[Birago va a Cesare. Dissegno del
decreto del potere i legati soli proporre]
Ma il presidente Birago, avendo aspettato
la risposta quanto gli parve degnità, il dí 13 partí di Trento per andar in
Ispruc a negoziar l'altro capo dell'instruzzione sua con l'imperatore, il qual
era per congratularsi per l'elezzione del re de' Romani, dargli conto delle
cause perché era fatta la pace con gl'ugonotti, e rispondergli sopra la
restituzione di Metz e delle altre terre imperiali. Portava anco l'instruzzione
sua ordine di trattar coll'imperatore che, giontamente col re di Spagna, si
facessero da tutti ufficii per la translazione del concilio in Germania,
communicato questo particolare col cardinale di Lorena, per ricever da lui
aviso de' modi piú proprii per quella trattazione o per tralasciarla, come
s'era fatto in Trento; ma il cardinale, per le raggioni medesime, risolvé che
ne facesse esposizione all'imperatore, come di cosa piú tosto da desiderare che
da sperare, né tentare.
Il conte di Luna ebbe nell'instruzzione
sua un capitolo con espresso ordine di far instanza che fosse retrattato il
decreto «Proponentibus legatis»; e dopo gionto, in quei giorni gli sopravenne
una nuova lettera del re, dove avisava esser stato ricercato dalla regina di
Francia che il concilio si trasferisse in Germania, acciò fosse in luogo
libero, e che egli aveva risposto che non gli pareva necessario, essendovi modo
di operare sí che avesse ogni libertà rimanendo in Trento; però gli commetteva
d'adoperarsi a questo fine che vi fosse piena libertà, incomminciando dalla
revocazione del decreto; perché, stando quello, non si poteva in modo alcuno
chiamar libero. Perilché non parendo all'ambasciatore di poter differir piú,
diede conto a' legati della commissione, conforme alla quale fece efficace
instanza per nome del re che fosse o levato o decchiarato, dicendo esser ciò
conveniente per esser restati li germani di venir al concilio tra le altre
cause per quella, e perché anco l'imperatore giudicava che ciò fosse necessario
per potergli indurre a ricever il concilio. A che risposero li legati che quel
decreto era passato di commun consenso di tutti li padri, con tutto ciò
averebbono avuto sopra considerazione per risolvere quello che sarebbe stato
giusto, quando esso gl'avesse presentata l'instanza in scritto. L'ambasciator
la diede e fu da' legati mandata al pontefice, se ben Morone diceva che era
superfluo e che si dovesse, senza dar altra molestia a Sua Santità, portar la
risposta in longo. Ne' negoziati de' prencipi, massime che non toccano il
sustanziale del loro Stato, avviene che, se ben essi per le mutazioni delle
cose mutano opinione, nondimeno per gl'ufficii da loro fatti inanzi la
mutazione, succedono cose contrarie alla nuova volontà. Cosí avvenne che
gl'ufficii fatti dalla regina col re di Spagna prima che risolvesse di sodisfar
al pontefice totalmente nel fatto del concilio produsse l'effetto della lettera
di quel re. Però Morone, che penetrava il fondo, non ne tenne quel conto che
altri stimava.
|