[Lorena s'abbocca col cardinal di
Ferrara sopra 'l concilio; in che si mostra fermo, ma è raddolcito dal Morone]
Dopo ricevuto l'ambasciator spagnuolo, il
cardinale di Lorena partí per abboccarsi con quello di Ferrara; il qual, gionto
in Piemonte, non trovò le cose di quella regione in meglior stato che in Francia,
poiché trovò che in diversi luoghi del marchesato di Saluzzo erano stati
scacciati tutti li preti, e che in Cheri et in Cuni, luoghi del duca di Savoia,
et in molte altre terre vicine a quelle vi erano molti delle medesime opinioni
degl'ugonotti, e nella stessa corte del duca molti le professavano et ogni
giorno se ne scoprivano piú; e se ben un mese inanzi quel duca mandò bando che
in termine di otto giorni tutti li seguaci di quelle opinioni dovessero partir
del paese, et alcuni anco si fossero levati, nondimeno dopo il duca commandò
che non si procedesse piú contra loro, anzi a molti condannati dalla
inquisizione aveva fatto grazia delle pene et annullati li processi contra loro
e contra altri inquisiti non ancora condannati, e concesso anco licenza di
tornare ad alcuni de' partiti. Ma il cardinale, avendo conosciute le raggioni
da' quali quel duca fu mosso, fu costretto giudicare quel medesimo che andava
dicendo delle cose di Francia, cioè che tornasse in servizio de' catolici far
cosí.
Ebbe quel cardinale nel medesimo luogo
instruzzione dal vescovo di Vintimiglia, che era andato espresso per
informarlo, come di sopra si è detto, sopra lo stato delle cose del concilio e
come trattare con Lorena; si trovarono ambidoi li cardinali in Ostia il 24
maggio. Il cardinale di Ferrara, narrato lo stato delle cose di Francia e della
casa, dopo la morte del duca di Ghisa e del priore, l'essortò al presto ritorno
in Francia, mostrandogli la necessità che aveva la casa della sua presenza; gli
discorse anco che, dopo la pace fatta con gl'ugonotti, la riforma non era per
partorir piú in Francia quei buon'effetti che si credeva. Ma lo trovò, che non
averebbe creduto, molto impresso che l'onor suo ricercasse di non abandonar
quella negoziazione. Si dolse Lorena che Morone, ritornato dall'imperatore, non
gl'avesse partecipato cosa alcuna del suo negoziato, dicendo però che da quella
Maestà era stato avisato del tutto. Gli disse che il re Catolico era ben unito
con l'imperatore e che tra il conte di Luna e lui vi era buona intelligenza.
Nella materia della residenza disse che era necessario dicchiararla, che cosí
era mente dell'imperatore e che quasi tutti li prelati erano di quel parere,
eccetto alcuni italiani, e che questa dicchiarazione si ricercava a fine che il
papa non potesse dispensare; onde l'opera del cardinal di Ferrara fece poco
frutto. Et il cardinal di Lorena, tornato a Trento, publicò per tutto che
Ferrara aveva fatto seco officio per nome del papa e de' legati che la
residenza si terminasse con un decreto penale, senza dicchiarar che sia de
iure divino, ma che egli non era per assentire.
Ma il cardinale Morone, per addolcir
Lorena, prima che si venisse alle prattiche strette delle cose conciliari,
conoscendo come bisognava mostrar di differir ogni cosa a lui, andò a visitarlo
pontificalmente con la croce inanzi et accompagnato da molti prelati e, dopo li
complementi, gli disse che desiderava che consegliasse, commandasse et operasse
non altrimenti che se fosse uno de' legati. Che il pontefice voleva la riforma et
aveva mandato 42 capi di molto severa, e scritto che si proponessero anco
quelli che furono raccordati dagli ambasciatori cesarei e francesi, levati
gl'appartenenti alla corte romana, la quale Sua Santità voleva riformar essa,
per mantenimento dell'autorità della Sede apostolica. Ma Lorena, sospicando che
Morone avesse pensiero di scaricar alcuna cosa sopra di lui o di metterlo in
qualche diffidenza co' spagnuoli, rispose che il peso di legato superava le sue
forze, le quali non potevano far maggior cosa che dir il voto suo come
arcivescovo; che lodava il zelo di Sua Santità nella riforma delle altre
chiese, ma che si poteva ben contentare che i vescovi ancora dassero altritanti
capi per li cardinali e per il rimanente della corte; che la Sede apostolica era
degna d'ogni riverenza e rispetto, ma con quel manto non potersi coprir abusi.
La risposta di questo cardinale fece risolver li legati d'andar ritenuti sino
che le cose fossero meglio domesticate, ma tra tanto si fece stretta prattica
co' prelati italiani, acciò non fosse ricevuto il decreto di dicchiarar la
residenza.
Successe un accidente, che fu per
confonder e divider tra loro li ponteficii. Andò a Trento aviso che
s'averebbono fatti cardinali a' seguenti tempori, e fu anco mandata la poliza
di quelli che erano in Roma; onde li pretendenti, che molti erano, restarono
pieni di malissima satisfazzione e, come avviene agl'appassionati, non si
contenevano tra li termini, sí che non uscisse qualche parola che dimostrasse
l'affetto e l'animo parato al risentimento. In particolare erano notati
Marc'Antonio Colonna, arcivescovo di Taranto, et Alessandro Sforza, vescovo di
Parma, (quali per la potenza grande delle famiglie loro nella corte erano piú
degl'altri inanzi), che avessero detto di voler intendersi con Lorena, il che
dal cardinale Simoneta creduto, fu anco avisato a Roma; dalla qual cosa ambidoi
si tennero offesi e parlavano con gran risentimento. I disgusti continuarono
qualche giorni; ma poiché non fu fatta promozione de cardinali e che a questi
vescovi fu data sodisfazzione, finalmente le cose s'accommodarono.
Ma dopo questo tempo il cardinale di
Lorena incomminciò a ralentar il rigore, perché in Francia, essendo resi
chiari, per l'osservazione delle cose sin allora successe, che da Trento non
era possibile ottener cosa che fosse di servizio di quel regno, e veduto anco
che le cose della pace si andavano esseguendo con gran facilità, onde si poteva
sperar di restituir l'obedienza al re intieramente senza aver altri pensieri
alle cose della religione, e forse avuta communicazione dall'imperatore del
trattato con Morone, gionti anco gl'officii che il papa fece con la regina per
mezo del suo noncio, pensarono di non travagliar piú nelle cose del concilio
con tanto affetto, ma piú tosto acquistar l'animo del pontefice; e se da Trento
fosse venuta cosa utile, riceverla, solamente attendendo ad operare che non
succedesse cosa di pregiudicio. E scrisse perciò la regina a Roma, offerendosi
al pontefice di cooperare per finir presto il concilio, di metter freno a Lorena
et a prelati francesi, che non impugnino l'autorità del papa, e di far partire
d'Avignione e dal contado tutte le genti ugonotte. Scrisse medesimamente al
cardinale di Lorena, avisando che le cose della pace in Francia s'incaminavano
molto bene et a perfezzionarla altro mezo non mancava che la presenza sua in
Francia, dove potendo far maggior ben che in Trento, nel qual luogo aveva
esperimentato di non poter far buon profitto, dovesse procurar di spedirsi per
ritornarvi quanto prima, cercar di dar ogni sodisfazzione al pontefice e
renderselo benevolo, e non pensar alle cose del concilio piú di quello che lo
constringesse la propria conscienza et onore; gl'aggionse che averebbe avuto
nel regno la medesima autorità che prima: però accelerasse il ritorno.
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