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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro ottavo
    • [Il conte di Luna ricevuto dopo gran contrasto per la precedenza con Francia]
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[Il conte di Luna ricevuto dopo gran contrasto per la precedenza con Francia]

Nella congregazione del 21 maggio fu ricevuto il conte di Luna, il quale differí 40 giorni dopo l'arrivo suo per le difficoltà della precedenza con gl'ambasciatori francesi; tra tanto vi furono diverse consulte come accommodarla, né mai fu possibile che francesi volessero contentarsi che avesse altro luogo se non di sotto et appresso di loro; onde pensò di fermarsi in piedi nel mezo del luogo tra gl'ambasciatori imperiali, che avevano ordine dal loro patrone d'accompagnarlo, e starsene appresso di loro sin tanto che si facesse l'orazione, e subito finita, tornarsene a casa. Ma parve che fosse con poca degnità del re; però si diede a far opera che li francesi si contentassero di non andar in congregazione quel giorno che doveva esser ricevuto, né acconsentendo essi, pensò di costringergli a questo con fare che da qualche prelato spagnuolo fosse dimandato che gl'ambasciatori secolari non intervenissero nelle congregazioni, poiché negl'antichi concilii non erano admessi. Ma parendo che questo offendesse tutti i prencipi insieme, restò in deliberazione di far opera che qualche prelati proponessero di trattar cose a' quali non fosse raggionevole che gl'ambasciatori francesi intervenissero, come sarebbe de' pregiudicii che possono avvenire alla cristianità per la capitolazione fatta con gl'ugonotti, o altra tal cosa; il che, fatto andare alle orrecchie del cardinale di Lorena, gli mise il cervello a partito, e consultato co' suoi, risolverono di non contrastar piú, se gli fosse dato un luogo a parte fuori dell'ordine degl'ambasciatori. Perilché il sudetto giorno de' 21 il conte di Luna, entrato in congregazione et andato al luogo assegnatogli, che era nel mezo del consesso, dirimpetto a' legati, presentò il mandato del suo re; il qual letto dal secretario, egli immediate protestò che, quantonque in quel consesso et in qualonque altro dovesse seguir primo dopo gl'ambasciatori dell'imperatore, nondimeno perché quel luogo, la causa di che si trattava et il tempo non comportavano che per contenzioni umane fosse impedito il corso delle cose divine e della publica salute, riceveva il luogo che gli era dato, protestando nondimeno che la sua modestia et il rispetto che aveva di non impedir li progressi del concilio, non possi far alcun pregiudicio alla degnità e raggione del suo prencipe Filippo, re Catolico, e de' posteri, ma quelle restino illese, che sempre se ne possino valere, come se in quel consesso gli fosse stato dato il debito luogo, instando che la protestazione fosse scritta negl'atti, quali non si potessero dar fuora separati da quella et a lui gliene fosse data copia. Dopo il che, gl'ambasciatori francesi essi ancora protestarono che, se essi sedessero in altro luogo che primi dopo l'imperatore et inanzi agl'oratori degl'altri re, dove erano seduti li maggiori loro sempre, et ultimamente nel concilio di Costanza e lateranense, e se il nuovo luogo nel qual sedeva l'ambasciator della Maestà catolica, fuori dell'ordine degl'ambasciatori, potesse portar qualche pregiudicio a loro o agl'altri oratori, li padri del concilio, rapresentanti la Chiesa universale, per debito dell'officio loro, gli ridurrebbono all'ordine antico, overo gli farebbono l'ammonizione evangelica; ma tacendo essi padri, né dicendo altro gl'oratori della Maestà cesarea, che hanno l'interesse commune con essi di Francia, sedendo vicini a loro, e conservando l'antica possessione al loro re, e confidati nella fede et affinità, che il re Catolico tiene col Cristianissimo, non dimandavano altra cosa, se non che li padri del concilio dovessero dicchiarare che il fatto del conte non potesse far alcun pregiudicio all'antichissima prerogativa e perpetua possessione di Sua Maestà cristianissima, e tutto questo registrarlo negl'atti.

