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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro ottavo
    • [Disputa di precedenza tra Francia e Spagna in concilio]
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[Disputa di precedenza tra Francia e Spagna in concilio]

Dopo che il papa disgustò li spagnuoli, non avendo dato luogo all'ambasciator in Roma, per aquietarli ascoltò la ricchiesta di Vargas, che per piú giorni assiduamente l'aveva molestato con instanzia che, come s'era trovato modo come il conte ambasciator del suo re in Trento potesse intervenire nelle congregazioni, cosí, approssimandosi il tempo di celebrare la sessione, la Santità Sua trovasse via come potesse intervenirvi. Sopra la qual cosa avendo molto pensato e consultato co' cardinali, finalmente venne in risoluzione che anco nella sessione fosse dato al conte di Luna luogo separato dagli altri ambasciatori, e per rimediar alla competenza, che sarebbe stata nel dar l'incenso e la pace, si usassero doi turibuli e fossero incensati li francesi e lo spagnuolo tutti in una volta, e parimente fossero portate due paci a basciar a questi et a quello tutt'in un instante; e cosí scrisse a' legati che esseguissero, ordinando loro che il tutto tenessero secretissimo sino al tempo dell'essecuzione, acciò, risaputo, non fossero preparate qualche inconvenienze. Il cardinale Morone, seguendo il commandamento del papa, tenne secreto l'ordine, che li francesi mai lo penetrarono.

Il 29 giugno, giorno di san Pietro, congregati nella capella del domo i cardinali, ambasciatori e padri et incomminciata la messa, qual celebrò il vescovo d'Avosta, ambasciator del duca di Savoia, alla sprovista uscí di segrestia una sedia di veluto morello e fu posta tra l'ultimo cardinale et il primo de' patriarchi, e quasi immediate comparve il conte di Luna, ambasciator spagnuolo, e sedette in quella sedia. S'eccitò per questo gran mormorazione di ciascuno de' padri co' vicini. Il cardinale di Lorena si lamentò co' legati dell'atto improviso e celato a lui; gl'ambasciatori francesi mandarono il maestro delle ceremonie a far l'istesse indoglienze, mettendo in considerazione le ceremonie dell'incenso e della pace. A che rispondendo li legati che si sarebbe rimediato con doi turibuli e due paci, li francesi non si contentarono, ma apertamente dissero voler esser conservati non in parità, ma in precedenza, e che d'ogni novità averiano protestato e partitisi dal concilio. Si continuò in queste andate e ritorni sino al fine dell'Evangelio, in maniera che per li grandi susurri l'Epistola e l'Evangelio non furono uditi. Andato il teologo in pulpito per far il sermone, si ritirarono li legati co' cardinali, ambasciatori dell'imperatore e col Ferrier, uno de francesi, in segrestia, dove si trattò questa materia, et il sermone finí prima che cosa alcuna fu conclusa. Nel cantar del Credo, nel mezo di quello fu inditto silenzio et il cardinale Madruccio col Cinquechiese e l'ambasciator di Polonia uscirono a parlar co' conte di Luna e pregarlo per nome de' legati che si contentasse che per allora non fosse datoincensopace ad alcuno, a fine d'impedir il sprovisto tumulto che potrebbe causar qualche gran male, promettendogli che ad ogni altra sua ricchiesta esseguirebbono l'ordine di Sua Santità de' doi turibuli e due paci in un tempo; il che facendosi alla pensata, et egli e loro e tutti averebbono potuto risolver come governarsi con prudenza. Finalmente, dopo longo raggionamento, tornarono dentro con la risoluzione, la qual fu che il conte se ne contentava. Con questa deliberazione uscirono tutti di segrestia e tornarono al proprio luogo, e la messa seguí, come si è detto, senza incenso e senza pace, e subito detto: «Ite missa est», il conte di Luna, il qual nelle congregazioni era solito uscire l'ultimo dietro a tutti, allora partí inanzi la croce, seguitato da gran parte de' prelati spagnuoli et italiani sudditi del suo re. Partirono dopo li legati, ambasciatori et i prelati rimanenti al modo consueto.

