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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro ottavo
    • [In congregazione si tratta delle annate, delle ordinazioni fatte a Roma, de' vescovi titolari, delle dispense, e della risposta al Birago]
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[In congregazione si tratta delle annate, delle ordinazioni fatte a Roma, de' vescovi titolari, delle dispense, e della risposta al Birago]

Ma seguendosi le congregazioni per trattar le materie conciliari, in una d'esse il vescovo di Nimes, parlando sopra li capi degl'abusi dell'ordine, passò a trattar delle annate. Disse che, se ben non negava che tutte le chiese dovessero contribuir al pontefice per mantener le spese della corte, nondimeno non poteva lodare quel pagamento, cosí per il modo, come per la quantità; per questa, poiché sarebbe ben assai se fosse pagata la ventesima, che col pagamento dell'annata si paga forse piú d'una decima; et al modo che almeno non doverebbono esser astretti a pagarle se non dopo l'anno; e poiché la corte romana s'ha da mantenere per le contribuzioni di tutte le chiese, sarebbe anco giusto che da quella ne ricevessero qualche utilità, dove per causa degl'ufficiali di quella, nascono molti e quasi tutti gl'abusi nel cristianesmo. Che di questo doverebbe la sinodo avertirne Sua Santità che li provedesse. Discese in particolar a raggionare delle ordinazioni de' preti che si fanno in Roma; disse che in quelle non sono osservaticanoni, né decreti, e che sarebbe necessario decretare che, quando li preti ordinati in Roma non fossero idonei, potessero li vescovi, non ostante quell'ordinazione, sospendergli, né potessero li sospesi per via d'appellazione o d'altro ricorso impedir la deliberazione del prelato. L'ultimo che parlò nella medesima congregazione fu il vescovo d'Osmo, il quale disse che, come s'erano raccolti gl'abusi dell'ordine, cosí saria anco ben trattar delle penitenze che s'ingiongono e delle indulgenze ancora insieme, per esser tutte tre quelle materie congionte e che si danno mano l'una all'altra.

In un'altra congregazione il vescovo di Guadice longhissimamente parlò, e tra le altre cose fece quasi un'invettiva contra l'ordinazione de' vescovi titolari, con occasione di parlar sopra un capo degl'abusi, che era dato il quarto in ordine: nel quale si diceva che, per rimediar a' gran scandali che continuamente nascono per causa di quella sorte de vescovi, non si creassero piú senza urgente necessità, et in quel caso, prima che fossero ordinati, gli fosse provisto dal pontefice di viver conforme alla degnità episcopale; ma quel vescovo disse che alla degnità episcopale era annesso l'aver luogo e diocesi come cosa essenziale, e che vescovo e chiesa sono relativi, come marito e moglie, che uno non può esser senza l'altro: onde la contradizzione non comportava che si dicesse esser alcuna causa legitima di far vescovi titolari, et affermò l'ordinazione loro esser un'invenzione di corte, anzi usò questa parola: «figmenta humana»; che nell'antichità non se vede vestigio, e che se un vescovo già era privato o rinonciava, s'intendeva non esser piú vescovo, come quello a chi manca la moglie non è piú marito. Perciò leggersi appresso li piú vecchi dottori canonisti che sono invalide le ordinazioni tenute da chi ha rinonciato il vescovato. Che le simonie e le indecenze che nascono per causa di questi vescovi e le altre corrottele della disciplina sono niente rispetto a quest'abuso di dar nome de vescovi a quelli che non sono et alterar l'instituzione di Cristo e degl'apostoli.

Simon de' Negri, vescovo di Sarzana, nel suo voto, entrato nella medesima materia, disse che nel vescovo s'ha da considerare l'ordine e la giurisdizzione; che quanto all'ordine, non ha altro se non che è ministro de' sacramenti della confermazione e dell'ordine, e per constituzione ecclesiastica ha autorità di molte consecrazioni e benedizzioni che sono vietate a' semplici preti. Ma quanto alla giurisdizzione ha l'autorità nel governo della Chiesa; che li vescovi titolari non hanno se non la potestà dell'ordine, senza la giurisdizzione, e però non è necessario che abbiano chiesa. E se anticamente non si consecrava vescovo senza dargli chiesa, questo era perché non si consecravano manco diaconi o preti senza titolo. Dopo, avendosi veduto esser maggior servizio di Dio e grandezza della Chiesa l'esservi preti senza titolo, l'istesso si doveva anco concludere de' vescovi; però che, per proveder agl'abusi, era ben conveniente non ordinargli senza dargli da vivere, acciò non siano costretti alle indegnità; ma del resto è necessario che siano creati, per supplire a' vescovi impotenti o che hanno legitima causa d'esser assenti dalle loro chiese, o anco de' prelati grandi occupati in maggiori negozii; e però egli approvava il capitolo cosí come era desteso.

Et il vescovo di Lugo raggionò delle dispensazioni, dicendo che vi erano molte materie sopra le quali sarebbe gran servizio di Dio e beneficio della Chiesa che la sinodo formasse decreti, dicchiarandole indispensabili. Il che non diceva perché la sinodo avesse a dar legge a Sua Santità, ma solo per esser cose che non patiscono dispensazioni de' pontefici, e quando bene in qualche caso di rarissima contingenza potesse in un secolo occorrere una volta causa raggionevole per dispensargli, nondimeno manco in quel caso la dispensa sarebbe giusta; imperoché è conveniente che una privata persona sopporti qualche gravezza, quando vi sia un gran beneficio publico et anco dove possono occorrer frequenti casi meritevoli di dispensazione, per levar le occasioni d'ottener suppliche e grazie sorretizie che tornano in pregiudicio delle anime, è meglio esser avaro che liberale.

Cessò per se medesima una delle difficoltà che vertevano per causa del vescovo tilesio secretario, per rispetto del quale era fatta frequent'instanza che gl'atti fossero scritti da doi, perché egli, non potendo piú sopportar il dolore che gli causava la pietra, fece risoluzione di farsi tagliare. Fu dopo la sua retirata dato il carico al vescovo di Campagna, dal quale la prima azzione fatta fu nella congregazione del 7 di giugno, con legger la risposta che li legati avevano fabricata per dar al presidente Birago. Quella essendo longa e proposta alla sprovista e non aiutata in voce da alcuno de' legati, essendo anco assai ambigua, con tali parole che si potevano tirar in commendazione et in biasmo dell'accordo fatto dal re, non fu da tutti intesa nel medesimo senso, onde ne riuscirono diverse opinioni de' prelati. Il cardinale di Lorena primo parlò sopra d'essa al longo, senza lasciarsi intender se gli piacesse o no. Finito che ebbe di dire, il cardinale varmiense, spinto a ciò da Morone, lo interpellò che dicchiarasse apertamente quello che sentiva, et egli rispose che non gli piaceva, con gran disgusto di Morone, il quale gliela aveva fatto vedere prima e Lorena aveva mostrato di restarne contento. Madruccio, che seguí, si rimise a' padri: degl'altri, chi l'approvò e chi disse non piacergli. I prelati francesi si dolsero che contra gli ordini servati nella sinodo in simili occasioni, la risposta fosse differita e disputata. Il vescovo ambasciator del duca di Savoia, quando fu suo luogo di parlar, disse che il negozio era da rimettersi assolutamente a' legati et a' doi cardinali. Finiti di dire tutti li voti, si levò l'arcivescovo di Lanciano e disse che, se ben aveva nel voto suo altramente concluso, nondimeno, dopo aver udito l'ambasciatore, era entrato nel parere di quello; onde a voce quasi di tutti insieme fu approvato il medesimo.

 

 




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