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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro ottavo
    • [I legati propongono agli ambasciatori articoli di riforma]
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[I legati propongono agli ambasciatori articoli di riforma]

Diedero li legati fuori agl'ambasciatori li capi di riforma, i quali erano in numero 38 (che furono poi divisi, una parte nella sessione immediate seguente et il rimanente nell'altra, per le raggioni che si diranno), acciò mettessero in considerazione quello che pareva loro, prima che fossero dati a' padri per parlarne sopra. Il conte di Luna andò pratticando gli altri ambasciatori a dimandar che fossero eletti deputati per ciascuna nazione, li quali considerassero sopra che s'avesse a riformare: imperoché la modula data da' legati, come fatta secondo gl'interessi romani, non si poteva accommodar agl'altri paesi; in che il cardinale di Lorena, gl'ambasciatori francesi e quel di Portogallo contradissero, allegando che poteva ciascuno dir il parer suo sopra li capi proposti e proporne altri, occorrendo, onde non faceva bisogno dar questo disgusto al pontefice et a' legati, che non potevano sentir a parlar di nazioni in concilio; al qual parer accostandosi anco gl'imperiali, il conte si ritirò, dicendo però che sopra le proposte aveva da far diverse considerazioni.

Il cardinale di Lorena consegliò li legati a facilitar quel negozio e levar via tutti quei capi che si vedesse non poter passar senza molta contrarietà, aggiongendo che quanto meno cose fossero trattate, tanto meglio era; del che mostrando di restar con ammirazione il cardinale varmiense, il Lorena, accortosi di quello che era, lo interpellò se si maravigliava perché non vedeva in lui quel calore e desiderio di riforma che aveva mostrato altre volte, e soggionse nondimeno il desiderio esser il medesimo e l'istessa disposizione dell'animo ad adoperarsi con ogni vigore; ma l'esperienza avergli insegnato che non solo non si può far in concilio cosa né perfetta, né mediocre, ma che anco ogni tentativo in quella materia sia per tornar in male. S'adoperò anco il cardinale col conte di Luna, acciò non cercasse di differir la riforma totalmente, ma essendovi cosa di non intiera sua sodisfazzione, si lasciasse intender del particolare, che egli s'averebbe adoperato per far che fosse compiaciuto.

Gl'ambasciatori imperiali primi di tutti, il 31 di luglio, diedero in scritto la risposta loro, nella quale primieramente dissero che, desiderando universal riforma nel capo e ne' membri et avendo letto gl'articoli essibiti, avevano alcune cose aggionte et alcune notate, e facevano instanza che secondo quelle fossero corretti e proposti alla discussione de' padri. E perché Cesare con gl'ambasciatori di molti prencipi di Germania teneva dieta in Vienna per trattar anco molte cose spettanti al concilio, fossero contenti di ricever in bene, se, avuto nuovo mandato da Sua Maestà, all'avvenire gli presentassero ancora altre considerazioni; che per allora agl'articoli da loro proposti ne aggiongevano 8: che sia fatta riforma del conclavi in concilio, seria e durabile; sia proibita l'alienazione de' beni ecclesiastici senza libero e fermo consenso del capitolo, e questo principalmente nella Chiesa romana; che siano levate le commende e coadiutorie con futura successione; che siano riformate le scole et università; che sia ordinato a' concilii provinciali di emmendar li statuti di tutti li capitoli, e parimente gli sia data autorità di riformar li messali, breviarii, agende e graduali, desiderando riforma non tanto de' romani, ma di quelli di tutte le chiese; che li laici non siano citati a Roma in prima instanza; che le cause non siano avvocate dal foro secolare all'ecclesiastico sotto pretesto di denegata giustizia, senza informarsi prima della verità della supplica; che nelle cause profane non siano dati conservatori.