I legati, per liberarsi dall'imputazione che gl'era data d'aver proceduto in cosa di tanto momento clandestinamente e quasi con fraude, furono necessitati publicar gl'ordini espressi ricevuti da Roma di dover cosí operare in quel tempo, in quel modo, in quel luogo e senza communicare. Il Ferrier publicamente diceva che, se non fosse stato il rispetto al culto divino, averebbe fatto la protestazione che teneva in commissione dal suo re, la qual per l'avvenire farebbe, quando non si restituissero le solite ceremonie d'incenso e pace, dando loro in quelle il debito luogo. Scrisse anco il cardinale di Lorena al pontefice una lettera assai risentita, esponendo il torto che si trattava di far al suo re e modestamente dolendosi che Sua Santità gl'avesse fatto dire di confidar tanto in lui, che voleva gli fossero communicate tutte le cose del concilio, del che, se ben non vedeva l'effetto, non se ne doleva, ma ben gli premeva che avesse commandato a' legati di non communicargli le cose sue proprie e quello che meglio d'ogni altro poteva adoperarsi in bene; aggiongendo non esser seguito tutto 'l male che sarebbe seguito, se esso non si fosse messo in mezo; soggiongendo che del tutto la colpa era attribuita alla Santità Sua e pregandolo a non voler esser autore e causa di tanti mali. E gli mandò anco in posta il Musotto per esplicargli piú particolarmente la risoluzione degl'ambasciatori francesi et il pericolo imminente. Il conte di Luna si lamentava della durezza de' francesi e magnificava la molta pazienza e modestia usata da sé, e fece instanza co' legati che la dominica seguente fosse admesso a luogo e ceremonie uguali, secondo l'ordine del papa. Non mancava anco chi dicesse che il tutto era un stratagema del pontefice per dissolver il concilio, e li ponteficii chiamati «amorevoli» dicevano che, se pur s'avesse avuto a venir a dissoluzione, averebbono desiderato che piú tosto fosse occorsa per la controversia che era sopra le parole del concilio fiorentino, che il papa è rettor della Chiesa universale, stimando che sarebbe stato piú facile giustificarne Sua Santità e darne tutta la colpa a' francesi.

La mattina seguente, ultimo del mese di giugno, il conte, congregati i prelati spagnuoli e molti italiani, disse loro che il giorno inanzi non era andato in capella per dar occasione alcuna di disturbo, ma per conservar le raggioni del suo re e valersi dell'ordine dato dal pontefice; aver inteso dopo che, quando egli fosse tornato in capella, [i] francesi volevano protestare, al qual atto se fossero venuti, egli non averia potuto mancar di risponder loro con modo e termini che essi usassero, cosí per la parte di Sua Santità, quanto per quello che tocca alla Maestà del suo re. Quei prelati risposero che, venendosi a questo, ciascuno di loro sarebbe stato pronto nel servizio di Sua Santità e non averebbono mancato ancora di tener conto di Sua Maestà catolica in quello che a loro si convenisse. Gli pregò il conte di nuovo a star avvertiti a tutto quello che potesse occorrer in tal caso, dicendo che egli ancora ci verria preparato, sapendo che francesi non potevano pigliar se non tre mezi: o contra li legati, o contro il re, o contro esso medesimo ambasciatore, a' quali tutti preparerebbe conveniente risposta. Gl'ambasciatori degl'altri principi tutti fecero ufficio co' legati che dovessero trovar temperamento, acciò non seguisse piú tal disordine; quali avendo risposto che non potevano restar d'esseguir il commandamento del papa, essendo preciso e senza alcuna reservazione et avendo anco promesso al conte di volerlo far ad ogni sua ricchiesta, il cardinale di Lorena protestò a' legati che, quando volessero farlo, esso anderia in pergolo e mostreria di quanta importanza fusse questa cosa e quanta rovina fosse per apportare alla cristianità tutta, e che col crocifisso in mano grideria: «Misericordia», persuadendo a' padri et al popolo di partir di chiesa per non veder un scisma cosí tremendo; e che gridando: «Chi desidera la salute della republica cristiana mi segua», partiria di chiesa con speranza d'esser seguito da cadauno. Dal che mossi li legati, deliberarono di far ufficio col conte che si contentasse che la seguente dominica non si tenesse capella, né si facesse processione secondo il solito; e di tutto diedero aviso al papa.

