[Consulta de' principali e
congregazione sopra i decreti]
Stabilite queste cose, fu risoluto di
legger il tutto nella consulta di quei principali, acciò che nella
congregazione generale le cose passassero con intiera quiete. Si contentarono
ambe le parti, eccetto che per il sesto anatematismo, dove si dice la ierarchia
esser instituita per ordinazione divina; l'arcivescovo d'Otranto et altri
prelati pontificii s'insospettirono che le parole espresse in termini cosí
generali, significando che tutti gl'ordini sacri, senza far differenza tra
l'uno e l'altro, siano per ordinazione di Cristo, potesse inferire che li
vescovi siano uguali al sommo pontefice. Ma li teologi e canonisti ponteficii
gl'essortarono a non metter difficoltà, essendo cosa chiara da' canoni
antecedenti e seguenti che non si trattava se non de cosa pertinente
all'ordine, nel che il pontefice non eccede gl'altri vescovi, e della
giurisdizzione non si faceva menzione alcuna. I medesimi ancora ebbero in
sospetto le parole del proemio del capitolo della residenza, dove si diceva
che, per precetto divino, tutti quelli che hanno cura d'anime sono obligati
conoscer le pecorelle sue, ecc., inferendo che quello fosse un modo di
decchiarare che la residenza sia de precetto divino. Ma la maggior parte de'
medesimi ponteficii sentivano in contrario, dicendo che tutti quei particolari,
che si dicono esser commandati da Dio a chi ha cura d'anime, si possono anco
osservare in assenza, quantonque con la presenza s'adempino piú intieramente, e
massime che le parole che seguono proveggono in maniera che non può esser alcun
pregiudicio a Sua Beatitudine; aggiongendo anco che, essendo stato accommodato
in quella forma dal cardinal di Mantova, era stato piú e piú volte posto in consultazione,
né mai era stato fatto quel dubio sopra, e che a Roma medesmamente non
l'avevano giudicato pregiudiciale. Non per questo fu possibile rimover dalla
openione sua Otranto et altri che lo seguivano.
Alcuni de' spagnuoli fecero diligente
instanza della decchiarazione per l'instituzione de' vescovi e per la residenza
de iure divino, ma furono costretti a desistere, essendo persuasi la
maggior parte de' loro colleghi dal cardinal di Lorena, il qual usò con loro
termini di conscienza, dicendo che non fosse cosa sicura e grata a Dio, vedendo
di non poter far il ben che si desiderava, voler con una superflua e vana
instanza causar qualche male; che assai era l'aver impedito il pregiudicio che
altri pensavano far alla verità con stabilir contrarie openioni, e se non si
poteva ottener tutto quello che si desiderava, si poteva però sperar qualche
cosa nel tempo futuro con l'aiuto divino. Con tutto questo, Granata e Segovia
con alcuni altri di loro non potero esser rimossi, sí come nemanco fu possibile
superar dall'altro canto il patriarca di Gierusalem e l'arcivescovo d'Otranto
con altri aderenti, quali erano convenuti di contradire a tutto quello che si
proponesse, come a cose che non servivano a levar le differenze, ma solo ad
assopirle, con certezza che, caminando inanzi, sarebbono date fuori con
maggiori forza et impeto e che quando s'avesse avuto a rompere, meglio era
farlo inanzi celebrar la sessione che dopo; né fu possibile che li legati
potessero persuaderli.
