanno consecrato la vita e sangue
a Dio in quelle guerre, cosí essi per il carico loro vogliano con sincerità di
conscienza attender al negozio per il quale sono congregati. Le qual lettere
lette, l'ambasciatore Ferrier parlò a' padri in questa sostanza: che avendo
essi inteso dalle lettere del re e, per l'inanzi, dalle orazione del cardinale
di Lorena e vescovo di Metz la desolazione di Francia et alcune vittorie del
re, non voleva replicarle, ma gli bastava dir che l'ultima vittoria, attese le
forze dell'inimico, fu miracolosa, e di ciò esserne indizio che l'inimico vinto
vive e trascorre danneggiando per le viscere di Francia. Ma voleva voltar il
parlar a loro, unico rifugio delle miserie, senza quali la Francia non poteva
conservar le tavole del naufragio. Diede l'essempio dell'essercito israelitico,
che non bastò vincere Amalec, se le mani da Moisè a Dio elevate e sostentate da
Aron et Ur, non avessero aiutato li combattenti. Che al re di Francia non
mancano forze, un magnanimo capitano, il duca di Ghisa, la regina madre per
maneggiar il negozio della guerra e pace; ma non vi è altro Aron et Ur che essi
padri per sostentar le mani del re Cristianissimo co' decreti sinodali, senza
quali gl'inimici non si reconcilieranno, né li catolici si conserveranno nella
fede; non esser l'umore de' cristiani quello che già inanzi 50 anni fu: ora
tutti li catolici esser come i samaritani, che non credettero alla donna le
cose che di Cristo narrò, se non avendone fatto inquisizione et inteso per
propria cognizione; che buona parte del cristianesmo studia le Scritture; che a
questo guardando il re Cristianissimo non aveva dato agl'ambasciatori suoi
altre instruzzioni se non conformi a quelle, et essi ambasciatori le hanno
presentate a' legati, li quali presto le proponeranno ad essi padri, come hanno
promesso, a' quali il Cristianissimo principalmente le manda, aspettandone il
loro giudicio. Che la Francia non dimanda cosa singolare, ma commune con la
Chiesa catolica; che se alcuno si maraviglierà nelle proposte loro esser state
tralasciate le cose piú necessarie, tenga per fermo che s'è incomminciato dalle
piú leggieri per proponer le piú gravi a suo tempo et alle leggieri dar facile
essecuzione; la quale se essi padri non incommincieranno inanzi il partire di
Trento, grideranno li catolici, rideranno gl'avversarii, diranno non mancar
scienza a' padri tridentini, ma volontà d'operare, aver statuito buone leggi,
senza toccarle pur con un dito, ma lasciandone l'osservanza a' posteri. E se
alcuno nelle dimande essibite reputa che vi sia cosa conforme a' libri
degl'avversarii, gli giudica indegni di risposta; et a quelli che le tengono
per immoderate, altro non vuol dire se non quello di Cicerone: esser
un'assordità desiderar temperanza di mediocrità in cosa ottima, tanto migliore,
quanto maggiore; e che lo Spirito Santo disse a' tepidi moderatori di dovergli
reiettar fuori del corpo; considerassero li padri il giovamento ch'ebbe la
Chiesa per l'emendazione moderata del concilio di Costanza e nel seguente, che
non voleva nominar per non offender le orecchie d'alcuno, e parimente ne'
concilii di Ferrara, Fiorenza, laterano e tridentino primo, e quanti generi
d'uomini, quante provincie, regni e nazioni dopo quelli si sono partiti dalla
Chiesa. Voltò il parlar a' padri italiani e spagnuoli, dicendo che una seria
emenda della disciplina ecclesiastica era di loro maggior interresse che del
vescovo di Roma, pontefice massimo, sommo vicario di Cristo, successor di
Pietro, che ha suprema potestà nella Chiesa di Dio. Trattarsi ora della vita e
dell'onor loro; perilché non voleva estendersi piú longamente.
