[Dispiacere del papa contra i francesi]
Gionsero le sudette lettere della regina a
Roma et a Trento nel fine di maggio, le quali sí come furono al papa molto grate
e gli diedero speranza di poter veder buon fine del concilio, cosí gli
dispiacque sommamente un altro accidente, cioè che, pensandosi in Francia come
levar di debito la corona, fu, per editto regio e per arresto del parlamento,
verificato il decreto dell'alienar li stabili ecclesiastici per 100000 scudi,
dal che si suscitò gran tumulto de' preti, che dicevano esser violati li loro
privilegii et immunità, che le cose sacre non potevano alienare per qual si
voglia causa, senza autorità e decreto del papa. Per quietar li strepiti, fu
fatto dall'ambasciatore instanza al pontefice che volesse prestar il suo
consenso, allegando che il re, essausto dalle guerre passate, dissegnando di
metter buon ordine alle cose sue per poter dar mano a quello che sempre era
stata sua intenzione dopo fatta la pace, cioè di riunir tutto 'l regno nella
religion catolica per poter sforzare chi se gli fosse opposto, aveva pensato di
metter una sovvenzione et aver anco dal clero la parte sua; al che la Chiesa
era tanto piú degl'altri tenuta, quanto piú si trattava degl'interessi di
quella; che tutte le cose pensate, nissuna si trovava piú facile quanto, con
l'alienazione d'alquanto delle entrate ecclesiastiche, supplir a quella
necessità, del che desiderava il consenso della Santità Sua. Ma il papa diceva
che la dimanda era ben colorata di bel pretesto di defender la Chiesa, ma in
vero non era se non per ruinarla; a fine d'evitar il qual danno, esser sicuro
partito il non acconsentirvi; e se ben alcun potesse pensare che francesi venissero
all'essecuzione senza il consenso, nondimeno egli non pensava che non si
sarebbe dimandata la licenza quando si trovasse compratore senza di quella,
tenendo che nissun oserebbe aventurare li suoi danari, temendo che, come le
cose del mondo sono instabili, non succedesse tempo tale che gl'ecclesiastici
ripigliassero le loro entrate senza refonder il precio. Però, avendo proposto
il negozio in consistoro, con deliberazione de' cardinali risolvé di non
acconsentire, ma con varie escusazioni mostrare che non averebbono potuto
ottener da lui quella dimanda.
Il Lorena, portando odio irreconciliabile
agl'ugonotti, non tanto per rispetto della religione, quanto della fazzione con
quali egli e la sua casa era stato sempre in controversia, essendo anco sicuro che
non era possibile reconciliare con loro amicizia, sentí molto dispiacere
intendendo che le cose della pace s'incaminassero, e quanto al ritorno suo in
Francia, fu ben risoluto che conveniva pensarci molto bene quando e come
dovesse ritornare; ma ben per le cose sue giudicò necessario intendersi ben col
pontefice e con la corte romana, e co' ministri di Spagna ancora piú di quello
che per il tempo passato aveva fatto; e però da quel giorno incomminciò a
ralentar la severità in procurar riforma, e diede principio a mostrar maggior
riverenza al papa e buona intelligenza co' suoi legati.
Ma oltra la molestia per la ricchiesta
dell'alienazione, ne ebbe il pontefice un'altra di non minor momento;
imperoché, trovandosi d'aver promesso piú volte all'ambasciatore di Francia di
dargli il suo luogo nella festività della Pentecoste e volendolo esseguire,
congregò alquanti cardinali per trovar qualche maniera, per dar anco
satisfazzione all'ambasciator spagnuolo. Furono proposti doi partiti: l'uno di
dargli luogo sotto il sinistro diacono, l'altro sopra un scabello al capo della
banca de' diaconi; li quali però non levavano le difficoltà: perché restava
ancora materia di concorrenza al portar della coda a Sua Santità e dargli
l'acqua alle mani quando celebrava e nel ricever l'incenso e la pace. La
difficoltà della coda e dell'acqua non premeva allora, non dovendo il papa
celebrare et essendovi l'ambasciator dell'imperatore. Quanto all'incenso e la
pace, si trovò temperamento che fossero dati a tutti quelli della parte destra,
eziandio a quello di Fiorenza che era l'ultimo, e poi alla parte sinistra. Di
ciò il francese non si contentò, dicendo che il papa gl'aveva promesso il suo
luogo, e che quel di Spagna o non anderebbe o starebbe sotto di lui, e cosí
voleva che si esseguisse, altramente si sarebbe partito. Non piacque manco
all'ambasciator spagnuolo; onde il papa si risolvé di mandargli a dire che era
risoluto di dar il luogo all'ambasciator francese. Rispose il spagnuolo che se
il papa era risoluto fargli quell'aggravio, voleva leggergli una scrittura. I
cardinali, che trattavano con lui per parte del papa, gli mostrarono che non
era ben farlo, se la scrittura non era prima veduta da Sua Santità, accioché
alla sproveduta non nascesse qualche inconveniente. Si rese l'ambasciatore
difficile a darla, ma in fine se ne contentò. Il papa, leggendola, si alterò
per la forma delle parole, come egli diceva, impertinenti; finalmente fu
introdotto nella camera del papa con 4 testimonii, dove posto in ginocchia
lesse la sua protesta; la qual conteneva che il re di Spagna debbe preceder
quello di Francia per l'antichità, potenza e grandezza di Spagna, per la
moltitudine d'altri regni, per li quali è il maggior e piú potente re del
mondo; perché ne' suoi Stati è stata difesa e conservata la fede catolica e la
Chiesa romana; però, se Sua Santità vuol dicchiarar o ha dicchiarato in parole
o in scritto in favor di Francia, fu notorio aggravio et ingiustizia. Perilché
egli, in nome del suo re, contradice ad ogni dicchiarazione di precedenza o
ugualità in favor di Francia, dicendo esser nulla et invalida contra il notorio
dritto di Sua Maestà catolica, e se è stata fatta, esser nulla, come senza
cognizione di causa e senza citazione di parte, e che Sua Santità, facendo ciò,
sarà causa di gravi inconvenienti in tutta cristianità. Rispose il pontefice
admettendo la protestazione si et in quantum e scusandosi della
citazione omessa, perché a' francesi niente dava, ma conservava il luogo dove
gl'aveva sempre veduti appresso gl'ambasciatori dell'imperatore, offerendosi
però di commetter la causa al collegio de cardinali o a tutta la rota,
soggiongendo che amava il re e che gli farebbe sempre tutti li piaceri. A che
replicò l'ambasciator che Sua Santità s'aveva privato della libertà di far
piacer al re, facendogli tanto aggravio. Replicò il papa: «Non per causa
nostra, ma vostra, e li beneficii fatti da noi al re non meritano queste parole
nella protesta fattaci».
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