[Il papa, offeso, risponde
risentitamente]
Fu questa lettera spedita sotto li 3 marzo,
della quale il pontefice restò molto offeso, parendogli che l'imperatore
volesse abbraciare molto piú che quanto s'estendeva l'autorità sua, passando
anco li termini degl'altri imperatori antecessori suoi e piú potenti di lui.
Piú restò ancora offeso per esser avisato dal suo noncio che s'era mandato
copia della medesima lettera a' prencipi et al cardinale di Lorena ancora; la
qual cosa ad altro fine non poteva esser fatta, se non per commover loro e
giustificar le azzioni proprie. S'aggionse appresso che il dottore Scheld, gran
cancelliere dell'imperatore, aveva persuaso il Delfino, noncio pontificio a
quella corte, ad operare che si levassero quelle parole «Universalem
Ecclesiam», per non fomentar l'opinione della superiorità del papa al concilio,
con dire che questi non erano tempi di trattar tal cosa, e che la Maestà
cesarea et esso ancora sapevano che Carlo V di felice memoria in questo
articolo teneva contraria opinione, e che si doveva fuggir il dar occasione a
Sua Maestà et agl'altri prencipi di decchiarar l'opinione che tengono in questo
punto. Le qual cose, congiongendo con quello che Lorena medesimo gl'aveva
scritto, cioè che non era ora né tempo di trattar la difficoltà delle parole
«Universalem Ecclesiam» ecc., e con l'aviso venuto da Trento, che quel
cardinale diceva non poter, né esso, né i prelati francesi comportarle, per non
canonizare un'opinione contraria a tutta la Francia e che s'ingannavano quelli,
quali si credevano che, quando si fosse venuto al parlar chiaro e dimandar
decchiarazione che il papa non sia sopra il concilio, quell'opinione saria
stata favorita et aiutata piú di quello che altri si pensava, le qual cose
mostravano che di questo punto fu trattato strettamente alla corte imperiale,
queste cose attese, venne il pontefice in parere di far una buona risposta e di
mandar esso ancora attorno per propria giustificazione.
Rescrisse adonque il pontefice
all'imperatore che aveva convocato il concilio con participazione sua e de'
altri re e prencipi, non perché la Sede apostolica avesse bisogno nel governo
della Chiesa d'aspettar il consenso di qual si voglia autorità, avendone piena
potestà da Cristo; che tutti gl'antichi concilii sono stati congregati per
auttorità del pontefice romano, né mai alcun prencipe si è interposto in questo,
se non puro essecutore; che egli non ha avuto mai pensiero né di sospendere, né
di discioglier il concilio, ma ha sempre giudicato che per servizio di Dio si
debbia metterci compito fine; che non era impedita, ma aiutata la libertà del
concilio con le consulte che in Roma si facevano nelle materie medesime; che
mai si è celebrato concilio, senza la presenzia del pontefice, dove dalla Sede
apostolica non sia mandata instruzzione e seguitata anco da' padri; che restano
ancora le instruzzioni, le quali papa Celestino mandò al concilio efesino, papa
Leone al calcedonense, papa Agato al trullano, papa Adriano I al niceno
secondo, et Adriano II all'ottavo generale constantinopolitano; che quanto al
proponer in concilio, quando il romano pontefice è stato presente ne' concilii
egli solo ha sempre proposto le materie, anzi egli solo le ha risolute, non
avendovi il concilio posto altro che l'approbazione; in assenza del pontefice,
aver proposto li legati, overo dal medesimo esser stati deputati proponenti, e cosí
il concilio in Trento aver deliberato che li legati proponessero; il che è
necessario per servar qualche ordine; ché sarebbe una gran confusione, quando
tumultuariamente e quando uno contra l'altro potessero metter a campo cose
sediziose et inconvenienti; non però esser stato negato mai di proponer tutte
le cose utili; che ha sentito con dispiacere le prattiche fatte da diversi
contra l'autorità data da Cristo alla Sede apostolica; esser pieni tutti li
libri de' padri e concilii che il pontefice, successor di Pietro e vicario di
Cristo, è pastor della Chiesa universale; e con tutto ciò contra questa verità
s'erano fatte in Trento molte conventicole e prattiche, e tuttavia la Chiesa ha
sempre usato quella forma di parlare, come Sua Maestà potrebbe veder ne' luoghi
che gli mandava citati nell'incluso foglio; e soggionse tutti li mali presenti
esser nati, perché li suoi legati, a fine d'ovviare che le cattive lingue non
