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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro ottavo
    • [Dispiacere del papa contra i francesi]
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[Dispiacere del papa contra i francesi]

Gionsero le sudette lettere della regina a Roma et a Trento nel fine di maggio, le quali come furono al papa molto grate e gli diedero speranza di poter veder buon fine del concilio, cosí gli dispiacque sommamente un altro accidente, cioè che, pensandosi in Francia come levar di debito la corona, fu, per editto regio e per arresto del parlamento, verificato il decreto dell'alienar li stabili ecclesiastici per 100000 scudi, dal che si suscitò gran tumulto de' preti, che dicevano esser violati li loro privilegii et immunità, che le cose sacre non potevano alienare per qual si voglia causa, senza autorità e decreto del papa. Per quietar li strepiti, fu fatto dall'ambasciatore instanza al pontefice che volesse prestar il suo consenso, allegando che il re, essausto dalle guerre passate, dissegnando di metter buon ordine alle cose sue per poter dar mano a quello che sempre era stata sua intenzione dopo fatta la pace, cioè di riunir tutto 'l regno nella religion catolica per poter sforzare chi se gli fosse opposto, aveva pensato di metter una sovvenzione et aver anco dal clero la parte sua; al che la Chiesa era tanto piú degl'altri tenuta, quanto piú si trattava degl'interessi di quella; che tutte le cose pensate, nissuna si trovava piú facile quanto, con l'alienazione d'alquanto delle entrate ecclesiastiche, supplir a quella necessità, del che desiderava il consenso della Santità Sua. Ma il papa diceva che la dimanda era ben colorata di bel pretesto di defender la Chiesa, ma in vero non era se non per ruinarla; a fine d'evitar il qual danno, esser sicuro partito il non acconsentirvi; e se ben alcun potesse pensare che francesi venissero all'essecuzione senza il consenso, nondimeno egli non pensava che non si sarebbe dimandata la licenza quando si trovasse compratore senza di quella, tenendo che nissun oserebbe aventurare li suoi danari, temendo che, come le cose del mondo sono instabili, non succedesse tempo tale che gl'ecclesiastici ripigliassero le loro entrate senza refonder il precio. Però, avendo proposto il negozio in consistoro, con deliberazione de' cardinali risolvé di non acconsentire, ma con varie escusazioni mostrare che non averebbono potuto ottener da lui quella dimanda.

Il Lorena, portando odio irreconciliabile agl'ugonotti, non tanto per rispetto della religione, quanto della fazzione con quali egli e la sua casa era stato sempre in controversia, essendo anco sicuro che non era possibile reconciliare con loro amicizia, sentí molto dispiacere intendendo che le cose della pace s'incaminassero, e quanto al ritorno suo in Francia, fu ben risoluto che conveniva pensarci molto bene quando e come dovesse ritornare; ma ben per le cose sue giudicò necessario intendersi ben col pontefice e con la corte romana, e co' ministri di Spagna ancora piú di quello che per il tempo passato aveva fatto; e però da quel giorno incomminciò a ralentar la severità in procurar riforma, e diede principio a mostrar maggior riverenza al papa e buona intelligenza co' suoi legati.

Ma oltra la molestia per la ricchiesta dell'alienazione, ne ebbe il pontefice un'altra di non minor momento; imperoché, trovandosi d'aver promesso piú volte all'ambasciatore di Francia di dargli il suo luogo nella festività della Pentecoste e volendolo esseguire, congregò alquanti cardinali per trovar qualche maniera, per dar anco satisfazzione all'ambasciator spagnuolo. Furono proposti doi partiti: l'uno di dargli luogo sotto il sinistro diacono, l'altro sopra un scabello al capo della banca de' diaconi; li quali però non levavano le difficoltà: perché restava ancora materia di concorrenza al portar della coda a Sua Santità e dargli l'acqua alle mani quando celebrava e nel ricever l'incenso e la pace. La difficoltà della coda e dell'acqua non premeva allora, non dovendo il papa celebrare et essendovi l'ambasciator dell'imperatore. Quanto all'incenso e la pace, si trovò temperamento che fossero dati a tutti quelli della parte destra, eziandio a quello di Fiorenza che era l'ultimo, e poi alla parte sinistra. Di ciò il francese non si contentò, dicendo che il papa gl'aveva promesso il suo luogo, e che quel di Spagna o non anderebbe o starebbe sotto di lui, e cosí voleva che si esseguisse, altramente si sarebbe partito. Non piacque manco all'ambasciator spagnuolo; onde il papa si risolvé di mandargli a dire che era risoluto di dar il luogo all'ambasciator francese. Rispose il spagnuolo che se il papa era risoluto fargli quell'aggravio, voleva leggergli una scrittura. I cardinali, che trattavano con lui per parte del papa, gli mostrarono che non era ben farlo, se la scrittura non era prima veduta da Sua Santità, accioché alla sproveduta non nascesse qualche inconveniente. Si rese l'ambasciatore difficile a darla, ma in fine se ne contentò. Il papa, leggendola, si alterò per la forma delle parole, come egli diceva, impertinenti; finalmente fu introdotto nella camera del papa con 4 testimonii, dove posto in ginocchia lesse la sua protesta; la qual conteneva che il re di Spagna debbe preceder quello di Francia per l'antichità, potenza e grandezza di Spagna, per la moltitudine d'altri regni, per li quali è il maggior e piú potente re del mondo; perché ne' suoi Stati è stata difesa e conservata la fede catolica e la Chiesa romana; però, se Sua Santità vuol dicchiarar o ha dicchiarato in parole o in scritto in favor di Francia, fu notorio aggravio et ingiustizia. Perilché egli, in nome del suo re, contradice ad ogni dicchiarazione di precedenza o ugualità in favor di Francia, dicendo esser nulla et invalida contra il notorio dritto di Sua Maestà catolica, e se è stata fatta, esser nulla, come senza cognizione di causa e senza citazione di parte, e che Sua Santità, facendo ciò, sarà causa di gravi inconvenienti in tutta cristianità. Rispose il pontefice admettendo la protestazione si et in quantum e scusandosi della citazione omessa, perché a' francesi niente dava, ma conservava il luogo dove gl'aveva sempre veduti appresso gl'ambasciatori dell'imperatore, offerendosi però di commetter la causa al collegio de cardinali o a tutta la rota, soggiongendo che amava il re e che gli farebbe sempre tutti li piaceri. A che replicò l'ambasciator che Sua Santità s'aveva privato della libertà di far piacer al re, facendogli tanto aggravio. Replicò il papa: «Non per causa nostra, ma vostra, e li beneficii fatti da noi al re non meritano queste parole nella protesta fattaci».

 

 




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