[Due decreti, della residenza e
dell'instituzione di vescovi, formati e contradetti in Trento et a Roma]
Ma i legati accommodarono li doi capi
dell'instituzione de' vescovi e della residenza con parole cosí generali, che
davano sodisfazzione ad ambe le parti, et in maniera che piacquero anco a
Lorena. Ma avendogli dopo consultati co' teologi ponteficii et alquanti prelati
canonisti, questi fecero opposizione che pativano interpretazione pregiudiciale
all'autorità della Sede apostolica et agl'usi della corte. Il vescovo di
Nicastro, che molte volte aveva conteso di quella materia a favore delle cose
romane nelle congregazioni, diceva apertamente che con quella forma di dire
s'inferiva che tutta la giurisdizzione de' vescovi non perveniva dal papa, ma
una parte d'essa da Cristo immediate, la qual cosa non era da tolerare in modo
alcuno. Il medesimo sostenevano gl'altri ponteficii, interpretando in sinistro
ogni parola, se apertamente non si diceva li vescovi aver tutta la
giurisdizzione dal papa. Perilché li legati mandarono li capitoli cosí
riformati al pontefice, non tanto acciò che a Roma fossero essaminati, quanto
anco per non propor in materia di tanta importanza cosa non saputa dal
pontefice; li quali veduti et essaminati da' cardinali preposti a questi
negozii, giudicarono che quella forma bastasse per far tutti li vescovi, nella
propria diocesi, uguali al papa, et il pontefice riprendeva li legati che
gliel'avessero mandata, poiché sapeva molto ben la maggior parte nel concilio
esser buoni catolici e divoti della Chiesa romana, e di questi confidando, si
contentava che le proposizioni e risoluzioni fossero deliberate in Trento,
senza sua saputa; ma non doveva però esso consentire ad alcuna cosa
pregiudiciale, per non dar cattivo essempio a loro et esser causa che essi
ancora vi assentissero contra la loro conscienza.
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