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Paolo Sarpi Istoria del Concilio tridentino IntraText CT - Lettura del testo |
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[Arriva il legato Navagiero, che promette riforma; ma il papa l'avoca a sé e cerca di guadagnarsi Lorena] Quel medesimo giorno, di notte, il cardinale Navaggero, avendo dato voce d'entrar il giorno seguente, per fuggir gl'incontri e ceremonie, arrivò a Trento; il qual portò che al loro partir da Roma il pontefice aveva detto loro che facessero una buona e rigorosa riforma, conservando l'autorità della Sede apostolica, la qual è il capo piú necessario per tenerla Chiesa ben formata e regolata. Ma il pontefice, con tutto questo, ne' raggionamenti che aveva con gl'ambasciatori residenti appresso sé, gli ricercava di far intender a lui la riforma che desideravano li loro prencipi: il vero fine del papa era che, date le dimande a lui, s'astenessero di darle al concilio et egli avesse occasione, col mostrar difficoltà insuperabile in ogni particolare, sedar l'umor fluttuante di riforma. E mirando a questo scopo istesso, con gl'ambasciatori diceva anco spesse volte che i prencipi s'ingannavano credendo che la riforma basti per far tornar gl'eretici; che essi hanno prima apostatato e poi preso gl'abusi e deformazioni per pretesto. Che le vere cause quali hanno mosso gl'eretici a seguitar li falsi maestri, non sono gli disordini degl'ecclesiastici, ma quelli de' governi civili; e però, quando li defetti degl'ecclesiastici fossero ben intieramente corretti, essi non ritornerebbono, ma inventerebbono altri colori per restar nella loro pertinacia. Che questi abusi non erano nella primitiva Chiesa et al tempo degl'apostoli, e nondimeno in quei tempi ancora vi erano eretici, e tanti quanti adesso, a proporzione del numero de' buoni fedeli. Che egli in sincerità di conscienza desidererebbe la Chiesa emmendata e gl'abusi levati, ma vede ben chiaro che quelli che la procurano non hanno la mira volta a questo buon scopo, ma a suoi profitti particolari, li quali quando ottennessero, sarebbono con introdozzione di abusi maggiori e senza levar li presenti. Che da lui non viene l'impedimento della riforma, ma da' prencipi e prelati del concilio. Che egli la farebbe, e ben rigorosa; ma come si venisse all'effetto, le dissensioni tra i prencipi, ché uno la vorrebbe in un modo e l'altro al contrario, e quelle de' prelati, non meno repugnanti tra loro, impedirebbono ogni cosa. Che egli lo prevede e conosce molto ben esser indecoro tentare quello che scoprirebbe piú li defetti e mancamenti communi, e quelli che ricercano riforma mossi da zelo lo adoperano, come dice san Paolo, senza prudenza cristiana, et altro non si farebbe, volendo riformare, se non che, sí come si conoscevano li mancamenti nella Chiesa, si conoscerebbe di piú che sono immedicabili e, quel che è peggio, ne seguirebbe un altro maggior male, che s'incommincierebbe a defendergli e giustificargli come usi legitimi. Aspettava con impazienza la conclusione del negoziato di Morone, dal quale aveva aviso che dall'imperatore era stato preso tempo a rispondergli e che tuttavia si continuava in consultar sopra gl'articoli; nel [che dubitava assai che Lorena avesse gran parte e teneva anco per fermo] che tutti gl'ordini e risoluzioni, che venivano di Francia a Roma et al concilio, dependevano dal parere e dal conseglio di lui, e per tentar ogni mezo d'acquistar quel cardinale, dovendo esser di corto il cardinale di Ferrara in Italia, col quale Lorena era per abboccarsi per molte cose concernenti li nipoti communi, gli scrisse di far ufficio che si contentasse della traslazione del concilio a Bologna et acciò che egli fosse ben instrutto delle cose che in esso concilio passavano, ordinò che il Vintimiglia l'andasse ad incontrare prima che l'abboccamento succedesse, con instruzzione de' legati, oltra quello che egli medesimo sapeva.
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