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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro ottavo
    • [Birago giunge a Trento con lettere del re di Francia]
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[Birago giunge a Trento con lettere del re di Francia]

In quel medesimo tempo arrivò in Trento il presidente Birago, del quale di sopra è stato detto esser stato inviato dal re di Francia al concilio et all'imperatore, il quale il 2 di giugno fu ricevuto nella congregazione, dove non intervennero gl'ambasciatori inferiori a' francesi per non dargli luogo, poiché nelle lettere regie non se gli dava titolo d'ambasciatore. Presentò le lettere del re de' 15 aprile, dove diceva in sustanza esser benissimo note le turbazioni e guerre intestine suscitate nel suo regno per causa della religione, e l'opera fatta da lui, eziandio con gl'aiuti e soccorsi de' prencipi e potentati suoi amici, per rimediarvi con le armi; e tuttavia esser anco piaciuto a Dio, per giudicii suoi incomprensibili, che da quei rimedii d'armi non ne uscissero se non uccisioni, crudeltà, sacchi di città, ruina di chiese, perdita de prencipi, signori e cavallieri, et altre calamità e desolazioni, che è facile da conoscer che il rimedio delle arme non è quello che si debbe ricercar per guarir un'infermità de' spiriti, che non si lasciano superar se non per raggione e persuasione; il che aveva costretto lui ad accordare una pacificazione, come si conteneva nelle sue lettere sopra ciò espedite, non a fine di permetter lo stabilimento d'una nuova religione in detto regno, ma acciò, cessate le armi, egli potesse con manco contradizzione pervenire ad un'unione di tutti li sudditi suoi nell'istessa santa e catolica religione, beneficio che egli aspettava dalla misericordia di Dio e da una buona e seria riformazione che si prometteva da quella santa sinodo. E perché molte cose aveva a rapresentargli e ricercar da loro, s'era risoluto d'inviargli maestro Renato Birago, che gli farebbe intender il tutto in viva voce, pregando loro riceverlo et ascoltarlo benignamente.

Lette le lettere, parlò il presidente, narrando molto particolarmente le discordie, le guerre e le calamità di Francia, lo stato e la necessità nella quale il re et il regno erano ridotti, la pregionia del contestabile e la morte del duca di Ghisa, che lo rendevano senza braccia. Si diffuse assai in giustificar che l'accordo fosse fatto per pura e mera necessità, che in quello maggior era l'avvantaggio della parte catolica, che della contraria. Che l'intenzione del re e del suo conseglio non era lasciar introdur o stabilir una nuova religione, ma al contrario, cessate le arme e le disobedienze, con manco contradizzioni e per le vie osservate da' suoi maggiori, ridur all'obedienza della Chiesa li sviati e riunir tutti in una santa catolica religione, sapendo molto ben che due essercizii diversi nella religione non possono longamente sussistere e continuare in un regno. Da questo passò a dire che il re sperava presto riunir tutti li popoli in una medesima opinione per singolar grazia divina e per il mezo del concilio, rimedio sempre usato dagl'antichi contra simili mali, come quelli che affligevano allora la cristianità. Pregò li padri aiutar la buona intenzione del re con una seria riforma e con ridur li costumi all'integrità e purità della Chiesa vecchia et accordando le differenze della religione, e promise che il re sarebbe stato sempre catolico e devoto della Chiesa romana, secondo l'essempio de' suoi maggiori. Finí dicendo che il re confidava nella bontà e prudenza de' padri, che averebbono compatito a' mali di Francia e si sarebbono adoperati per li rimedii. Aveva il presidente in commissione d'addimandar che il concilio fosse trasferito dove i protestanti avessero libero accesso; imperoché con tutta la sicurezza data dal pontefice e dal concilio, avevano il luogo per sospetto e lo volevano dove l'imperatore potesse assicurargli; ma questo capo non lo toccò, cosí consegliato dal cardinale di Lorena e dagl'ambasciatori del suo re, che non giudicarono opportuno farne menzione e l'avevano per rivocato dopo, attese le lettere scritte al papa et ad esso Lorena, de' quali è fatta menzione.

Era già stato dato ordine, per consultazione de' legati, che fosse dal promotore per nome della sinodo risposto al Birago con dolersi degl'infortunii et avversità del regno di Francia et essortar il re che, essendo stato necessitato a far la pace e conceder qualche cosa agl'ugonotti, a fine di restituir intieramente la religione, dopoi, posto il regno in tranquillità, volesse per servizio di Dio adoperarsi senza alcuna dilazione per ottenere questo ottimo fine. E dopo la messa, prima che entrare in congregazione, la mostrarono al cardinale di Lorena, qual rispose non parergli bene che la sinodo approbasse il fatto del re, del quale piú tosto pareva che dovessero dolersene, come fatto a pregiudicio della fede, che lodarlo; però meglio era pigliar tempo a risponder, come si fa nelle cose d'importanza. Perilché, mutato conseglio, ordinarono che fosse risposto al Birago in sostanza che, per esser le cose narrate e proposte da lui gravissime e che avevano bisogno di molta considerazione, la sinodo averebbe preso tempo opportuno per rispondergli. Agl'ambasciatori francesi dispiacque grandemente il fatto del cardinale di Lorena, parendo loro che, se li legati non fossero stati disposti a commendare le azzioni del re, egli avesse dovuto incitargli, anzi costringergli per quanto potesse, dove che in contrario, avendo essi giudicato convenire, come era anco giusto e raggionevole, una commendazione del fatto, egli gl'aveva dissuasi. Ma consultati tra loro risolverono che non fosse ben scriverne in Francia per molti rispetti, poiché Lansac, che presto doveva esser di ritorno, poteva a voce far quella relazione che fosse stata necessaria.

Il mese inanzi era successo in Baviera un gran tumulto e sollevazione popolare, perché non era stato concesso loro l'uso del calice e che li maritati potessero predicare; il qual disordine procedette tanto inanzi che, per acquietargli, il duca promise nella dieta che, quando per tutto giugno in Trento overo dal pontefice non fosse stata presa risoluzione di dar loro sodisfazzione, egli averebbe concesso e l'uno e l'altro. Il che udito nel concilio, li legati spedirono in diligenza Nicolò Ormanetto a persuader quel prencipe di non devenire a tal concessione, promettendogli che il concilio non mancherebbe a' suoi bisogni. Al quale il duca rispose che, per mostrar l'obedienza e devozione sua verso la Sede apostolica, averebbe fatto ogn'opera per trattener li popoli suoi piú che fosse stato possibile, aspettando o sperando che il concilio fosse per risolvere quello che si vedeva esser necessario, non ostante la determinazione fatta prima.

 

 




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