parlassero contra la libertà del concilio, con usar connivenza avevano lasciato
vilipender la loro autorità, onde il concilio si poteva dir piú tosto
licenzioso che libero. Che quanto alla riforma, egli la desidera rigida et
intiera, et ha continuamente sollecitato li legati a risolverla. Che per quel
che tocca alla sua corte, erano note al mondo le molte provisioni che aveva
fatto, con diminuzione anco delle entrate sue, e se alcuna cosa restava a fare
non era per tralasciarla; ma non si poteva far in Trento che stesse bene,
perché non essendo quei prelati informati, in luogo di riformarla, la disformarrebbono
maggiormente; che desiderava tra tanto veder qualche riforma anco nelle altre
corti, che non avevano minor bisogno, delle cose della Chiesa tuttavia
solamente parlando; e che forse dagl'abusi di quelle nasce il male
principalmente. Che quanto alle petizioni proposte dagl'ambasciatori di Sua
Maestà e dagl'altri, egli ha sempre scritto che fossero essaminate e discusse,
ciascuna al tempo conveniente; perché essendo già instituito et incaminato
l'ordine di terminar in concilio insieme le materie di fede e riformar gl'abusi
concernenti quelle, non si potrebbe senza confusione et indegnità alterarlo;
che avendo Sua Maestà toccato diversi disordini del concilio, aveva tralasciato
il principale e fonte degl'altri, cioè che quelli che debbono pigliar legge da'
concilii vogliono dargliela; che se fosse immitata la pietà di Constantino e
de' doi Teodosii e seguiti li loro essempi, il concilio sarebbe senza divisione
tra li padri et in somma riputazione appresso il mondo. Che nissuna cosa
desiderava piú che intervenire personalmente in concilio per rimediare al poco
ordine che si serva, ma per sua età e per gl'altri negozii non meno importanti,
esservi impossibile l'andar a Trento, e di trasferirlo dove potesse andar non
parlerebbe, per non dar sospetto.
Dubitò il pontefice che gl'interressi
dell'imperatore e di Francia in modo alcuno non potessero unirsi co' suoi, e
però di loro poco si poteva prometter e meno sperare, poiché essi non pensavano
al concilio se non quanto gli preme per proprii interessi de' loro Stati, e
però dal concilio essi altro non voler, se non quello che possi dar
sodisfazzione e contentar i loro popoli, e, non potendo ottenerlo, impedir il
fine del concilio per mantenergli in speranza. Questi interessi non poter
muover il re di Spagna che ha li popoli catolici, onde può conformarsi col
voler di esso pontefice senza pregiudicio de' suoi Stati, anzi gl'è utile
d'esser tutto unito con lui per ottener delle grazie; e però esser necessario
sollecitarlo con continui officii e dargli speranza d'ogni sodisfazzione. Et
opportunamente arrivò a Roma Luigi d'Avila, mandato espresso dalla Maestà
catolica, il qual il papa onorò sopra modo, lo alloggiò nel suo palazzo nelle
stanze dove soleva abitar il conte Federico Borromeo, suo nipote, et usò seco
ogni effetto di cortesia. Le cause perché fu mandato furono per ottener dal
pontefice prorogazione per altri 5 anni del sussidio del clero concessogli e
grazia di vender 25000 scudi de' vassallatichi delle chiese. Aveva anco in
commissione di procurare dispensa di matrimonio tra la prencipessa sorella del
re e Carlo, suo figliuolo, la qual in Spagna si teneva per facile, poiché
molti, eziandio tra privati, erano dispensati di contraer matrimonio con la
figlia del fratello o della sorella, che sono pari in grado a quello di pigliar
la sorella del padre; oltra che d'un matrimonio di questa sorte nacquero Mosè
et Aaron. Alle qual proposizioni, quanto al matrimonio il papa s'offerí a tutto
quello dove s'estendeva l'autorità sua, dicendo che farebbe consultare; ma la
trattazione non caminava inanzi per l'infermità che successe alla prencipessa,
che levò ogni speranza di matrimonio. E quanto al sussidio et all'alienazione,
mostrò il pontefice animo pronto, ma difficoltà di metterlo in effetto, mentre
li prelati stavano in spese nel concilio; promettendo che se il re l'aiutasse a
finirlo e liberarsene, egli lo gratificherebbe. Quanto alle cose del concilio,
nelle prime audienze don Luigi non passò molto inanzi; solo offerí di procurare
la conservazione dell'autorità ponteficia et essortò il pontefice a non trattar
di far lega de' catolici, accioché gl'eretici non la facessero tra loro e che
Francia non si precipitasse ad ogni accordo con gl'ugonotti.
|