[Cesare parte d'Ispruc, disperando del
concilio]
Il 25 del mese di giugno l'imperatore,
essendosi dall'esperienza delle cose certificato, o in questo tempo overo 2
mesi prima, quando fu con lui il Morone, che la sua vicinità al concilio non
solo non faceva quel buon frutto che egli aveva stimato, ma piú tosto contrarii
effetti, perché li prelati ponteficii, entrati in sospetto che Sua Maestà avesse
dissegni contra l'autorità della corte romana, prendevano ombra d'ogni cosa,
onde le difficoltà e sospizzioni erano per aummentarsi in acerbità e crescer
anco in numero, et avendo altri negozii dove piú utilmente implicarsi, se ne
partí, avendo scritto al cardinal di Lorena che, essendosi toccata con mano
l'impossibilità di far cosa buona nel concilio, teneva esser ufficio di
prencipe cristiano e prudente piú tosto contentarsi di sopportar il mal
presente che, per rimediarlo, causarne di maggiore. Et al conte di Luna, che 3
giorni prima era andato a trovarlo in posta, ordinò di scriver al re Catolico
sopra il decreto «Proponentibus legatis», essortando quella Maestà in nome suo
a contentarsi di non cercar rivocazione, né decchiarazione; e quando pur restasse
dubio a Sua Maestà che, non decchiarandosi, potesse apportar pregiudicii a'
futuri concilii, si poteva, quando fosse bisogno, in fine di quello far la
decchiarazione. Et essendogli andata notizia che a Roma et in Trento si
trattava di proceder contra la regina d'Inghilterra, scrisse al pontefice et a'
legati che, non potendosi aver quel frutto che si desiderava dal concilio di
veder una buona unione in tutti li catolici a riformar la Chiesa, almeno non si
dasse occasione agl'eretici d'unirsi tra loro maggiormente, che se gli prestava
col trattar di proceder contra la regina d'Inghilterra; perché da quello senza
dubio gliene sarebbe nata una lega generale di tutti contra li catolici, la
qual averebbe partorito grand'inconvenienti; e fu cosí efficace l'ammonizione
dell'imperatore, che il papa fece desistere in Roma e revocò la commissione
data a' legati in Trento.
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