Si facevano continue congregazioni in casa degl'ambasciatori francesi e del spagnuolo; il quale ora dava speranza di contentarsi, ora faceva instanza che si dovesse andar in chiesa per esseguir l'ordine del pontefice dell'incenso e pace. E gl'ambasciatori francesi erano risoluti di far la protesta e partire, e dicevano apertamente che non protesterebbono contro li legati, per esser meri essecutori, né contro il re di Spagna o il conte suo ambasciatore, perché proseguivano la causa loro, né contro la Sede apostolica, la quale erano sempre per onorare, seguendo li vestigii de' loro maggiori, ma contro la persona del pontefice, dal qual veniva il pregiudicio e l'innovazione, come quello che s'era fatto parte e dava causa di scisma, e per altra causa ancora, con appellazione al futuro pontefice, legitimamente eletto, et ad un concilio vero e legitimo, minacciando di partire e di celebrar un concilio nazionale. I prelati et altri francesi a parte dicevano communemente ad ognun che gl'ambasciatori avevano proteste contra la persona del pontefice, che si portava per papa non essendo legitimo, per causa d'elezzione invalida e nulla per vizio di simonia, accennando particolarmente la poliza, quale il cardinale Caraffa ebbe dal duca di Fiorenza, con promissione di certa somma di danari, e la quale quel cardinale mandò poi al re Catolico, pretendendo che non poteva esser fatta se non de consenso del pontefice inanzi la sua assonzione, et a quell'altra poliza fatta di mano del papa, allora cardinale, in conclave al cardinale di Napoli, della quale di sopra s'è detto. Et il presidente Ferrier preparò un'orazione assai pungente in lingua latina, con la protestazione, la qual, se ben non fu fatta, è però andata in stampa e da' francesi è mostrata e tuttavia si mostra in stampa come se recitata fosse, della quale il portarla sostanza non è fuori del proposito presente, acciò si vegga non quel che dissero, ma che senso portarono li francesi al concilio.

