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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro ottavo
    • [Difficoltà a Roma sopra l'ambasciata di Massimiliano, re de' Romani]
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[Difficoltà a Roma sopra l'ambasciata di Massimiliano, re de' Romani]

Ebbe il pontefice in questo tempo una altra negoziazione assai dura; perché, dovendo il re de' Romani mandar ambasciatori per dar conto dell'elezzione sua, non volle far come gl'altri imperatori e re, quali, non essendovi alcuna difficoltà, promisero e giurarono tutto quello che a' pontefici piacque; ma egli, avendo rispetto di non offender li prencipi et altri protestanti di Germania, volse prima che si decchiarasse che parole avesse da usare. Posta la cosa in consultazione de' cardinali, quelli deliberarono che dovesse dimandar la conferma dell'elezzione e giurar ubedienza, secondo l'essempio di tutti gl'altri imperatori. Al che egli rispose che quelli furono ingannati et egli non era per acconsentir a cosa che dovesse esser poi presa a pregiudicio de' suoi successori, come le azzioni de' suoi precessori si adoperavano a pregiudicio suo, e che era un decchiararsi vassallo; e propose che l'ambasciatore suo usasse queste parole: che la Maestà Sua presterà ogni riverenza, divozione et ossequio alla Santità Sua et alla Sede apostolica, con promessa non solo di conservare, ma di ampliar, quanto potrà, la santa fede catolica. Non potendo concordar, durò il negoziato tutto quest'anno, e credettero a Roma d'averli finalmente trovato buon temperamento, proponendo che giurasse ubedienza non come imperatore, ma come re d'Ongaria e di Boemia, poiché dicevano non potersi negare che il re Stefano, l'anno della nostra salute 1000, non donasse il regno alla Sede apostolica, riconoscendolo poi da lei col titolo regio e facendosi vassallo, e che Vladislao, duca di Boemia, non ricevesse da Alessandro II la facoltà di portar la mitra, obligandosi di pagar 100 marche d'argento ogni anno. Le qual cose consegliate in Germania e veduto non essercene altri documenti che l'affermativa di papa Gregorio VII, furono derise e rispostogli che si desideravano essempii piú recenti e piú certi e titoli piú legitimi. Andarono inanzi et indietro messi con varie proposte, risposte e repliche, delle quali, per non parlar piú, sarà ben rifferir al presente l'essito, il qual fu che, 20 mesi dopo, arrivò in Roma il conte d'Elfestain, ambasciatore di quel re, col quale si rinovarono le medesime trattazioni di dimandar la conferma e giurar l'obedienza. Ma dicendo egli d'aver in scritto l'orazione che aveva da recitar pontualmente, con commissione di non alterarne un iota, il papa, fatta congregazione generale, propose il negozio a' cardinali; li quali, dopo longa consultazione, vennero a conclusione che, se ben la conferma non sarebbe addimandata, né l'obedienza promessa, che nondimeno nella risposta all'ambasciatore si dovesse dire che la Santità Sua confermava l'elezzione, supplendo tutti li deffetti de fatto e de iure intervenuti in quella, e che riceveva l'obedienza del re, senza dire che fosse dimandata o non dimandata, promessa o non promessa. E riuscí quella ceremonia con poco gusto del pontefice e minor del collegio de' cardinali.

 

 




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