[Pace d'Amboise]
Il dí 20 aprile ritornò il cardinale di
Lorena, incontrato dagl'ambasciatori dell'imperatore, di Polonia e di Savoia, e
quel medesimo giorno arrivò nuova della pace fatta dal re di Francia con
gl'ugonotti, la qual fu piú tosto avvantaggiosa per la parte catolica;
imperoché, dopo la giornata di che si è parlato di sopra, le cose tra le
fazzioni restarono contrapesate sino alla morte di Ghisa. Quella successa,
Coligní assaltò e prese la rocca di Cadomo con tanta riputazione sua e
diminuzione delle genti catoliche, che fu deliberato nel conseglio del re
metter fine alla trattazione di pace, che dopo la giornata fu continuamente
maneggiata. Il dí 7 marzo si fece per questo un convento dove furono anco
condotti li preggioni Condé et il contestabile, e dopo qualche trattazione,
rilasciati sotto la fede per concludere le 72 condizioni. I ministri
degl'ugonotti si ridussero insieme e deliberarono di non consentir all'accordo,
se non salvo l'editto di gennaro, senza alcun'eccezzione o condizione, e con aggionta
che la loro religione per l'avvenire non fosse chiamata nuova; che li figli da
loro battezati non fossero rebattezati, che si avessero per legitimi li loro
matrimoni e li figliuoli nati di quelli: dalle qual condizioni non volendo
dipartirsi li ministri in alcun conto, Condé e la nobiltà, stanchi della
guerra, senza chiamar piú ministri convennero. E li capitoli per quel che
s'aspetta alla religione, furono: che dove li nobili ugonotti hanno alta
giustizia, possino viver nelle loro case in libertà di conscienza et essercizio
della religione riformata colle loro famiglie e sudditi; che gl'altri
gentiluomini feudatarii, non abitanti sotto altri signori d'altra giustizia
catolici, ma sotto il re immediate, possino aver il medesimo nelle loro case
per loro e le famiglie solamente; che in ogni bailaggio sia deputata una casa
ne' borghi, nella quale possi esser l'essercizio della religione riformata per
tutti quelli della giurisdizzione; che in casa propria ciascun possi viver
liberamente senza esser ricercato o molestato per il fatto della conscienza;
che in tutte le città dove quella religione fu essercitata sino a' 7 di marzo,
sia continuata in uno o due luoghi nella città, non potendo però pigliar chiese
catoliche, anzi in tutte le occupate, gl'ecclesiastici debbiano esser
restituiti, senza poter pretender alcuna cosa per le demolizioni fatte; che
nella città e prepositura di Parigi non vi possi esser essercizio di quella
religione, ma ben gl'uomini che hanno case o entrate possino ritornarvi e goder
il suo, senza esser molestati, né ricercati del passato, né per l'avvenir delle
loro conscienze; che tutti ritornino ne' loro beni, onori et ufficii, non
ostanti le sentenze in contrario et essecuzioni di quelle dopo la morte del re
Enrico II sino allora; che il prencipe di Condé e tutti quelli che l'hanno
seguitato, s'intendino d'aver operato a buon fine et intenzione e per servizio
del re; che tutti li preggioni di guerra o di giustizia per il fatto della
religione siano messi in libertà senza niente pagare; che sia publicata
oblivione di tutte le cose passate, proibito l'ingiuriarsi e provocarsi l'un
l'altro, disputare, o contrastare insieme per causa della religione, ma viver
come fratelli, amici, e concittadini. Questo accordo fu stabilito a' 12 marzo,
non se ne contentando Coligní, il qual diceva che le cose loro non erano in
stato di convenir con condizioni cosí disavantaggiose; che già nel principio
della guerra gli fu proposto di farla pace con l'editto di genaro, et allora,
che bisognava ottener maggior avantaggio, si diminuiva. Il dire che in ogni
bailaggio sia un solo luogo per essercizio della religione non esser altro che
levar il tutto a Dio e dargli una porzione. Ma la commune inclinazione di tutta
la nobiltà lo constrinse ad acquietarsi. E sopra le condizioni furono spedite
lettere regie il dí 19 dell'istesso mese, nelle quali diceva il re che, avendo
piaciuto a Dio da qualche anno in qua permetter che il regno fosse afflitto per
le sedizioni e tumolti eccitati per causa di religione e scrupoli di conscienza,
perilché s'era venuto alle arme con infinite uccisioni, saccheggiamenti di
città, rovine de chiese, e continuando il male, avendo esperimentato che la
guerra non è il rimedio proprio a questa malattia, ha pensato di riunir li suoi
sudditi in buona pace, sperando che il tempo et il frutto d'un santo, libero,
general o nazional concilio siano per portar qualche stabilimento; e qui erano
soggionti gl'articoli spettanti alle cose della religione, oltra gl'altri in
materia di stato; le qual lettere furono publicate e registrate nella corte di
parlamento e proclamate publicamente in Parigi il 27 dell'istesso mese.
Questo successo in concilio dalla maggior
parte de' padri era biasmato; li quali dicevano che era un anteponer le cose
mondane a quelle di Dio, anzi un rovinare e queste e quelle insieme: perché
levato il fondamento della religione in un stato, è necessario anco che il
temporale vada in desolazione. Che se ne era veduto l'essempio per l'editto
fatto inanzi, il qual non si tirò dietro quiete e tranquillità, come si
sperava, ma una guerra peggiore che per l'inanzi. Et erano anco tra li prelati
di quelli che dicevano il re e tutto 'l conseglio esser incorsi nelle
scommuniche di tante decretali e bolle, per aver dato pace agl'eretici, e che
per questo non si doveva sperar che le cose di quel regno potessero prosperare,
dove era una manifesta disubedienza alla Sede apostolica, sin tanto che il re
et il conseglio non si facessero assolvere dalle censure e perseguitassero
gl'eretici con tutte le forze. E se ben da alcuni de' francesi era difeso, con
dire che le turbulazioni continuamente sopportate da tutta la Francia et il
pericolo notorio della rovina del regno le giustificavano assai contra
l'opposizione di quelli che non risguardano se non a' loro interessi e non
considerano la necessità nella quale il re si trovava ridotto, la qual supera
tutte le leggi, allegando quella di Romulo, che la salute del popolo è la
principale e suprema tra tutte; queste raggioni erano poco stimate e l'editto
del re biasmato sopra tutto perché nel proemio diceva esservi speranza che il
tempo et il frutto d'un libero, santo, general o nazional concilio porterebbono
lo stabilimento della tranquillità; la qual cosa riputavano un'ingiuria al
concilio generale, per esser posto in alternativa con un nazionale, e che
fossero nominati il cardinale di Borbon et il cardinale di Ghisa tra gl'autori
del conseglio di far la pace, dicendo che questa era con grand'ingiuria della
Sede apostolica.
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