[Discorso del general Lainez a favor di
Roma]
Nella congregazione de' 15 giugno propose
il cardinale Morone che fosse statuito il giorno determinato per la sessione a'
15 di luglio. Segovia con alcuni altri pochi disse che non vedeva come si
potessero in cosí breve spacio di tempo risolvere le difficoltà che si avevano
per le mani della ierarchia, dell'ordine, dell'instituzione de' vescovi, della
preminenza del papa, della residenza, e che meglio era prima decider le
difficoltà, che poi sempre si poteva statuire un breve termine al giorno della
sessione, che prononciarlo, per dover poi allongarlo con indegnità. Ma essendo
pochi quelli che contra dissero, la proposta fu stabilita quasi senza
difficoltà. Ma il dí seguente il Lainez, general de giesuiti, nel voto suo
s'indrizzò a risponder a tutte le cose che dagl'altri erano state dette, non
ben conformi alla dottrina della corte, con affetto cosí grande, come se si
fosse trattato della propria salute. Nella materia delle dispensazioni si
allargò assai: disse irraggionevolmente esser stato detto non esservi altra
potestà di dispensare salvo che interpretativa e decchiarativa, perché a questo
modo maggior era l'autorità d'un buon dottore che d'un gran prelato, e che il
dire che con la dispensa il papa non possi disobligar quello che appresso Dio è
obligato, non è altro che insegnar agl'uomini il preferir la propria conscienza
all'autorità ecclesiastica, la qual conscienza, poiché può esser erronea, e per
il piú anco è, il rimettersi a quella non esser altro che profondar ogni
cristiano in abisso de pericoli. Che sí come non si può negare che in Cristo
non sia l'autorità di dispensare in ogni legge, né che il pontefice sia vicario
di Cristo, essendo il medesimo tribunale et il medesimo consistoro del
principale e del vicegerente, doversi confessare che il papa abbia la medesima
autorità. Che questo era privilegio della Chiesa romana e doversi ognun
guardare che è eresia il levar li privilegii di quella Chiesa, non essendo
altro se non negare l'autorità che Cristo gl'ha dato. Passò anco a parlare
della riforma della corte, e disse che, chi era superior a tutte le chiese
particolari, era anco superior a molte radunate insieme, e se alla corte romana
appartiene riformare ciascuna delle chiese che ha vescovo in concilio e nissuna
di quelle può riformar la romana, perché non vi è discepolo sopra il maestro,
né servo sopra il suo padrone, ne resta per necessaria consequenza che il
concilio non abbia auttorità di metter mano in quell'opera. Che molti parlavano
attribuendo ad abuso cose che, quando si essaminassero ben e si penetrasse al
fondo, si ritroverebbono esser o necessarie overo almeno utili. Che alcuni
pretendono di volerla ridur come nel tempo degl'apostoli o come nella primitiva
Chiesa; ma questi non sanno distinguer li tempi, e che cosa convenga a questi e
che convenisse a quelli. Esser cosa chiara che per divina providenza e bontà la
Chiesa è fatta ricca: nissuna cosa esser piú impertinente da dire quanto che
Dio abbia donato le ricchezze e non l'uso. Delle annate disse esser de iure
divino che da' popoli siano pagate le decime e le primizie all'ordine
ecclesiastico, sí come dal popolo ebreo a' leviti, e parimente, sí come li
leviti pagavano la [decima delle] decime al sommo sacerdote, cosí aver
l'istesso obligo tutto l'ordine ecclesiastico verso il papa: l'entrate de'
beneficii esser le decime, l'annate esser le decime delle decime. Il discorso
dispiacque a molti, e particolarmente a' francesi, e ci furono prelati che da
quello notarono diverse cose con qualche pensiero di parlarne, se fosse nata
occasione, quando fosse toccato loro a dire.
