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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro ottavo
    • [Romore di peste in Trento. Moto in Trento per l'introduzzione dell'Inquisizione spagnuola in Milano]
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[Romore di peste in Trento. Moto in Trento per l'introduzzione dell'Inquisizione spagnuola in Milano]

Occorse un poco di timore tra li padri per una voce levata che in Ispruc vi fosse la peste, e già molti si preparavano per la partenza, se il cardinal Morone, il qual tenendo d'aver le cose in buon termine per finir il concilio, non avesse fatto venir certezza, la qual era che in Sborri, luogo vicino a Ispruc 20 miglia, erano morti di mal contaggioso molti di quei poveri uomini lavoranti alle minere per infezzione contratta ne' luoghi sotterranei, essendo però da quei d'Ispruc fatte cosí sicure provisioni, che non vi era pericolo che penetrasse ; anzi, che nella terra di Sborri il male andava ralentandosi.

Occorse anco un moto grande ne' prelati italiani e particolarmente del regno di Napoli e Stato di Milano, imperoché, avendo sino il mese inanzi proposto il re Catolico al pontefice di metter nello Stato di Milano l'Inquisizione ad usanza di Spagna e per capo un prelato spagnuolo, allegando che era necessario per la vicinanza de' luoghi infetti un'esquisita diligenza per servizio di Dio e mantenimento della religione, et avuto notizia che il papa ne avesse fatto proposizione in concistoro, alla quale, quantonque fosse stato contradetto da alcuni cardinali, il papa ne mostrava inclinazione, persuaso dal cardinale di Carpi, il qual rappresentava l'opera per utile a tener la città di Milano in devozione verso la Sede apostolica (officio che egli fece per occolta speranza, fomentata dall'ambasciator spagnuolo, che per quel servizio dovesse acquistar il favor del re di Spagna al papato), le città di quello Stato mandarono al pontefice Sforza Morone et al re Catolico Cesare Taverna e Princisvale Bisosto et al concilio Sforza Brivio. Questo a pregar tutti li prelati e cardinali di quello Stato a compatir la patria commune, la qual ridotta in miseria per le eccessive gravezze, si dissolverebbe afatto con quella che superava tutte, preparandosi già molti cittadini per abbandonar il paese, sapendo molto bene che quell'ufficio in Spagna non sempre aveva proceduto per medicar la conscienza, ma ben spesso anco per votar la borsa e per altri fini mondani; e se , sotto gl'occhi del re, quelli che sono preposti a tal officio, cosí rigidamente dominano li proprii patriotti, quanto maggiormente lo farebbono in Milano, lontani da rimedio e verso persone meno amate da loro. Espose il Brivio in Trento il travaglio e pena che sentivano li cittadini generalmente per mala nuova, ricchiedendo li prelati di favore; ma quell'esposizione maggior dispiacere causava in essi prelati, che ne temevano piú che li secolari, e quei del Regno dubitavano che, imponendosi il giogo allo Stato di Milano, non potessero ricusarlo essi, come avevano fatto alcuni anni inanzi. Si congregarono insieme li prelati lombardi e deliberarono scriver al pontefice et al cardinale Borromeo lettere da tutti essi sottoscritte; a questo con dire che era pregiudicio suo, al qual toccava, come arcivescovo, esser il principale in quell'officio, et al papa con mostrargli che non vi erano né quelle cause, né quei rispetti che sono nelle parti di Spagna, da porvi rigorosa Inquisizione, la quale, oltre la evidente rovina che apporteria a quello Stato, saria di gran pregiudicio alla Santa Sede, la qual non potria negare che non si mettesse ancora a Napoli e si darebbe occasione agl'altri prencipi italiani a ricercar di far il medesimo anco loro; et avendo quell'Inquisizione autorità sopra i prelati, la Santa Sede averebbe da loro poca obedienza, perché sarebbono costretti a cercar di star bene co' prencipi secolari, a' quali per quella via si troverebbono soggetti; laonde il papa, in occasione di nuovo concilio, averia pochi prelati da fidarsi et a chi potesse liberamente commandare; né doversi creder a quello che spagnuoli potrebbono dire che l'Inquisizione di Milano sarebbe soggetta a quella di Roma, vedendosi per essempio come operano nella causa dell'arcivescovo di Toledo e che sempre hanno ricusato di mandar li processi che da Roma gli sono stati ricchiesti; il che fanno anco gl'inquisitori del regno di Sicilia, dependenti da Spagna. E non contenti li prelati di questo ufficio e d'altri fatti da loro, ciascuno appresso li cardinali et altri di Roma con quali potevano, proponevano che si aggiongesse ne' decreti del concilio qualche parola in favor de' vescovi, che gl'essentasse o assicurasse, [e] si decretasse il modo di fare li processi in quella materia; il che, se ben non potesse riuscir nella prima sessione, si deliberasse per la susseguente. Et il cardinal Morone diede speranza di dar loro sodisfazzione. E questo accidente tenne cosí occupato il concilio per il numero degl'interressati che, se non fosse pochi dopo arrivata nuova che il duca di Sessa, avendo sentito il disgusto universale e dubitando per sentori andatigli alle orecchie che il ducato di Milano non pigliasse essempio da' fiaminghi, che a punto erano divenuti gueusii (cosí chiamano in quei paesi quelli della religione riformata) per il tentativo fatto di mettergli l'Inquisizione, non avesse conosciuto l'intempestività di trattar quel negozio e fatto fermar gl'ambasciatori destinati al re, promettendo che egli averebbe fatto ufficio che lo Stato averebbe avuto sodisfazzione, era per riuscir cosa di qualche gran momento.

 

 




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