[I legati propongono agli ambasciatori
articoli di riforma]
Diedero li legati fuori agl'ambasciatori
li capi di riforma, i quali erano in numero 38 (che furono poi divisi, una
parte nella sessione immediate seguente et il rimanente nell'altra, per le
raggioni che si diranno), acciò mettessero in considerazione quello che pareva
loro, prima che fossero dati a' padri per parlarne sopra. Il conte di Luna andò
pratticando gli altri ambasciatori a dimandar che fossero eletti deputati per
ciascuna nazione, li quali considerassero sopra che s'avesse a riformare:
imperoché la modula data da' legati, come fatta secondo gl'interessi romani,
non si poteva accommodar agl'altri paesi; in che il cardinale di Lorena,
gl'ambasciatori francesi e quel di Portogallo contradissero, allegando che
poteva ciascuno dir il parer suo sopra li capi proposti e proporne altri,
occorrendo, onde non faceva bisogno dar questo disgusto al pontefice et a'
legati, che non potevano sentir a parlar di nazioni in concilio; al qual parer
accostandosi anco gl'imperiali, il conte si ritirò, dicendo però che sopra le
proposte aveva da far diverse considerazioni.
Il cardinale di Lorena consegliò li legati
a facilitar quel negozio e levar via tutti quei capi che si vedesse non poter
passar senza molta contrarietà, aggiongendo che quanto meno cose fossero
trattate, tanto meglio era; del che mostrando di restar con ammirazione il
cardinale varmiense, il Lorena, accortosi di quello che era, lo interpellò se
si maravigliava perché non vedeva in lui quel calore e desiderio di riforma che
aveva mostrato altre volte, e soggionse nondimeno il desiderio esser il
medesimo e l'istessa disposizione dell'animo ad adoperarsi con ogni vigore; ma
l'esperienza avergli insegnato che non solo non si può far in concilio cosa né
perfetta, né mediocre, ma che anco ogni tentativo in quella materia sia per
tornar in male. S'adoperò anco il cardinale col conte di Luna, acciò non
cercasse di differir la riforma totalmente, ma essendovi cosa di non intiera
sua sodisfazzione, si lasciasse intender del particolare, che egli s'averebbe
adoperato per far che fosse compiaciuto.
Gl'ambasciatori imperiali primi di tutti,
il 31 di luglio, diedero in scritto la risposta loro, nella quale primieramente
dissero che, desiderando universal riforma nel capo e ne' membri et avendo
letto gl'articoli essibiti, avevano alcune cose aggionte et alcune notate, e
facevano instanza che secondo quelle fossero corretti e proposti alla
discussione de' padri. E perché Cesare con gl'ambasciatori di molti prencipi di
Germania teneva dieta in Vienna per trattar anco molte cose spettanti al
concilio, fossero contenti di ricever in bene, se, avuto nuovo mandato da Sua
Maestà, all'avvenire gli presentassero ancora altre considerazioni; che per
allora agl'articoli da loro proposti ne aggiongevano 8: che sia fatta riforma
del conclavi in concilio, seria e durabile; sia proibita l'alienazione de' beni
ecclesiastici senza libero e fermo consenso del capitolo, e questo
principalmente nella Chiesa romana; che siano levate le commende e coadiutorie
con futura successione; che siano riformate le scole et università; che sia
ordinato a' concilii provinciali di emmendar li statuti di tutti li capitoli, e
parimente gli sia data autorità di riformar li messali, breviarii, agende e
graduali, desiderando riforma non tanto de' romani, ma di quelli di tutte le
chiese; che li laici non siano citati a Roma in prima instanza; che le cause
non siano avvocate dal foro secolare all'ecclesiastico sotto pretesto di
denegata giustizia, senza informarsi prima della verità della supplica; che
nelle cause profane non siano dati conservatori.
