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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro ottavo
    • [Birago va a Cesare. Dissegno del decreto del potere i legati soli proporre]
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[Birago va a Cesare. Dissegno del decreto del potere i legati soli proporre]

Ma il presidente Birago, avendo aspettato la risposta quanto gli parve degnità, il 13 partí di Trento per andar in Ispruc a negoziar l'altro capo dell'instruzzione sua con l'imperatore, il qual era per congratularsi per l'elezzione del re de' Romani, dargli conto delle cause perché era fatta la pace con gl'ugonotti, e rispondergli sopra la restituzione di Metz e delle altre terre imperiali. Portava anco l'instruzzione sua ordine di trattar coll'imperatore che, giontamente col re di Spagna, si facessero da tutti ufficii per la translazione del concilio in Germania, communicato questo particolare col cardinale di Lorena, per ricever da lui aviso de' modi piú proprii per quella trattazione o per tralasciarla, come s'era fatto in Trento; ma il cardinale, per le raggioni medesime, risolvé che ne facesse esposizione all'imperatore, come di cosa piú tosto da desiderare che da sperare, né tentare.

Il conte di Luna ebbe nell'instruzzione sua un capitolo con espresso ordine di far instanza che fosse retrattato il decreto «Proponentibus legatis»; e dopo gionto, in quei giorni gli sopravenne una nuova lettera del re, dove avisava esser stato ricercato dalla regina di Francia che il concilio si trasferisse in Germania, acciò fosse in luogo libero, e che egli aveva risposto che non gli pareva necessario, essendovi modo di operare che avesse ogni libertà rimanendo in Trento; però gli commetteva d'adoperarsi a questo fine che vi fosse piena libertà, incomminciando dalla revocazione del decreto; perché, stando quello, non si poteva in modo alcuno chiamar libero. Perilché non parendo all'ambasciatore di poter differir piú, diede conto a' legati della commissione, conforme alla quale fece efficace instanza per nome del re che fosse o levato o decchiarato, dicendo esser ciò conveniente per esser restati li germani di venir al concilio tra le altre cause per quella, e perché anco l'imperatore giudicava che ciò fosse necessario per potergli indurre a ricever il concilio. A che risposero li legati che quel decreto era passato di commun consenso di tutti li padri, con tutto ciò averebbono avuto sopra considerazione per risolvere quello che sarebbe stato giusto, quando esso gl'avesse presentata l'instanza in scritto. L'ambasciator la diede e fu da' legati mandata al pontefice, se ben Morone diceva che era superfluo e che si dovesse, senza dar altra molestia a Sua Santità, portar la risposta in longo. Ne' negoziati de' prencipi, massime che non toccano il sustanziale del loro Stato, avviene che, se ben essi per le mutazioni delle cose mutano opinione, nondimeno per gl'ufficii da loro fatti inanzi la mutazione, succedono cose contrarie alla nuova volontà. Cosí avvenne che gl'ufficii fatti dalla regina col re di Spagna prima che risolvesse di sodisfar al pontefice totalmente nel fatto del concilio produsse l'effetto della lettera di quel re. Però Morone, che penetrava il fondo, non ne tenne quel conto che altri stimava.

 

 




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