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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro ottavo
    • [I legati precipitano le materie in concilio]
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[I legati precipitano le materie in concilio]

Ma li legati, desiderosi di venir presto al fine del concilio, non cosí tosto finita la sessione, proposero di facilitar il rimanente, che, quanto alla materia delle fede, era: le indulgenzie, l'invocazione de' santi et il purgatorio. Et a questo effetto elessero 10 teologi, doi generali de frati, e doi per ciascun prencipe, cioè del papa, di Francia, che poco piú rimanevano, Spagna e Portogallo; dandogli carico di considerare in che modo si potesse brevemente confutare l'opinione de' protestanti in tal materia; e che, risoluti essi, si proponessero in congregazione generale li pareri loro, sopra quali si formassero li canoni nel medesimo tempo che si tratterebbe del matrimonio, per venir presto a capo delle materie, senza udir le dispute de' teologi, come s'era fatto per il tempo inanzi.

In materia della riforma trattarono col cardinale di Lorena, con gl'ambasciatori imperiali e di Spagna, se si contentavano che si proponesse anco della riforma de' prencipi; da' quali avuto parola che era cosa giusta levar gl'abusi dovunque fossero, fecero metter insieme tutti li capi, con pensiero di decider tutto quello che restava in una sola sessione. Ma all'ambasciatore spagnuolo, per li rispetti del suo re, quell'accelerazione non piaceva e comminciò ad attraversarvi molte difficoltà. Primieramente propose che era necessario, inanzi il fine del concilio, far opera che li protestanti vi intervenissero, allegando che vana sarebbe la fatica fatta, quando che li decreti non fossero da loro accettati, né essendoci speranza che, senza intervenir in concilio, gl'accettassero. A che avendo risposto li legati che il pontefice aveva dal canto suo in ciò fatto tutto quello che se gli conveniva, avendo scritto lettere e mandato anco noncii espressi a tutti, che niente di piú si poteva fare per render chiara la loro contumacia, replicò il conte di non ricchieder che ciò si facesse a nome di Sua Santità, essendo chiara cosa che averebbe servito non a fargli venir, anzi ad allontanargli maggiormente; ma che fossero ricercati a nome del concilio, con quelle promesse che fossero state convenienti, adoperando l'intercessione dell'imperatore. A che avendo per conclusione detto li legati d'averci sopra considerazione, ne diedero conto al pontefice, acciò potesse operare in Spagna, cosí per divertire simili raggionamenti, come per persuader il fine del concilio. Ricercò anco il conte che li teologi parlassero publicamente, secondo il solito, sopra li particolari delle indulgenze et altre materie, e fece ufficio co' prelati che non si mutasse modo di proceder e non si levasse la riputazione al concilio con tralasciar d'essaminar quelle cose che piú delle altre ne avevano bisogno.

Delle qual cose tutte il pontefice avisato, si perturbò assai, avendo avuto parola da don Luigi d'Avila e dal Vargas, ambasciator del re appresso sé, che quella Maestà si contentava che si venisse a fine del concilio. E fattigli chiamar a sé, fece gravissima indoglienza per la proposizione del conte. E prima, per conto d'invitar li protestanti, disse che nissun piú desiderava di ridurgli alla Chiesa che lui; esserne indicio quello che da' precessori suoi era stato per quaranta anni operato, e da lui, con mandar noncii espressamente a tutti loro, non risguardando le indegnità a che sottoponeva sé e la Sede apostolica; che aveva operato per l'interposizione dell'imperatore e gl'officii di tutti li prencipi catolici; esser certificato che l'indurazione loro è volontaria, deliberata et ostinata, e però doversi pensar non piú come ridurgli, essendo impossibile, ma come conservar gl'obedienti. Mentre che vi fu scintilla di speranza di racquistar li perduti, ricercava il tempo che si facesse ogni opera per raddolcirgli; estinta tutta la speranza, era necessario, per conservar li buoni, fermar bene la divisione e render le parti irreconciliabili l'una a l'altra. Che cosí comportavano li rispetti del loro re che si trattasse; il qual si sarebbe tardi accorto che cosí è necessario fare, quando avesse temporeggiato nella Fiandra et avesse usato termini di mediocrità. Risguardasse il re che buoni effetti erano nati dalle severe essecuzioni fatte nel suo ingresso in Spagna, dove, se avesse lentamente proceduto e pensato ad acquistar la grazia de' protestanti, per acquistar la loro benevolenza col dolce proceder, sentirebbe di quei accidenti che si vedono in Francia. Passò a dolersi che il conte anco volesse prescrivere il modo d'essaminare le materie di teologia e determinar esso quando fossero ben diggeste. In fine si querelò che da loro gli fosse stato promesso che il re si contentava che il concilio si finisse, e pur gl'ufficii del conte tendevano al contrario. Et avendo gl'ambasciatori scusato il conte e soggiontogli esser verissimo quanto detto gli avevano della volontà del re circa il fine del concilio, mostrò restar sodisfatto, quando essi si contentassero che lo dicesse dove giudicasse di bisogno. Al che consentendo essi, il papa ordinò al noncio suo in Spagna di far indoglienza col re e dirgli che non sapeva penetrar la causa perché gl'ambasciatori di Sua Maestà in Roma et a Trento parlassero diversamente; e quello che piú importa, facendo egli tutto 'l possibile per compiacergli, dall'altro canto fosse contra operato; perché, essendo il concilio in piedi, egli veniva impedito di far molti favori e grazie alla Sua Maestà; che se per le cose sue di Fiandra overo per gl'interressi dell'imperatore in Germania, desiderava dal concilio alcuna cosa, poteva ben dall'esperienza esser certo quanta difficoltà vi fosse di ridur alcuna cosa a fine in Trento; che da lui si potevano prometter ogni cosa e che già ha deliberato, finito che sia il concilio, di mandar in tutte le provincie per proveder a' bisogni particolari di ciascuna, dove che in Trento non si possono far se non provisioni generali, che hanno infinite difficoltà per accommodarsi a ciascun luogo.

 

 




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