E sopra li capitoli da' legati essibiti,
notarono molte cose, parte delle quali, essendo di poco momento, è ben
tralasciare. Le importanti furono: che li cardinali fossero scielti di tutte le
regioni, acciò il pontefice universale venga creato da elettori di tutte le
nazioni; che le provisioni sopra le pensioni, riservazioni e rigressi,
abbraccino non solo le future, ma s'estendino anco alle passate; che il bascio
dell'Evangelio nella messa non sia levato all'imperatore e re, che debbono
defenderlo; che sia dicchiarato quali siano li negozii secolari proibiti
agl'ecclesiastici, per non contradire a quello che già è deliberato nel decreto
della residenza; che al capo di non aggravar gl'ecclesiastici, si eccettui la
causa del sussidio contra li turchi et altri infedeli. Non fu tanto molesta a'
legati questa proposizione, quantonque contenesse cose di dura diggestione,
quanto il dubio posto a capo che dalla dieta di Vienna gli dovesse esser fatta
qualche straordinaria dimanda intorno la mutazione de' riti ricevuti dalla
Chiesa romana e relassazione de' precetti de iure positivo.
Il 3 agosto diedero li francesi le loro
osservazioni, delle quali le essenziali furono: che il numero de' cardinali non
ecceda 24 e non siano creati nuovi sinché il presente numero non è ridotto a
quella paucità; siano assonti di tutti li regni e provincie; non possino esser
doi d'una medesima diocesi, né piú d'otto d'una nazione; non siano minori di 30
anni; non possi esser assonto fratello o nipote del pontefice o d'alcun
cardinale vivente; non possino aver vescovati, acciò assistino sempre al
pontefice et essendo la degnità di tutti uguale, abbiano anco un'ugual'entrata.
Quanto alla pluralità de' beneficii, nissun possi averne piú d'uno, levata la
differenza, incognita a' buoni secoli, de semplici e curati, compatibili et
incompatibili; e chi al presente ne tiene molti, ne elegga un solo fra breve
tempo. Che sia levata afatto la resignazione in favore. Che non si debbi
proibir il conferir beneficii a soli quelli che hanno la lingua, perché le
leggi di Francia, senza alcun'eccezzione, proibiscono ad ogni sorte d'esteri
aver ufficii, né beneficii nel regno. Le cause criminali de' vescovi non
possino esser in alcun modo giudicate fuori del regno, essendo antichissimo
privilegio della Francia che nissun, né volontario, né sforzato può esser giudicato
fuori del regno. Che a' vescovi sia restituita la facoltà d'assolver da tutti i
casi senza alcun eccezzione. Che per levar le liti beneficiali siano levate le
prevenzioni, resignazioni in favore, mandati, espettative et altri modi
illegitimi d'ottener beneficii. La proibizione che li chierici non
s'intromettino in negozii secolari sia esplicata, sí che debbino astenersi
sempre da tutte le fonzioni che non sono sacre overo ecclesiastiche e proprie
al loro ordine. Quanto alle pensioni, siano levate et abrogate le già imposte.
Che nelle cause de iuspatronati in Francia non si parti dall'antico instituto
di giudicar in possessorio per quello che è in ultima possessione, e nel
petitorio, per quello che ha legitimo titolo o possessione longa. Intorno a tutte
le cause ecclesiastiche non sia pregiudicato alle leggi di Francia, che il
possessorio sia giudicato da' giudici regii et il petitorio dagl'ecclesiastici,
ma non fuori del regno. Quanto a' canonici delle catedrali, che niuno sia
assonto inanzi 35 anni. Che quanto al capo continente la riforma de' prencipi,
prima sia riformato in questa sessione intieramente l'ordine ecclesiastico, e
quello che appartiene alla degnità et autorità de' re e prencipi sia rimesso ad
un'altra sessione sussequente, e che allora, circa ciò, nissuna cosa sia
decretata senza aver prima udito essi ambasciatori, che già hanno dato conto al
re di quelle e di altre cose che avevano da proponer. Ma con tutto che
mettessero a campo cose cosí ardue, dicevano nondimeno indifferentemente a
tutti et affettatamente, acciò si publicasse, che essi non averebbono fatto
molta instanza, eccetto a quello che tocca le raggioni e materia secolare del
loro regno. Gl'ambasciatori veneti proposero che il capo de' iuspatronati
fosse accommodato in maniera che non dasse occasione di nuovità intorno a
quelli che sono di raggione della loro republica e prencipe. Gl'ambasciatori
ancora di Savoia e di Toscana fecero le medesime instanze.