Con tutto ciò, non ostanti tutte queste
contradizzioni, stabilite cosí le cose con gl'altri principali, il dí 9 del
mese di luglio s'incomminciarono le congregazioni generali: dove essendo prima
letto quello che appartiene alla dottrina e canoni dell'ordine, il cardinal di
Lorena diede essempio parlando brevemente e non mettendo alcuna difficoltà. Fu
seguito dagl'altri sino al luogo di Granata, il qual disse esser cosa indegna
aver tanto tempo deriso li padri trattando del fondamento dell'instituzione de'
vescovi e poi, adesso, tralasciandola; e ne ricercò la decchiarazione de
iure divino, dicendo maravegliarsi perché non si decchiarasse un tal punto
verissimo et infallibile. Aggionse che si dovevano proibire come eretici tutti
quei libri che dicevano il contrario. Al qual parer aderí Segovia, affermando
che era espressa verità, che nissuno poteva negarla e si doveva decchiarare per
dannare l'openione degl'eretici che tenevano il contrario. Seguivano anco
Guadice, Aliffe e Monte Marano con gl'altri prelati spagnuoli, de' quali alcuni
dissero la loro openione esser cosí vera come li precetti del decalogo. Il
vescovo di Coimbria si lamentò publicamente che con astuzia si pregiudicasse
alla verità, concedendo che potessero esser ordinati vescovi titolari, perché
questo era decchiarare che la giurisdizzione non fosse essenziale al vescovato,
né si ricevesse immediate da Cristo, e fece instanza che il contrario fosse
decchiarato, replicando il concetto piú volte detto, esser cosí essenziale al
vescovo aver chiesa e sudditi fedeli, come al marito aver moglie. Dopo proposto
il decreto della residenza, il cardinal di Lorena l'approvò con la stessa
brevità; solo raccordò che al passo dove si raccontano le cause dell'assenza,
ponendo tra le altre l'evidente utilità della Chiesa, si aggiongesse quella
parola: «e della republica», e questo per rimover ogn'impedimento che quel
decreto potesse apportare all'esser ammessi li prelati agl'ufficii e consegli
publici; di che ebbe l'applauso universale. Seguí il cardinal Madruccio,
parlando nel medesimo tenore. Il patriarca di Gierusalem, l'arcivescovo Verallo
et Otranto non volsero dir il parer loro sopra quel decreto, di che
l'arcivescovo di Braga, quando fu il luogo del voto suo, si voltò a' legati,
quasi in forma di riprensione, con dire che dovessero usar la loro autorità et
astringer li prelati a dir il loro parere e che era una cattiva introdozzione
in concilio, quasi che o fossero costretti a tacere o avessero ambizione di non
parlar, salvo che con seguito; onde altri che avevano deliberato immitargli,
mutato proposito, acconsentirono al decreto. Seguirono approvando concordamente
gl'altri decreti, secondo che letti erano; se non che Granata fece instanza che
fosse decchiarata la residenza de iure divino con parole aperte, poiché
- diceva egli - le parole ambigue del proemio erano indegne d'un concilio, il
qual sia congregato per levare, non per accrescer le difficoltà, e che fossero
proibiti li libri che ne parlavano in contrario, e che nel decreto fossero
espressamente e nominatamente compresi li cardinali. Quest'ultima instanza
toccante li cardinali si vedeva che a molti aggradiva; onde dal cardinal Morone
fu risposto che s'averebbe avuto considerazione sopra, per parlar un'altra
volta. Del rimanente si passò inanzi, et in fine il patriarca e li doi
arcivescovi assentirono essi ancora al decreto, e questo fu il principio che
fece aver speranza che si potesse celebrar la sessione al suo tempo, cosa
stimata per inanzi impossibile, ma per desterità del cardinal di Lorena ridotta
a buon porto.
Ne' giorni seguenti si diedero li voti
sopra gl'altri capi di riforma da' padri, da' quali non fu proposta altra
variazione di momento, se non che per grand'instanza di Pompeio Zambeccari,
vescovo di Sulmona, fu levata dal capo della prima tonsura una particola, dove
si diceva che, se li promossi commetteranno delitto fra sei mesi dopo
l'ordinazione, si presumino ordinati in fraude e non godino il privilegio del
foro; e dove si decreta che nissun sia ordinato senza esser ascritto a chiesa
particolare, era aggionta l'innovazione de' decreti del concilio lateranense,
che anco gl'ordinati a titolo di patrimonio dovessero esser applicati al
servizio di qualche chiesa, nel quale attualmente s'essercitassero, altrimenti
non potessero esser partecipi de' privilegii, la qual parimente fu levata e nel
rimanente, con leggier variazione di parole poco spettanti alla sostanza, fu
data sodisfazzione a tutti li padri.
I spagnuoli, che non avevano potuto
ottener in congregazione la decchiarazione desiderata dell'instituzione de'
vescovi, si congregarono la sera de' 13 in casa del conte di Luna, dove Granata
con gl'aderenti lo persuasero a far una protesta a' legati, quando si fosse
tralasciato di determinar quel capo; e disuadendo alcuni altri, come cosa che
potesse esser causa di gran moto, si consummò la congregazione tutta in dispute
e si finí in contenzione, con differir la risoluzione alla mattina seguente,
quando il conte, uditi di nuovo li diversi pareri e considerato che sarebbe
stato gran dispiacer al pontefice, a tutti li vescovi italiani et a tutti i
francesi ancora che s'erano accommodati, pregò Granata e gl'aderenti di voler
esser dell'opinione degl'altri, poiché qui non si metteva di conscienza, mentre
non si trattava di definire piú in un modo che in un altro, ma solo di definir
o tralasciare; né volendo Granata accommodarsi, ma dicendo che per conscienza
sentiva esser necessaria la determinazione, lo ricercò che dicesse la sua
opinione quietamente e liberamente, contentandosi, però, se dagl'altri non era
abbracciata et astenendosi dalle contenzioni, e cosí promise egli e gl'altri
ancora di fare.
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