E sopra li capitoli da' legati essibiti, notarono molte cose, parte delle quali, essendo di poco momento, è ben tralasciare. Le importanti furono: che li cardinali fossero scielti di tutte le regioni, acciò il pontefice universale venga creato da elettori di tutte le nazioni; che le provisioni sopra le pensioni, riservazioni e rigressi, abbraccino non solo le future, ma s'estendino anco alle passate; che il bascio dell'Evangelio nella messa non sia levato all'imperatore e re, che debbono defenderlo; che sia dicchiarato quali siano li negozii secolari proibiti agl'ecclesiastici, per non contradire a quello che già è deliberato nel decreto della residenza; che al capo di non aggravar gl'ecclesiastici, si eccettui la causa del sussidio contra li turchi et altri infedeli. Non fu tanto molesta a' legati questa proposizione, quantonque contenesse cose di dura diggestione, quanto il dubio posto a capo che dalla dieta di Vienna gli dovesse esser fatta qualche straordinaria dimanda intorno la mutazione de' riti ricevuti dalla Chiesa romana e relassazione de' precetti de iure positivo.

Il 3 agosto diedero li francesi le loro osservazioni, delle quali le essenziali furono: che il numero de' cardinali non ecceda 24 e non siano creati nuovi sinché il presente numero non è ridotto a quella paucità; siano assonti di tutti li regni e provincie; non possino esser doi d'una medesima diocesi, né piú d'otto d'una nazione; non siano minori di 30 anni; non possi esser assonto fratello o nipote del pontefice o d'alcun cardinale vivente; non possino aver vescovati, acciò assistino sempre al pontefice et essendo la degnità di tutti uguale, abbiano anco un'ugual'entrata. Quanto alla pluralità de' beneficii, nissun possi averne piú d'uno, levata la differenza, incognita a' buoni secoli, de semplici e curati, compatibili et incompatibili; e chi al presente ne tiene molti, ne elegga un solo fra breve tempo. Che sia levata afatto la resignazione in favore. Che non si debbi proibir il conferir beneficii a soli quelli che hanno la lingua, perché le leggi di Francia, senza alcun'eccezzione, proibiscono ad ogni sorte d'esteri aver ufficii, né beneficii nel regno. Le cause criminali de' vescovi non possino esser in alcun modo giudicate fuori del regno, essendo antichissimo privilegio della Francia che nissun, né volontario, né sforzato può esser giudicato fuori del regno. Che a' vescovi sia restituita la facoltà d'assolver da tutti i casi senza alcun eccezzione. Che per levar le liti beneficiali siano levate le prevenzioni, resignazioni in favore, mandati, espettative et altri modi illegitimi d'ottener beneficii. La proibizione che li chierici non s'intromettino in negozii secolari sia esplicata, che debbino astenersi sempre da tutte le fonzioni che non sono sacre overo ecclesiastiche e proprie al loro ordine. Quanto alle pensioni, siano levate et abrogate le già imposte. Che nelle cause de iuspatronati in Francia non si parti dall'antico instituto di giudicar in possessorio per quello che è in ultima possessione, e nel petitorio, per quello che ha legitimo titolo o possessione longa. Intorno a tutte le cause ecclesiastiche non sia pregiudicato alle leggi di Francia, che il possessorio sia giudicato da' giudici regii et il petitorio dagl'ecclesiastici, ma non fuori del regno. Quanto a' canonici delle catedrali, che niuno sia assonto inanzi 35 anni. Che quanto al capo continente la riforma de' prencipi, prima sia riformato in questa sessione intieramente l'ordine ecclesiastico, e quello che appartiene alla degnità et autorità de' re e prencipi sia rimesso ad un'altra sessione sussequente, e che allora, circa ciò, nissuna cosa sia decretata senza aver prima udito essi ambasciatori, che già hanno dato conto al re di quelle e di altre cose che avevano da proponer. Ma con tutto che mettessero a campo cose cosí ardue, dicevano nondimeno indifferentemente a tutti et affettatamente, acciò si publicasse, che essi non averebbono fatto molta instanza, eccetto a quello che tocca le raggioni e materia secolare del loro regno. Gl'ambasciatori veneti proposero che il capo de' iuspatronati fosse accommodato in maniera che non dasse occasione di nuovità intorno a quelli che sono di raggione della loro republica e prencipe. Gl'ambasciatori ancora di Savoia e di Toscana fecero le medesime instanze.