In questi giorni gl'ambasciatori imperiali
ebbero commissione dal suo prencipe di far ufficio, come fecero, co' legati che
nella remissione dell'Indice de' libri non si facesse menzione de' recessi
delle diete di Germania, che furono già proibiti da Paolo IV, e l'ordine
dell'imperatore era con qualche acrimonia, ché in luogo di trattar cose
ecclesiastiche, si volesse dar forma alla polizia di Germania e prestar
occasione a quei popoli, che con tali leggi si governano, d'alienarsi contra il
loro voler dalla Chiesa romana. All'ufficio fatto dagl'ambasciatori fu risposto
che esso vescovo di Praga, uno di loro, che era capo della congregazione,
poteva saper se se n'era parlato, il che, se non era, la Maestà dell'imperatore
poteva riposare sopra l'ambasciatore suo, il qual anco in tutte le cose
concernenti li rispetti di Sua Maestà sarebbe favorito e da loro e dal
pontefice.
Il dí 7 l'ambasciatore spagnuolo presentò
la sua scrittura, nella quale diceva restar sodisfattissimo di tutti li capi e
non esser per dimandar cosa alcuna, ma solo raccordar la mutazione di qualche
parole, o acciò che siano meglio decchiarate, o perché gli paiono superflue e
non necessarie. E toccò quasi tutte le cose che accrescevano l'autorità a'
vescovi, moderando le parole in maniera che pareva la mutazione non esser
sustanziale, ma che in fatti piú tosto la restringesse che aummentasse; fece
anco instanza che si trattasse del conclavi, dicendo che il re Catolico lo
desiderava assai. Ricercò ancora che fosse differita ad una altra sessione
quella parte che tocca li prencipi secolari; e dopo essibita la scrittura,
ricercò che, finito che fosse da dir i voti sopra i capi proposti da' legati,
volessero deputar per nazione padri che raccogliessero quello che paresse loro
necessario per la riforma delle loro regioni, acciò potesse esser terminato con
universal sodisfazzione. Rispose Morone per nome di tutti che non potevano
consentir di proceder in altra maniera che come sin allora nelle altre materie
s'era fatto; sopra di che, essendo dall'una e l'altra parte molte cose dette,
dal conte, accennando che il concilio fosse in servitú, e dal cardinal in
dimostrar la libertà, soggionse Morone che nissun poteva dolersi di loro che
gli fosse stata impedita la libertà del dire; e l'altro replicò che non poteva
credere esser stata da loro fatta nissuna cosa indegna, ma né meno poteva
lasciar star di dirgli che nel concilio era mormorato assai delle congregazioni
particolari fatte li giorni inanzi e s'era presupposto che fossero fatte per
cattar li voti; dal che difendendosi essi con dire esser loro officio nelle
diversità d'openioni intender la verità et accommodar le differenze, acciò le
materie trattate si statuiscano con unione, soggionse il conte che molto bene,
ma esser stati chiamati tutti italiani, fuorché doi o tre spagnuoli et
altretanti francesi, che non sentivano con gl'altri delle loro nazioni. Si
difesero li legati che erano chiamati a proporzione, perché erano in concilio
150 italiani e tra tutte le altre nazioni non piú che 60; di che mostrò restar
sodisfatto il conte e, partito, disse a' suoi prelati che i legati, avendo
principiato raggionamento per mostrar che non si doveva tener conto di nazione,
l'avevano concluso mostrando d'averne tenuto sempre conto.
Il dí seguente fu consulta tra li legati
et i 2 cardinali per considerar gl'avvertimenti degl'ambasciatori e per
acconciare li capi di riforma in quel modo che s'avevano da dar a padri et il
modo che si doveva tener nel parlarvi sopra. Nel che il cardinal di Lorena,
avendo avuto nuove lettere di Francia con ordine che egli e li prelati francesi
favorissero le cose del papa, tutto intento a sodisfar li legati, fu autore che
si risolvesse di non lasciar votar sopra tanti capi in un tratto, ma
riportargli in piú volte secondo le materie e finita una parte, dir sopra
l'altra, et accelerar la sessione, lasciando da parte le cose che si trovassero
aver qualche difficoltà, e concludendo quelle sole in che tutti o gran parte
convenissero, et in particolare lasciar di proponer nel principio quelle dove
gl'ambasciatori non convenivano.
|