I spagnuoli e francesi tennero openione
che quel padre avesse cosí trattato per ordine o almeno consenso de' legati,
allegando per argomento li molti favori che da loro gli venivano in ogni
occasione fatti, e specialmente perché, dove era solito che gl'altri generali
nel dir il loro parere stassero in piede et a loro luogo, il Lainez era
chiamato in mezo e fatto seder, e che piú volte s'era fatta congregazione per
lui solo, per dargli commodità di parlare quanto voleva, e con tutto che nissun
fosse mai gionto alla metà della prolissità sua, egli era lodato, e quelli
contra chi esso parlò, non furono mai tanto brevi, che non fossero ripresi di
longhezza. Ma il Lainez, saputa l'offesa che pretendevano aver avuto li
francesi, mandò il Torre et il Cavillon, suoi socii, a farne scusa con Lorena,
con dire che le redarguzioni sue non furono inviate a Sua Signoria
Illustrissima, né ad alcuno de' prelati francesi, ma sí bene contra li teologi
della Sorbona, le openioni de' quali sono poco conformi alla dottrina della Chiesa.
Il che essendo riferito al cardinale in congregazione de' francesi tenuta in
sua casa, l'iscusa fu da' prelati sentita con disgusto, e da alcuni di loro
riputata petulante, da altri anco derisoria, e con maggior sentimento fu
ricevuta da quei pochi teologi rimasti, di modo che sino l'Ugonio, che era
comprato, la riputava incomportabile. Al Verdun pareva d'esser toccato
singolarmente et esser in obligo di replicare, e pregò il cardinale che gliene
dasse licenza et occasione: prometteva di parlare con modestia e mostrare che
la dottrina della Sorbona era ortodossa e quella del giesuita nuova et
inaudita; che mai per l'inanzi nella Chiesa era stato inteso da Cristo esser
stata data la chiave d'autorità senza chiave di scienza; che lo Spirito Santo,
donato per il reggimento della Chiesa, dalla divina Scrittura è chiamato
spirito di verità e la sua operazione ne' governatori d'essa e ministri di
Cristo esser condurgli in ogni verità. Che perciò Cristo ha partecipato a'
ministri l'autorità sua, perché insieme gl'ha communicato il lume della
dottrina. Che san Paolo a Timoteo, scrivendo d'esser constituito apostolo, si
decchiara cioè dottor delle genti; che in doi luoghi, prescrivendo le
condizioni del vescovo, dice che sia dottore. Che guardando l'uso della Chiesa
primitiva, si troverà che per tanto li fedeli ricorrevano per le dispense e
decchiarazioni a' vescovi, perché erano assonti a quel carico li piú instrutti
nella dottrina cristiana che si ritrovassero. Che si poteva anco tralasciar
l'antichità, imperoché li scolastici e la maggior parte de' canonisti hanno
constantemente detto esser valide le dispense de' prelati, «clave non errante»,
e non altrimenti. L'Ugonio ancora si offerí trattare sopra quella asserzione
che l'istesso sia il tribunal di Cristo e del papa, come proposizione empia e
scandalosa, che uguagli l'immortale al mortale et il giudicio corrottibile al
divino, e che nasceva da ignoranza, essendo il papa quel servo preposto sopra
la fameglia di Cristo non per far l'ufficio di padre di famiglia, ma solo per
distribuire a ciascuno, non arbitrariamente, ma quello che dal medesimo padre è
ordinato. Che restava pieno di stupore che orrecchie cristiane potessero udire
che tutta la potestà di Cristo sia communicata ad altra persona. Tutti
parlarono, chi censurando una, chi un'altra delle asserzioni del giesuita. Ma
il cardinale gli considerò che non si sarebbe fatto poco, ottenendo che ne'
decreti publici del concilio non fosse aperto adito a quella dottrina, et a
questo tanto conveniva che tutti mirassero; al qual fine piú facilmente
sarebbono pervenuti passando le cose con silenzio e cosí lasciandole andar in
oblivione; che, contradicendole, averebbono fatto qualche pregiudicio alla
verità. Si quietarono, ma non sí che ne' privati congressi non se ne parlasse
assai.
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