In questi giorni gl'ambasciatori imperiali ebbero commissione dal suo prencipe di far ufficio, come fecero, co' legati che nella remissione dell'Indice de' libri non si facesse menzione de' recessi delle diete di Germania, che furono già proibiti da Paolo IV, e l'ordine dell'imperatore era con qualche acrimonia, ché in luogo di trattar cose ecclesiastiche, si volesse dar forma alla polizia di Germania e prestar occasione a quei popoli, che con tali leggi si governano, d'alienarsi contra il loro voler dalla Chiesa romana. All'ufficio fatto dagl'ambasciatori fu risposto che esso vescovo di Praga, uno di loro, che era capo della congregazione, poteva saper se se n'era parlato, il che, se non era, la Maestà dell'imperatore poteva riposare sopra l'ambasciatore suo, il qual anco in tutte le cose concernenti li rispetti di Sua Maestà sarebbe favorito e da loro e dal pontefice.

Il 7 l'ambasciatore spagnuolo presentò la sua scrittura, nella quale diceva restar sodisfattissimo di tutti li capi e non esser per dimandar cosa alcuna, ma solo raccordar la mutazione di qualche parole, o acciò che siano meglio decchiarate, o perché gli paiono superflue e non necessarie. E toccò quasi tutte le cose che accrescevano l'autorità a' vescovi, moderando le parole in maniera che pareva la mutazione non esser sustanziale, ma che in fatti piú tosto la restringesse che aummentasse; fece anco instanza che si trattasse del conclavi, dicendo che il re Catolico lo desiderava assai. Ricercò ancora che fosse differita ad una altra sessione quella parte che tocca li prencipi secolari; e dopo essibita la scrittura, ricercò che, finito che fosse da dir i voti sopra i capi proposti da' legati, volessero deputar per nazione padri che raccogliessero quello che paresse loro necessario per la riforma delle loro regioni, acciò potesse esser terminato con universal sodisfazzione. Rispose Morone per nome di tutti che non potevano consentir di proceder in altra maniera che come sin allora nelle altre materie s'era fatto; sopra di che, essendo dall'una e l'altra parte molte cose dette, dal conte, accennando che il concilio fosse in servitú, e dal cardinal in dimostrar la libertà, soggionse Morone che nissun poteva dolersi di loro che gli fosse stata impedita la libertà del dire; e l'altro replicò che non poteva credere esser stata da loro fatta nissuna cosa indegna, ma né meno poteva lasciar star di dirgli che nel concilio era mormorato assai delle congregazioni particolari fatte li giorni inanzi e s'era presupposto che fossero fatte per cattar li voti; dal che difendendosi essi con dire esser loro officio nelle diversità d'openioni intender la verità et accommodar le differenze, acciò le materie trattate si statuiscano con unione, soggionse il conte che molto bene, ma esser stati chiamati tutti italiani, fuorché doi o tre spagnuoli et altretanti francesi, che non sentivano con gl'altri delle loro nazioni. Si difesero li legati che erano chiamati a proporzione, perché erano in concilio 150 italiani e tra tutte le altre nazioni non piú che 60; di che mostrò restar sodisfatto il conte e, partito, disse a' suoi prelati che i legati, avendo principiato raggionamento per mostrar che non si doveva tener conto di nazione, l'avevano concluso mostrando d'averne tenuto sempre conto.

Il seguente fu consulta tra li legati et i 2 cardinali per considerar gl'avvertimenti degl'ambasciatori e per acconciare li capi di riforma in quel modo che s'avevano da dar a padri et il modo che si doveva tener nel parlarvi sopra. Nel che il cardinal di Lorena, avendo avuto nuove lettere di Francia con ordine che egli e li prelati francesi favorissero le cose del papa, tutto intento a sodisfar li legati, fu autore che si risolvesse di non lasciar votar sopra tanti capi in un tratto, ma riportargli in piú volte secondo le materie e finita una parte, dir sopra l'altra, et accelerar la sessione, lasciando da parte le cose che si trovassero aver qualche difficoltà, e concludendo quelle sole in che tutti o gran parte convenissero, et in particolare lasciar di proponer nel principio quelle dove gl'ambasciatori non convenivano.

 

 




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