Al contenuto delle lettere del re et
all'orazione dell'ambasciator fu risposto con lode di quella Maestà per le cose
pienamente e generosamente operate, e con un'essortazione come se fosse
presente ad imitare i suoi maggiori, voltando tutti li suoi pensieri alla
difesa della Sede apostolica e conservazione della fede antica, e prestar
orecchie [a quelli] che predicano la fermezza del regno di Dio, e non a chi
mette inanzi l'utilità presente et un'imaginaria tranquillità e pace, che non
sarà vera pace; aggiongendo che il re cosí farà con l'aiuto divino, e per la
bontà della sua natura e per i consegli della regina madre e della nobiltà
francese. Ma la sinodo metterà ogni studio per definir le cose necessarie alla
emendazione della Chiesa universale, et ancora quelle che toccano li commodi et
interessi della particolare del regno di Francia. In fine della congregazione
propose il cardinale di Mantova che per breve ispedizione le congregazioni de'
teologi si tenessero due volte al giorno, e fossero deputati prelati per propor
la correzione degl'abusi nella materia dell'ordine: e cosí fu decretato.
Penetrò nell'animo de' ponteficii il
parlar dell'ambasciator come pongente, ma in particolare in quello che disse
gl'articoli esser inviati principalmente alla sinodo, come parole contrarie al
decreto che li soli legati potessero propor: il quale stimavano principal
arcano per conservar l'autorità ponteficia. Ma piú si mossero per quello che
disse d'aver differito la proposizione delle cose piú importanti in altro
tempo: perché da questo si cavavano gran consequenze, e massime quello di che
avevano sempre temuto, cioè che ' francesi non avessero ancora scoperto li loro
dissegni e machinassero qualche grand'impresa. L'aver anco interpellato li
padri italiani e spagnuoli come altrimente interessati che il papa era stimato
modo di trattar sedizioso. L'ambasciator Ferrier diede fuori copia
dell'orazione da lui fatta e per quelle parole dove, nominando il papa, di lui
disse: «il quale ha suprema potestà nella Chiesa di Dio», notarono alcuni prelati
ponteficii che nel recitarla avesse detto: «il qual ha piena potestà nella
Chiesa universale», tirando a favor della loro opinione quelle parole e
disputando tanto esser: aver piena potestà nella Chiesa universale, quanto:
regger la Chiesa universale, che li francesi aborrivano tanto nel decreto
dell'instituzione: ma esso e li francesi affermavano lui aver prononciato come
nella scritta si conteneva.
Partí Lorena il dí seguente per Ispruc per
visitar l'imperatore et il re de' Romani, con 9 prelati e 4 teologi, tenuti li
piú dotti. Ebbe prima promessa da' legati che, mentre stava assente, non
s'averebbe trattato l'articolo del matrimonio de' preti, il che egli cercò
instantemente, acciò non fosse deliberata o preconcepita qualche cosa contraria
alla commissione che egli aveva dal re d'ottener dal concilio dispensa che il
cardinale di Borbone potesse maritarsi. Partí ancora per Roma il cardinale
Altemps ricchiamato dal pontefice per valersi di lui in maneggiar una condotta
de soldati, che dissegnava fare per sua sicurezza; perché avendo inteso farsi
genti in Germania da' duchi di Sassonia e Vittemberg e dal lantgravio d'Assia,
quantonque fosse tenuto da tutti che fosse per soccorrer gl'ugonotti di
Francia, nondimeno, considerato che il conte di Luna aveva scritto esser gran
desiderio ne' tedeschi d'invader Roma e che si raccordavano del sacco di già
trentasei anni, giudicava che non fosse prudenza il lasciarsi sopraprendere
sprovistamente; anzi, per questa medesima causa fece rinovar con tutti li
prencipi italiani il negozio di collegarsi insieme alla difesa della religione.
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