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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro settimo
    • [Gionta del Morone e del conte di Luna in Trento]
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[Gionta del Morone e del conte di Luna in Trento]

Ma in Trento l'assenza di Lorena e l'espettazione della venuta de' nuovi legati, con opinione che si dovesse mutar forma di proceder in concilio, e li giorni della passione e della Pasca instanti, diedero un poco di quiete dalle negoziazioni. Il venerdí santo ritornò il cardinale Madruccio per onorar il legato Morone che s'aspettava, il quale il sabato santo, sul tardi, fece l'entrata ponteficalmente sotto il baldachino, incontrato da' legati, ambasciatori e padri del concilio, e dal clero della città, e condotto alla chiesa catedrale, dove si fecero le solite ceremonie nel ricever li legati. Et il giorno seguente, che fu la Pasca, cantò messa solenne nella capella; nel qual giorno arrivò il conte di Luna, incontrato da molti prelati e dagl'ambasciatori. Entrò nella città in mezzo di quelli dell'imperatore e del francese, con molte dimostrazioni di amicizia. Da' francesi ancora fu visitato, e dettogli d'aver commissione dal re e regina di communicar con lui tutti gli affari et offertisi ad adoperarsi con lui in tutti i servizii del re Catolico suo patrone. A che egli rispose d'aver il medesimo ordine di communicar con loro et userrebbe ogni buona corrispondenza. Egli visitò li legati e con loro usò parole molto amorevoli et offerte generali.

Il 13 aprile fu congregazione per ricever il cardinal Morone, dove egli, letto che fu il breve della sua legazione, fece un orazione accommodata, nella quale disse che le guerre, sedizioni et altre calamità presenti et imminenti per li nostri peccati, cesserebbono, quando si trovasse rimedio di placar Dio e restituir l'antica purità: perilché il papa con ottimo conseglio aveva congregato il concilio, nel quale sono 2 cardinali prencipi insigni per nobiltà e virtú, oratori di Cesare e di tanti gran re, città libere, prencipi e nazioni e prelati d'eccellente dottrina e bontà, e teologhi peritissimi: ma nel corso, essendo morto Mantova e Seripando, il papa aveva sostituito lui, aggiontogli Navaggiero, il che egli aveva ricusato, conoscendo la gravezza del peso e debolezza delle sue forze. Ma la necessità dell'obedienza aveva vinto il timore; era gionto cosí commandato per andar alla Maestà cesarea e tornar in breve per trattar in compagnia degl'altri legati co' padri quello che tocca la salute de' popoli, lo splendore della Chiesa e la gloria di Cristo; che portava seco due cose: un'ottima volontà del pontefice per render sicura la dottrina della fede, emmendar li costumi, proveder a bisogni delle provincie e stabilir la pace et unione, eziandio con gl'avversarii, in quanto si può, salva la pietà e degnità della Sede apostolica; l'altra, la prontezza sua propria a far quello che Sua Santità gli ha commandato. Pregava li padri che, lasciate le contenzioni e le discordie, che grandemente offendono il cristianesmo, e le questioni inutili, trattassero seriamente delle cose necessarie.

Il conte di Luna andò facendo ufficii con tutti li prelati vassalli del suo re, spagnuoli et italiani, o beneficiati ne' stati suoi, con essortargli in nome di Sua Maestà ad esser uniti nel servizio di Dio e riverenti verso la Sede apostolica, et a non ingiuriarsi; dicendogli che tien commissione d'avisar particolarmente il proceder di ciascuno e che Sua Maestà tenerà particolar conto di quelli che si porteranno secondo il suo desiderio; il qual non è però che dichino cosa alcuna contra la loro conscienza. E parlava in tal maniera, che intendeva ogni uno queste ultime parole esser dette seriamente, ma le prime per ceremonia.

 

 




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