Fu fatta l'orazione per nome del conte dal teologo Pietro Fontidonio; il qual in sostanza disse che, instando il fine del concilio, la Maestà catolica aveva mandato quell'ambasciatore per offerirsi apparecchiato a far per il concilio quello che fece Marziano imperatore nel calcedonense, cioè sostener e defender la verità dicchiarata dalla sinodo e rafrenar li tumulti, e condur a felice fine quel concilio, che Carlo V imperatore suo padre ha protetto nella sua nascenza e nel suo progresso, per causa del quale ha fatto guerre difficilissime e pericolosissime, et il quale anco Ferdinando imperatore, suo zio, sostenta. Che il suo re non ha tralasciato alcun officio di prencipe catolico, acciò si riducesse e celebrasse; ha mandato li prelati di Spagna et oltre ciò dottori prestantissimi. Che egli ha conservato la religione in Spagna; che ha impedito l'ingresso dell'eresia in quella da tutte le foci de' Pirenei; ha impedito che non abbia navigato alle indie, dove con ogni studio ha tentato di penetrare per infettar le radici della cristianità nascenti in quel nuovo mondo. Che per opera di quel re fiorisce la fede e la purità della dottrina in Spagna, che la santa madre Chiesa, quando vede altre provincie piene d'errori, prende consolazione vedendo la Spagna esser la sacra àncora per rifugio delle sue calamità. Soggionse Dio volesse che gl'altri prencipi catolici e republiche cristiane avessero imitato la severità di quel re in raffrenar gl'eretici, che la Chiesa sarebbe liberata da tante calamità e li padri di Trento dalla sollecitudine di far concilio. Che il suo re si maritò con Maria, regina d'Inghilterra, non ad altro fine che per ridur quell'isola alla religione. Commemorò gl'aiuti recenti mandati al re di Francia, aggiongendo che per la virtú de' suoi soldati, se ben erano pochi, mandati per difesa della religione, la vittoria inclinò alle parti catoliche. Passò a dire che desiderava il re dal concilio lo stabilimento della dottrina della religione e la riformazione de' costumi. Lodò li padri di non aver mai voluto separar la trattazione d'una di queste parti dall'altra, quantonque grand'instanza fosse stata fatta per fargli tralasciar la dottrina et attender solamente a' costumi. Aggionse desiderar il re che essaminassero ben la petizione, piú pia che circonspetta, di quelli che dimandano che sia concessa alcuna cosa agl'inimici della religione per fargli ritornar alla Chiesa. Fece un'invettiva contra quelli che dicevano doversi conceder qualche cosa a' protestanti, acciò vinti dalla benignità tornassero al grembo della Chiesa, dicendo che si ha da far con persone che non possono esser piegate né da beneficio, né da misericordia. Essortò li padri per parte del re ad operare in tal maniera che mostrino d'aver maggior cura della maestà della Chiesa che degl'appetiti de' sviati, avendo la Chiesa sempre usato questa gravità e costanza per reprimer l'audacia de' nimici, di non concedergli manco quello che onestamente si potrebbe. Desiderare ancora il re che tralascino le superflue questioni. Concluse che, essendo congregati i padri per far cosí buon'opera, come è il rimediar a tanti mali che travagliano la cristianità, quando questo effetto non succeda, la posterità non ne darà la colpa ad altri che a loro e si maraviglierà che, potendo, non abbiano voluto applicar il rimedio. Lodò le virtú dell'ambasciatore e la gloria della casa sua e con questo finí. Gli fu risposto per nome della sinodo che nel dolore, qual sentiva per le miserie communi, aveva ricevuto consolazione sentendo commemorar la pietà del re Catolico e sopra tutto essergli stata grata la promessa di defender li decreti del concilio; il che essendo per far anco l'imperatore e gl'altri re e prencipi cristiani, la sinodo veniva eccitata a fare che le azzioni sue corrispondessero al desiderio di tanti prencipi; il che anco già e per la propria volontà e per essortazione del pontefice faceva, occupandosi sempre nell'emendazione de' costumi et esplicazione della dottrina catolica. Che rendeva molte grazie al re, cosí del singolar affetto verso la religione e buona volontà verso la sinodo, come dell'aver mandato un tal oratore, dal qual sperava onore et aiuto.

L'orazione sopradetta dispiacque a tutti gl'ambasciatori, essendo un'aperta riprensione di tutti li prencipi, per non aver essi immitato la diligenza del re Catolico, e se ne dolsero col conte; il qual rispose che quelle parole non avevano meno dispiaciuto a lui, anzi che ordinò al dottore che le levasse e non le dicesse per modo alcuno e che si risentirebbe di non esser stato obedito. I francesi che erano in Roma biasmarono molto quei di Trento per aver assentito al luogo dato all'ambasciator spagnuolo; dicevano che Lorena, per i suoi interessi e per gratificar il re Catolico, aveva fatto un tanto pregiudicio alla corona di Francia, e perché egli anco consegliava il papa a non conceder al re l'alienazione de' beni ecclesiastici per 100000 scudi che dimandava, aggiongevano che in tutte le cose non aveva altra mira che a sé proprio, e pertanto, dopo che il maneggio de' danari era fuori delle mani sue e del fratello, non averebbe voluto che il re ne potesse da luogo alcuno avere. Ma la differenza della precedenza non era ancora ben finita; perché, se ben s'era trovato luogo all'ambasciatore spagnuolo nelle congregazioni, quel medesimo non se gli poteva dar nelle sessioni. Onde li legati scrissero al pontefice per aver da lui ordine come governarsi.

 

 




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