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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro ottavo
    • [Gli articoli sono formati a sodisfazzione di tutti, e de' vescovi, i quali richiedevano tre punti]
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[Gli articoli sono formati a sodisfazzione di tutti, e de' vescovi, i quali richiedevano tre punti]

La mira de' vescovi era una sola, d'aver il governo piú libero; questo credevano dover ottenere, quando tre provisioni fossero fatte. L'una, che li parochi fossero da loro dependenti, il che sarebbe successo, quando a loro fosse data la collazione de' beneficii curati, e questo, oltre le altre difficoltà, metteva mano nelle riservazioni e regole della cancellaria, che era far una grand'apertura negl'arcani della corte romana; vedendosi chiaramente che sarebbe aperta la porta a levargli intieramente tutte le collazioni, che era torgli ogni potestà e l'istessa vita. Però si venne a temperamento di tener ferme le riservazioni, ma far patroni li vescovi di dar le cure a chi loro piacesse, col pretesto d'essamine: et a questo fine fu formato il diciottesimo capo con l'isquisito artificio che ognun vede, il qual con speciosa maniera fa il vescovo arbitro di dar il beneficio a chi gli piace e non leva niente de' guadagni alla corte. L'altro capo era delle essenzioni, nella qual materia molte sodisfazzioni avevano ricevuto li vescovi per il passato, e nondimeno fu anco aggionto l'undecimo capo per total complemento. Restavano le essenzioni degl'ordini regolari, et erano venuti li vescovi in speranza di poterle afatto levare o almeno moderar in tal maniera che gli restassero in gran parte soggetti.

Già sino nel principio dell'anno fu eretta una congregazione sopra la riforma de' regolari, la qual, con l'intervento de' generali e conseglio d'altre persone religiose esistenti in concilio, avevano fatto gran progresso e stabilito buoni decreti senza nissuna contradizzione, perché, quanto al di fuori et alle cose apparenti, li medesimi regolari non l'aborrivano, ma la desideravano. Quanto al di dentro e che occorre ne' monasterii, erano molto ben certi che l'averebbono interpretato e pratticato come a loro fusse piaciuto, anzi avevano per cosa utile d'aver in scritto riforma ristrettissima, come tutte le loro regole sono altro in scritto di quello che in osservazione. Ma quando s'incomminciò a parlar di moderare le essenzioni e sottoporgli almeno in parte a' vescovi, s'ammutinarono tutt'insieme li generali co' teologi degl'ordini e fecero capo con gl'ambasciatori de' prencipi, mostrando loro di quanto servizio fossero a' popoli, alle città et al publico governo, offerendosi, se in loro vi era abuso di qual si voglia sorte, che si rimediasse; che si contentavano d'ogni riforma e che, ritornati a' loro governi, erano per esseguirla piú severa di quello che fosse ordinato, ma che sottopor li monasterii agl'ordinarii era un disformargli, perché quelli, non intelligenti della vita regolare e della severità della disciplina con che si mantiene, averebbono disordinato ogni cosa. Dicevano li vescovi che il privilegio è sempre con detrimento e disordinazione della legge, che la rivocazione è una cosa favorabile, ritornando li negozii nella loro natura; che il levargli non era far novità, ma restituir lo stato antico delle cose. Si rispondeva dall'altro canto che la essenzione de' regolari per la sua antichità era cosí ben prescritta, che non poteva chiamarsi piú privilegio, ma legge commune. Che quando li monasterii erano soggetti a' vescovi, la disciplina ecclesiastica in essi e ne' loro canonici era cosí regolata e severa che meritava di sopraintender a tutti. Che volendo restituir l'antichità, conveniva farlo in tutte le parti. Che quando li vescovi fossero ritornati come in quei tempi, si poteva sottoporgli li monasterii come allora, ma non era giusto che dimandassero d'aver sopraintendenza a' monasterii prima che si formassero tali, quali è necessario che sia il rettor d'una vita regolare. Erano favoriti li regolari dagl'ambasciatori e da' legati per interesse della corte, la qual averebbe perso un grand'instromento, quando non fossero stati dependenti da lei sola; e non gli mancava favore da qualche prelati, che confessavano le loro raggioni esser buone. Durò questo moto per qualche giorni, rimettendosi però pian piano, perché ogni giorno li vescovi che l'avevano eccitato vi scoprivano dentro maggior difficoltà.

