[Romore di peste in Trento. Moto in
Trento per l'introduzzione dell'Inquisizione spagnuola in Milano]
Occorse un poco di timore tra li padri per
una voce levata che in Ispruc vi fosse la peste, e già molti si preparavano per
la partenza, se il cardinal Morone, il qual tenendo d'aver le cose in buon
termine per finir il concilio, non avesse fatto venir certezza, la qual era che
in Sborri, luogo vicino a Ispruc 20 miglia, erano morti di mal contaggioso
molti di quei poveri uomini lavoranti alle minere per infezzione contratta ne'
luoghi sotterranei, essendo però da quei d'Ispruc fatte cosí sicure provisioni,
che non vi era pericolo che penetrasse là; anzi, che nella terra di Sborri il
male andava ralentandosi.
Occorse anco un moto grande ne' prelati
italiani e particolarmente del regno di Napoli e Stato di Milano, imperoché,
avendo sino il mese inanzi proposto il re Catolico al pontefice di metter nello
Stato di Milano l'Inquisizione ad usanza di Spagna e per capo un prelato
spagnuolo, allegando che era necessario per la vicinanza de' luoghi infetti
un'esquisita diligenza per servizio di Dio e mantenimento della religione, et
avuto notizia che il papa ne avesse fatto proposizione in concistoro, alla
quale, quantonque fosse stato contradetto da alcuni cardinali, il papa ne
mostrava inclinazione, persuaso dal cardinale di Carpi, il qual rappresentava l'opera
per utile a tener la città di Milano in devozione verso la Sede apostolica
(officio che egli fece per occolta speranza, fomentata dall'ambasciator
spagnuolo, che per quel servizio dovesse acquistar il favor del re di Spagna al
papato), le città di quello Stato mandarono al pontefice Sforza Morone et al re
Catolico Cesare Taverna e Princisvale Bisosto et al concilio Sforza Brivio.
Questo a pregar tutti li prelati e cardinali di quello Stato a compatir la
patria commune, la qual ridotta in miseria per le eccessive gravezze, si
dissolverebbe afatto con quella che superava tutte, preparandosi già molti
cittadini per abbandonar il paese, sapendo molto bene che quell'ufficio in
Spagna non sempre aveva proceduto per medicar la conscienza, ma ben spesso anco
per votar la borsa e per altri fini mondani; e se là, sotto gl'occhi del re,
quelli che sono preposti a tal officio, cosí rigidamente dominano li proprii
patriotti, quanto maggiormente lo farebbono in Milano, lontani da rimedio e
verso persone meno amate da loro. Espose il Brivio in Trento il travaglio e
pena che sentivano li cittadini generalmente per sí mala nuova, ricchiedendo li
prelati di favore; ma quell'esposizione maggior dispiacere causava in essi
prelati, che ne temevano piú che li secolari, e quei del Regno dubitavano che,
imponendosi il giogo allo Stato di Milano, non potessero ricusarlo essi, come
avevano fatto alcuni anni inanzi. Si congregarono insieme li prelati lombardi e
deliberarono scriver al pontefice et al cardinale Borromeo lettere da tutti
essi sottoscritte; a questo con dire che era pregiudicio suo, al qual toccava,
come arcivescovo, esser il principale in quell'officio, et al papa con
mostrargli che non vi erano né quelle cause, né quei rispetti che sono nelle
parti di Spagna, da porvi sí rigorosa Inquisizione, la quale, oltre la evidente
rovina che apporteria a quello Stato, saria di gran pregiudicio alla Santa
Sede, la qual non potria negare che non si mettesse ancora a Napoli e si
darebbe occasione agl'altri prencipi italiani a ricercar di far il medesimo
anco loro; et avendo quell'Inquisizione autorità sopra i prelati, la Santa Sede
averebbe da loro poca obedienza, perché sarebbono costretti a cercar di star
bene co' prencipi secolari, a' quali per quella via si troverebbono soggetti;
laonde il papa, in occasione di nuovo concilio, averia pochi prelati da fidarsi
et a chi potesse liberamente commandare; né doversi creder a quello che
spagnuoli potrebbono dire che l'Inquisizione di Milano sarebbe soggetta a
quella di Roma, vedendosi per essempio come operano nella causa
dell'arcivescovo di Toledo e che sempre hanno ricusato di mandar li processi
che da Roma gli sono stati ricchiesti; il che fanno anco gl'inquisitori del
regno di Sicilia, dependenti da Spagna. E non contenti li prelati di questo
ufficio e d'altri fatti da loro, ciascuno appresso li cardinali et altri di
Roma con quali potevano, proponevano che si aggiongesse ne' decreti del
concilio qualche parola in favor de' vescovi, che gl'essentasse o assicurasse,
[e] si decretasse il modo di fare li processi in quella materia; il che, se ben
non potesse riuscir nella prima sessione, si deliberasse per la susseguente. Et
il cardinal Morone diede speranza di dar loro sodisfazzione. E questo accidente
tenne cosí occupato il concilio per il numero degl'interressati che, se non
fosse pochi dí dopo arrivata nuova che il duca di Sessa, avendo sentito il
disgusto universale e dubitando per sentori andatigli alle orecchie che il
ducato di Milano non pigliasse essempio da' fiaminghi, che a punto erano
divenuti gueusii (cosí chiamano in quei paesi quelli della religione riformata)
per il tentativo fatto di mettergli l'Inquisizione, non avesse conosciuto
l'intempestività di trattar quel negozio e fatto fermar gl'ambasciatori
destinati al re, promettendo che egli averebbe fatto ufficio sí che lo Stato
averebbe avuto sodisfazzione, era per riuscir cosa di qualche gran momento.
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