[Birago giunge a Trento con lettere del
re di Francia]
In quel medesimo tempo arrivò in Trento il
presidente Birago, del quale di sopra è stato detto esser stato inviato dal re
di Francia al concilio et all'imperatore, il quale il 2 di giugno fu ricevuto
nella congregazione, dove non intervennero gl'ambasciatori inferiori a'
francesi per non dargli luogo, poiché nelle lettere regie non se gli dava
titolo d'ambasciatore. Presentò le lettere del re de' 15 aprile, dove diceva in
sustanza esser benissimo note le turbazioni e guerre intestine suscitate nel
suo regno per causa della religione, e l'opera fatta da lui, eziandio con
gl'aiuti e soccorsi de' prencipi e potentati suoi amici, per rimediarvi con le
armi; e tuttavia esser anco piaciuto a Dio, per giudicii suoi incomprensibili,
che da quei rimedii d'armi non ne uscissero se non uccisioni, crudeltà, sacchi
di città, ruina di chiese, perdita de prencipi, signori e cavallieri, et altre
calamità e desolazioni, sí che è facile da conoscer che il rimedio delle arme
non è quello che si debbe ricercar per guarir un'infermità de' spiriti, che non
si lasciano superar se non per raggione e persuasione; il che aveva costretto
lui ad accordare una pacificazione, come si conteneva nelle sue lettere sopra
ciò espedite, non a fine di permetter lo stabilimento d'una nuova religione in detto
regno, ma acciò, cessate le armi, egli potesse con manco contradizzione
pervenire ad un'unione di tutti li sudditi suoi nell'istessa santa e catolica
religione, beneficio che egli aspettava dalla misericordia di Dio e da una
buona e seria riformazione che si prometteva da quella santa sinodo. E perché
molte cose aveva a rapresentargli e ricercar da loro, s'era risoluto
d'inviargli maestro Renato Birago, che gli farebbe intender il tutto in viva
voce, pregando loro riceverlo et ascoltarlo benignamente.
Lette le lettere, parlò il presidente,
narrando molto particolarmente le discordie, le guerre e le calamità di
Francia, lo stato e la necessità nella quale il re et il regno erano ridotti,
la pregionia del contestabile e la morte del duca di Ghisa, che lo rendevano
senza braccia. Si diffuse assai in giustificar che l'accordo fosse fatto per
pura e mera necessità, che in quello maggior era l'avvantaggio della parte
catolica, che della contraria. Che l'intenzione del re e del suo conseglio non
era lasciar introdur o stabilir una nuova religione, ma al contrario, cessate
le arme e le disobedienze, con manco contradizzioni e per le vie osservate da'
suoi maggiori, ridur all'obedienza della Chiesa li sviati e riunir tutti in una
santa catolica religione, sapendo molto ben che due essercizii diversi nella
religione non possono longamente sussistere e continuare in un regno. Da questo
passò a dire che il re sperava presto riunir tutti li popoli in una medesima
opinione per singolar grazia divina e per il mezo del concilio, rimedio sempre
usato dagl'antichi contra simili mali, come quelli che affligevano allora la
cristianità. Pregò li padri aiutar la buona intenzione del re con una seria
riforma e con ridur li costumi all'integrità e purità della Chiesa vecchia et accordando
le differenze della religione, e promise che il re sarebbe stato sempre
catolico e devoto della Chiesa romana, secondo l'essempio de' suoi maggiori.
Finí dicendo che il re confidava nella bontà e prudenza de' padri, che
averebbono compatito a' mali di Francia e si sarebbono adoperati per li
rimedii. Aveva il presidente in commissione d'addimandar che il concilio fosse
trasferito dove i protestanti avessero libero accesso; imperoché con tutta la
sicurezza data dal pontefice e dal concilio, avevano il luogo per sospetto e lo
volevano dove l'imperatore potesse assicurargli; ma questo capo non lo toccò,
cosí consegliato dal cardinale di Lorena e dagl'ambasciatori del suo re, che
non giudicarono opportuno farne menzione e l'avevano per rivocato dopo, attese
le lettere scritte al papa et ad esso Lorena, de' quali è fatta menzione.
Era già stato dato ordine, per
consultazione de' legati, che fosse dal promotore per nome della sinodo
risposto al Birago con dolersi degl'infortunii et avversità del regno di Francia
et essortar il re che, essendo stato necessitato a far la pace e conceder
qualche cosa agl'ugonotti, a fine di restituir intieramente la religione,
dopoi, posto il regno in tranquillità, volesse per servizio di Dio adoperarsi
senza alcuna dilazione per ottenere questo ottimo fine. E dopo la messa, prima
che entrare in congregazione, la mostrarono al cardinale di Lorena, qual
rispose non parergli bene che la sinodo approbasse il fatto del re, del quale
piú tosto pareva che dovessero dolersene, come fatto a pregiudicio della fede,
che lodarlo; però meglio era pigliar tempo a risponder, come si fa nelle cose
d'importanza. Perilché, mutato conseglio, ordinarono che fosse risposto al
Birago in sostanza che, per esser le cose narrate e proposte da lui gravissime
e che avevano bisogno di molta considerazione, la sinodo averebbe preso tempo
opportuno per rispondergli. Agl'ambasciatori francesi dispiacque grandemente il
fatto del cardinale di Lorena, parendo loro che, se li legati non fossero stati
disposti a commendare le azzioni del re, egli avesse dovuto incitargli, anzi
costringergli per quanto potesse, dove che in contrario, avendo essi giudicato
convenire, come era anco giusto e raggionevole, una commendazione del fatto,
egli gl'aveva dissuasi. Ma consultati tra loro risolverono che non fosse ben
scriverne in Francia per molti rispetti, poiché Lansac, che presto doveva esser
di ritorno, poteva a voce far quella relazione che fosse stata necessaria.
Il mese inanzi era successo in Baviera un
gran tumulto e sollevazione popolare, perché non era stato concesso loro l'uso
del calice e che li maritati potessero predicare; il qual disordine procedette
tanto inanzi che, per acquietargli, il duca promise nella dieta che, quando per
tutto giugno in Trento overo dal pontefice non fosse stata presa risoluzione di
dar loro sodisfazzione, egli averebbe concesso e l'uno e l'altro. Il che udito
nel concilio, li legati spedirono in diligenza Nicolò Ormanetto a persuader
quel prencipe di non devenire a tal concessione, promettendogli che il concilio
non mancherebbe a' suoi bisogni. Al quale il duca rispose che, per mostrar
l'obedienza e devozione sua verso la Sede apostolica, averebbe fatto ogn'opera
per trattener li popoli suoi piú che fosse stato possibile, aspettando o sperando
che il concilio fosse per risolvere quello che si vedeva esser necessario, non
ostante la determinazione fatta prima.
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