Il terzo capo era per gl'impedimenti che ricevevano li vescovi da' magistrati secolari, quali, per conservazione dell'auttorità temporale, non lasciavano trascorrere li vescovi ad essercitar quell'assoluto imperio che averebbono voluto, non solo sopra il clero, ma ancora sopra il popolo: a questo effetto era fatto il capo della riforma de' prencipi, del quale s'è fatta menzione et al suo luogo si parlerà pienamente. Questa parte era stata, insieme con altre annesse a lei, differita per un'altra sessione, avendola per cosa difficile e che averebbe potuto molto prolongar; ma li vescovi interpretarono questa dilazione che fosse a fine di mandarla in niente. Si lamentavano che, trattandosi di riformar tutta la Chiesa, si riformasse solo il clero. I legati facevano ogni diligenza per quietargli, mostrando che non era differita questa sola, ma altri capi ancora che era pur necessario trattare, promettendo che la dilazione non era se non per far le cose con maggior maturità, ma che si sarebbono fatte certo; che era necessario facilitar l'espedizione di quella sessione, la qual sarebbe stata preparatoria all'altra, dove si sarebbe trattato senza meno il rimanente. Erano tutti intenti li legati per tener la sessione al tempo determinato, giudicando ciò necessario per ispedir il concilio presto, e perché il papa, per ogni corriero ordinario senza alcun fallo e ben spesso con qualche straordinario, faceva loro instanza per l'espedizione e che lo liberassero dal concilio.

Nella congregazione de' 7 settembre fu ricevuto fra Martino Roias, ambasciatore degl'ospitalarii di san Giovanni Gierosolimitano, detti cavaglieri di Malta, il che fu differito di fare sino a quel tempo per grand'opposizioni che fecero li vescovi principali, acciò non gli fosse dato luogo superiore, dicendo non esser giusto che una religione de frati dovesse preceder tutto 'l corpo di tanti prelati; ma finalmente s'accommodarono e fu nella congregazione publicato che se gli dava luogo tra gl'altri ambasciatori, senza pregiudicio de' prelati, che pretendono precedenza. Fece un'orazione l'ambasciatore, scusando il suo gran maestro d'aver tanto differito di mandar a Trento per li romori dell'armata de' turchi [e] per le incommodità che ricevevano per Dragut corsaro, essortò li padri a porger rimedio a' mali presenti, li quali non toccavano anco poco li frati della sua religione, che non erano membri oziosi della republica cristiana. Essortò all'estirpazione delle eresie, offerendo che il gran maestro e la società loro averebbono preso il patrocinio e difesa, spendendo non solo le facoltà, ma la vita et il sangue. Narrò l'origine della religione sua, principiata per 40 anni inanzi che Goffredo passasse all'acquisto della Terra santa, le opere eroiche fatte da' loro maggiori, alle quali non potevano corrisponder al presente per esser stati spogliati di gran parte delle loro terre e possessioni; che essi sono l'antemurale di Sicilia e dell'Italia contra li barbari; perilché pregava li padri di raccordarsi dell'antichità, nobiltà, meriti e pericoli di quella società et operare che gli fossero restituite le possessioni e commende usurpategli, e che dal concilio si decretasse che all'avvenire non fossero conferite ad altri che a quelli del loro ordine, confermando l'immunità e privilegii di quello. Gli fu risposto dal promotore per nome della sinodo, ricevendo l'escusazione e promettendo d'aver quella considerazione che meritava la dimanda sua intorno al conservare le commende e privilegii di quella religione. Ma quantonque, ne' giorni seguenti, appresso li legati facesse la medesima instanza piú volte et essi ne facessero relazione al pontefice, egli altro mai rispose se non ch'a lui toccava far la provisione e l'averebbe fatta al suo tempo.

 

 




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