[Gli articoli sono formati a
sodisfazzione di tutti, e de' vescovi, i quali richiedevano tre punti]
La mira de' vescovi era una sola, d'aver
il governo piú libero; questo credevano dover ottenere, quando tre provisioni
fossero fatte. L'una, che li parochi fossero da loro dependenti, il che sarebbe
successo, quando a loro fosse data la collazione de' beneficii curati, e
questo, oltre le altre difficoltà, metteva mano nelle riservazioni e regole
della cancellaria, che era far una grand'apertura negl'arcani della corte
romana; vedendosi chiaramente che sarebbe aperta la porta a levargli
intieramente tutte le collazioni, che era torgli ogni potestà e l'istessa vita.
Però si venne a temperamento di tener ferme le riservazioni, ma far patroni li
vescovi di dar le cure a chi loro piacesse, col pretesto d'essamine: et a
questo fine fu formato il diciottesimo capo con l'isquisito artificio che ognun
vede, il qual con speciosa maniera fa il vescovo arbitro di dar il beneficio a
chi gli piace e non leva niente de' guadagni alla corte. L'altro capo era delle
essenzioni, nella qual materia molte sodisfazzioni avevano ricevuto li vescovi
per il passato, e nondimeno fu anco aggionto l'undecimo capo per total
complemento. Restavano le essenzioni degl'ordini regolari, et erano venuti li
vescovi in speranza di poterle afatto levare o almeno moderar in tal maniera
che gli restassero in gran parte soggetti.
Già sino nel principio dell'anno fu eretta
una congregazione sopra la riforma de' regolari, la qual, con l'intervento de'
generali e conseglio d'altre persone religiose esistenti in concilio, avevano
fatto gran progresso e stabilito buoni decreti senza nissuna contradizzione,
perché, quanto al di fuori et alle cose apparenti, li medesimi regolari non
l'aborrivano, ma la desideravano. Quanto al di dentro e che occorre ne'
monasterii, erano molto ben certi che l'averebbono interpretato e pratticato
come a loro fusse piaciuto, anzi avevano per cosa utile d'aver in scritto
riforma ristrettissima, come tutte le loro regole sono altro in scritto di
quello che in osservazione. Ma quando s'incomminciò a parlar di moderare le
essenzioni e sottoporgli almeno in parte a' vescovi, s'ammutinarono
tutt'insieme li generali co' teologi degl'ordini e fecero capo con
gl'ambasciatori de' prencipi, mostrando loro di quanto servizio fossero a'
popoli, alle città et al publico governo, offerendosi, se in loro vi era abuso
di qual si voglia sorte, che si rimediasse; che si contentavano d'ogni riforma
e che, ritornati a' loro governi, erano per esseguirla piú severa di quello che
fosse ordinato, ma che sottopor li monasterii agl'ordinarii era un
disformargli, perché quelli, non intelligenti della vita regolare e della
severità della disciplina con che si mantiene, averebbono disordinato ogni
cosa. Dicevano li vescovi che il privilegio è sempre con detrimento e
disordinazione della legge, che la rivocazione è una cosa favorabile,
ritornando li negozii nella loro natura; che il levargli non era far novità, ma
restituir lo stato antico delle cose. Si rispondeva dall'altro canto che la
essenzione de' regolari per la sua antichità era cosí ben prescritta, che non
poteva chiamarsi piú privilegio, ma legge commune. Che quando li monasterii
erano soggetti a' vescovi, la disciplina ecclesiastica in essi e ne' loro
canonici era cosí regolata e severa che meritava di sopraintender a tutti. Che
volendo restituir l'antichità, conveniva farlo in tutte le parti. Che quando li
vescovi fossero ritornati come in quei tempi, si poteva sottoporgli li
monasterii come allora, ma non era giusto che dimandassero d'aver
sopraintendenza a' monasterii prima che si formassero tali, quali è necessario
che sia il rettor d'una vita regolare. Erano favoriti li regolari
dagl'ambasciatori e da' legati per interesse della corte, la qual averebbe
perso un grand'instromento, quando non fossero stati dependenti da lei sola; e
non gli mancava favore da qualche prelati, che confessavano le loro raggioni
esser buone. Durò questo moto per qualche giorni, rimettendosi però pian piano,
perché ogni giorno li vescovi che l'avevano eccitato vi scoprivano dentro
maggior difficoltà.