Diceva in sostanza: che essendo congregato quel concilio per opera di Francesco e Carlo fratelli, re di Francia, sentivano con molestia essi oratori francesi regii esser costretti a partirsi o acconsentir alla diminuzione della degnità del re; che era noto a chi aveva letto il ius ponteficio e le istorie della Chiesa romana la prerogativa del re di Francia, et a quelli che avevano letto li volumi de' concilii, qual luogo avessero tenuto in quelli; che gl'ambasciatori del Catolico ne' passati concilii generali avevano seguito quelli del Cristianissimo. Che in quel tempo s'era fatta mutazione, non da essi padri, che se fossero in libertà non moverebbono alcun prencipe dal suo possesso, né la mutazione esser fatta dal re Catolico, congiontissimo in amicizia e parentela con loro re; ma dal padre de tutti li cristiani, che per pane ha dato al figlio primogenito una pietra e per pesce un serpente, per ferir con una pontura insieme il re e la Chiesa gallicana. Che Pio IV sparge seme di discordia per sturbar la pace tra li re concordi, mutando per forza et ingiustizia l'ordine del seder gl'ambasciatori sempre usato, et ultimamente ne' concilii di Costanza e lateranense, per mostrar d'esser superiore a' concilii. Che né egli potrà sturbar l'amicizia de' re, né levar la dottrina delle sinodi di Costanza e Basilea, che il concilio sia sopra il papa. Che san Pietro aveva imparato d'astenersi da' giudicii delle cose mondane, dove quel suo successore e non immitatore pretendeva dar e levar gl'onori de' re. Che per legge divina, delle genti e civile fu tenuto conto del primogenito, e vivendo e morto il padre: ma Pio ricusa preferire il re primogenito agl'altri nati molto tempo dopo quello. Che Dio, per rispetto di David, non volse sminuire la degnità di Salomone e Pio IV, senza rispetto de' meriti di Pipino, Carlo, Ludovico et altri re di Francia, con suo decreto pretende levar le prerogative del successor di quelli re. Che contra le leggi divine et umane, senza alcuna cognizione ha condannato il re, l'ha levato dell'antichissima sua possessione et ha prononciato contra la causa d'un pupillo e vedova. Che gl'antichi pontefici, quando la sinodo general era in piedi, mai hanno fatto cosa senza l'approbazione di quella, e Pio ha voluto senza quel concilio, che rapresenta la Chiesa universale, levar di possesso gl'oratori d'un re pupillo non citato, quali non a lui, ma alla sinodo sono mandati. Che acciò non vi fosse provisione, ha usato diligenza acciò il suo decreto non fosse saputo, commandando a' legati, in pena di scommunica, di tenerlo secreto. Che considerassero li padri se questi sono fatti di Pietro e d'altri pontefici, se essi ambasciatori siano costretti partire da dove Pio non ha lasciato luogo alle leggi, né vestigio della libertà del concilio; poiché nissuna cosa è proposta a' padri o publicata, se non prima mandata da Roma. Che contro quel Pio IV solamente protestavano, venerando la Sede apostolica et il sommo pontefice e la santa Chiesa romana, ricusando solo d'obedir a quello et averlo per vicario di Cristo. Che quanto a' padri ivi congregati gl'averanno sempre in gran venerazione, ma poiché tutto quello che si fa, è fatto non in Trento, ma in Roma, e li decreti che publicano sono piú tosto di Pio IV che del concilio tridentino, non gli riceveranno per decreti di sinodo generale. In fine commandava per nome del re a' prelati e teologi che si partissero per ritornare quando Dio avesse restituito la debita forma e libertà a' concilii generali et il re avesse ricevuto il debito luogo.

Non vi fu occasione di far la protesta, atteso che, considerando finalmente il conte che, quantonque la parte di Spagna fosse maggiore di numero de prelati che la francese, nondimeno li dependenti dal pontefice, li quali sarebbono stati a suo favore nella prima occorrenza, conoscendo il voler di Sua Santità, passata la prima occasione e sapendo che si era già spedito a Roma per quella causa, sarebbe stata di parere che si soprasedesse sino alla risposta et a nuovo ordine; onde, gionti co' francesi, la parte sua sarebbe restata piú debole, piegando a contentarsi di qualche composizione, interponendosi tutti gl'altri ambasciatori et il cardinale Madruccio, dopo molte difficoltà convennero che nelle ceremonie publiche non fosse dato piúincensopace, sino alla risposta del re di Spagna. Il qual accordo dispiacque a molti, parte dependenti dal pontefice e che avevano cara quell'occasione per interromper il progresso del concilio, e parte anco che, sazii di star in Trento, né sapendo veder in che maniera il concilio potesse aver né progressofine, desideravano per manco male che fosse interrotto, acciò le discordie non si facessero maggiori. Certo è che il medesimo pontefice, avuto l'aviso dell'accordo tra gl'ambasciatori lo sentí male, per il medesimo timore che le discordie non si facessero maggiori e non succedesse qualche male; e li ministri spagnuoli che erano in Italia, tutti biasmavano il conte d'aver lasciato fuggir un'occasione tanto favorevole in servizio del re.

 

 




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