[I cesarei vogliono richiedere il
calice. Residenza rimessa in campo]
In questo mentre in Trento si facevano
diverse adunanze: gl'ambasciatori cesarei adunarono i prelati spagnuoli in casa
dell'arcivescovo di Granata, per indurgli a consentir che nel concilio si
concedesse l'uso del calice, con dissegno di propor di nuovo quella materia; ma
gli trovarono tanto alieni, che furono costretti metterla in silenzio. Il
cardinale di Lorena fece molte congregazioni co' suoi prelati e teologi per
essaminare li luoghi mandati dal pontefice all'imperatore, nel foglio di sopra
riferito, e dall'imperatore a lui sopra le parole «Universalem Ecclesiam»,
facendo veder se quei passi erano citati direttamente e se gli era dato il vero
sentimento, per formare, come poi fecero, un'altra scrittura in confutazione di
quella. Questi medesimi luoghi ordinò l'imperatore che fossero communicati a'
spagnuoli per sentir il parer loro; il che avendo fatto il Cinquechiese, dove
tutti li prelati spagnuoli erano congregati a questo effetto, rispose Granata
non esser bisogno che Sua Maestà facesse quell'opera con loro, che ricevevano
il concilio fiorentino, ma co' francesi, che ricevevano il basileense. Mossi da
questo accidente, alcuni di loro, dopo la partita del Cinquechiese, trattarono
che si scrivesse una lettera al papa per levar quella sinistra openione che
avesse concetto di loro; a che ripugnò Granata, dicendo che bastava al papa
conoscer da' voti loro che in questo non erano contrarii, ma però non esser
giusto che secondassero le adulazioni degl'italiani, e soggionse le formali
parole: restituisca a noi il nostro, che noi lasciamo a lui piú che è il suo e
non è giusto che de vescovi diventiamo suoi vicarii. Et un altro giorno li
medesimi cesarei s'adunarono con gl'ambasciatori francesi per metter ordine di
far instanza tutti insieme che fosse proposto il decreto della residenza,
formato dal cardinale di Lorena; il che non potero né essi, né Lorena impetrare
da varmiense e Simoneta, ché Seripando per infermità non interveniva.
Occorse che nella congregazione de' 17
marzo uno de' teologi francesi, trovata opportunità di degredire dalla
continenza de' sacerdoti alla residenza, s'estese, consummando tutto 'l
raggionamento sopra di quella. Addusse autorità et essempii a persuader che
fosse de iure divino e rispondere a quella obiezzione che si trovano
tanti canoni e decreti che la commandano, il che non sarebbe, se fosse
commandata da Dio. Usò questo concetto: che il ius divino è fondamento overo
colonna della residenza e che il ius canonico è l'edificio, overo il volto; e
sí come levato il fondamento casca l'edificio, e levata la colonna cade il
volto, cosí è impossibile conservar la residenza col solo ius canonico, e
quelli che la vogliono a quel solo ascrivere, altra mira non hanno se non di
destruggerla. Addusse gl'essempii de' tempi passati, osservando che inanzi
tutti li canoni e decreti umani la residenza fu esquisitamente da tutti
osservata, perché ciascuno si teneva obligato da Dio. Ma dopo che alcuni si
sono persuasi non aver altro obligo che derivato da leggi umane, quantonque
quelle siano state spesso rinovate e fortificate con pene, nondimeno il tutto è
sempre riuscito in peggio.
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