Il terzo capo era per gl'impedimenti che
ricevevano li vescovi da' magistrati secolari, quali, per conservazione
dell'auttorità temporale, non lasciavano trascorrere li vescovi ad essercitar
quell'assoluto imperio che averebbono voluto, non solo sopra il clero, ma
ancora sopra il popolo: a questo effetto era fatto il capo della riforma de'
prencipi, del quale s'è fatta menzione et al suo luogo si parlerà pienamente.
Questa parte era stata, insieme con altre annesse a lei, differita per un'altra
sessione, avendola per cosa difficile e che averebbe potuto molto prolongar; ma
li vescovi interpretarono questa dilazione che fosse a fine di mandarla in
niente. Si lamentavano che, trattandosi di riformar tutta la Chiesa, si
riformasse solo il clero. I legati facevano ogni diligenza per quietargli,
mostrando che non era differita questa sola, ma altri capi ancora che era pur
necessario trattare, promettendo che la dilazione non era se non per far le
cose con maggior maturità, ma che si sarebbono fatte certo; che era necessario
facilitar l'espedizione di quella sessione, la qual sarebbe stata preparatoria
all'altra, dove si sarebbe trattato senza meno il rimanente. Erano tutti
intenti li legati per tener la sessione al tempo determinato, giudicando ciò
necessario per ispedir il concilio presto, e perché il papa, per ogni corriero
ordinario senza alcun fallo e ben spesso con qualche straordinario, faceva loro
instanza per l'espedizione e che lo liberassero dal concilio.
Nella congregazione de' 7 settembre fu
ricevuto fra Martino Roias, ambasciatore degl'ospitalarii di san Giovanni
Gierosolimitano, detti cavaglieri di Malta, il che fu differito di fare sino a
quel tempo per grand'opposizioni che fecero li vescovi principali, acciò non
gli fosse dato luogo superiore, dicendo non esser giusto che una religione de
frati dovesse preceder tutto 'l corpo di tanti prelati; ma finalmente
s'accommodarono e fu nella congregazione publicato che se gli dava luogo tra
gl'altri ambasciatori, senza pregiudicio de' prelati, che pretendono
precedenza. Fece un'orazione l'ambasciatore, scusando il suo gran maestro
d'aver tanto differito di mandar a Trento per li romori dell'armata de' turchi
[e] per le incommodità che ricevevano per Dragut corsaro, essortò li padri a
porger rimedio a' mali presenti, li quali non toccavano anco poco li frati
della sua religione, che non erano membri oziosi della republica cristiana.
Essortò all'estirpazione delle eresie, offerendo che il gran maestro e la
società loro averebbono preso il patrocinio e difesa, spendendo non solo le
facoltà, ma la vita et il sangue. Narrò l'origine della religione sua,
principiata per 40 anni inanzi che Goffredo passasse all'acquisto della Terra
santa, le opere eroiche fatte da' loro maggiori, alle quali non potevano
corrisponder al presente per esser stati spogliati di gran parte delle loro
terre e possessioni; che essi sono l'antemurale di Sicilia e dell'Italia contra
li barbari; perilché pregava li padri di raccordarsi dell'antichità, nobiltà,
meriti e pericoli di quella società et operare che gli fossero restituite le
possessioni e commende usurpategli, e che dal concilio si decretasse che
all'avvenire non fossero conferite ad altri che a quelli del loro ordine,
confermando l'immunità e privilegii di quello. Gli fu risposto dal promotore
per nome della sinodo, ricevendo l'escusazione e promettendo d'aver quella
considerazione che meritava la dimanda sua intorno al conservare le commende e
privilegii di quella religione. Ma quantonque, ne' giorni seguenti, appresso li
legati facesse la medesima instanza piú volte et essi ne facessero relazione al
pontefice, egli altro mai rispose se non ch'a lui toccava far la provisione e
l'averebbe fatta al suo tempo.
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