[La sessione è prolongata col voler del
papa, il quale attrae Lorena in Roma]
Essendo le cose in questi termini,
pensavano li legati a far la sessione con la sola materia del matrimonio; ma a
questo s'opponeva il non esser ancora ben maturate tutte le difficoltà del
clandestino, et anco il sospetto che gl'ambasciatori avevano che, se si fosse
fatta una sessione senza parlar di riforma, era perduta la speranza che si
dovesse trattarne mai piú. Et essendo anco ben evidente e chiaro che nissuna
speranza restava di poter per il tempo determinato alla sessione aver in ordine
cosa alcuna di riforma, li legati, fatta congregazione generale il dí 15 del
mese, proposero di prolongarla sino a' 11 di novembre, e cosí fu deliberato. La
causa di cosí longa dilazione fu perché il pontefice, vedendo le difficoltà di
finir il concilio parte nascenti per le controversie tra li prelati e parte per
le opposizioni dell'ambasciator di Spagna, pose ogni speranza in superar le
difficoltà nel cardinale di Lorena; onde scrisse a' legati che, quando la
sessione non s'avesse potuto far al determinato tempo, si prolongasse per 2
mesi; e questo fece accioché, potendo il cardinale trasferirsi a Roma, avesse
commodo di divisar con lui quello che non era possibile far per lettere, né per
messi. Sino a quel tempo non ebbe il papa altra risoluzione che di terminar il
concilio, ma allora deliberò fermamente che, se questo non si poteva,
trovandosi per mera necessità costretto a liberarsene in qualonque modo si
fosse, voleva onninamente dissolverlo. Et accioché fosse preparata ogni
disposizione per venir all'essecuzione, mandò facoltà a' legati di far
sospensione o traslazione, secondo che giudicassero meglio col conseglio de'
padri, scrivendogli che voleva liberarsene in ogni modo, o con metterci fine,
se fosse possibile, il che piú di tutto desiderava; quando no, usar un altro
de' doi rimedii; però facessero opera essi di far nascer occasione d'esserne
ricchiesti, per non mostrar che egli fosse autore, e sollecitassero il viaggio
di Lorena. Perilché egli, fatta la determinazione di prolongar la sessione, il
dí seguente si partí.
Erano nel pontefice cessati tutti li disgusti
di Francia per causa del concilio, né però era senza ricever continue molestie
da quel regno: gli dava molta noia la quotidiana instanza che gl'era fatta di
consentir all'alienazione di 100000 scudi di beni ecclesiastici e le continue
detrazzioni che intendeva usarsi dagl'ugonotti contra lui e la Sede apostolica.
Gli fu specialmente molesto che il cardinale Sciatiglion, il qual, come s'è
detto, aveva deposto ogni abito clericale e si fece chiamar il conte di
Beauvois, dopo che intese dal pontefice esser stato decchiarato privato, sotto
il dí ultimo maggio, del capello in consistorio, reassonse l'abito di cardinale
e con quell'abito si maritò; e nella gran solennità che si fece in Roano il 13
agosto, quando il re si decchiarò maggiore in parlamento, in presenza di tutta
la nobiltà francese, egli comparve alla solennità nel medesimo abito, che fu da
tutti giudicato una gran sprezzatura della degnità ponteficia; di che il papa
commosso, in questo tempo fece metter in stampa la sua privazione e ne fece seminar
molte copie per la Francia.
All'arrivo del cardinale di Lorena in Roma
era pochi giorni prima arrivato il noncio del pontefice residente in Francia,
spedito dalla regina per proponer il papa un abboccamento tra Sua Santità,
l'imperatore, re di Spagna et il re suo figlio, nella comitiva del quale ella
ancora si sarebbe ritrovata. Dal pontefice fu giudicata l'essecuzione
impossibile; la proposizione non gli dispiacque, come quella che molto poteva
servir a finir il concilio, e però diede parola di mandar noncii all'imperatore
et al re di Spagna per questo, e destinò il vescovo di Vintimiglia per Spagna,
il qual per ciò chiamò da Trento, e quello d'Ischia all'imperatore.
Al cardinale di Lorena fece eccessive
dimostrazioni d'onore, l'alloggiò in palazzo e, cosa insolita, andò
publicamente a visitarlo alle stanze sue. I raggionamenti tra loro furono in
parte sopra l'abboccamento, se ben il cardinale esso ancora non teneva per
fattibile. Si trattò della vendita per 100000 scudi, nel che non è chiaro se
gl'ufficii fossero fatti dal cardinale per promover o per tirar indietro
l'essecuzione; anzi, che avendo in quei giorni il pontefice ad una nuova
instanza dell'ambasciatore in quella materia risposto che la rimetteva al
concilio, fu giudicato da molti esser iscusazione ritrovata da Lorena. Ma il
principal negozio fu sopra il finir del concilio, cosa stimata dal papa per
importantissima e conosciuta per difficilissima, nel che fu somma confidenza
tra loro, avendogli scoperto il cardinale gl'interessi suoi voltati al medesimo
e come dopo la morte de' fratelli vedeva chiaro non esservi altro mezo di
sostentar in Francia la religione e la casa sua che la congionzione con la Sede
apostolica. Il papa gli promise di far cardinali a sua instanza e gli diede tal
parole che mostravano intenzione di farselo succeder nel pontificato; le quali
acciò avessero maggior credenza, mostrava che la grandezza di quel cardinale
fosse utile per li fini che aveva di [qualche novità in Italia. È ben certa
cosa che il pontefice aveva] qualche mira a cosa di gran momento, perché la
conclusione de' raggionamenti suoi con ogni persona era: «Bisogna serrar il
concilio e proveder danari, e poi sarà quello che a Dio piacerà».
Il pontefice conferí al cardinale che, ad ogni
nuova qual gli capitava a notizia delle discordie e de' allongamenti che altri
machinavano, veniva in consultazione di sospender il concilio; ma era ritirato
dalla considerazione del scandalo che n'averebbe ricevuto il mondo, al quale la
verità era incognita, e dall'un canto quello gli pareva il maggior male che
potesse occorrere, e dall'altro canto lo giudicava inferiore al pericolo che
portava l'autorità sua, la qual era lo scopo dove e prencipi e vescovi et ogni
sorte di persona saettava: ma che finalmente era necessario deponer tutti li
rispetti e venir a questa risoluzione. Il cardinale lo levò di questa
deliberazione con mostrargli che quella non era una medicina da guarir il male,
ma da differirlo con maggior pericolo, perché fra poco tempo averebbe nuove
dimande di restituirlo e macchinazioni di qualonque non fosse ben sodisfatto di
lui; e che il sospenderlo anco era piú difficile che finirlo, perché di questo
non faceva bisogno addur cause: bastava metter ben le cose a segno et
intendersi et esseguire; che la sospensione ricercava allegazione di causa,
sopra la quale ognun averebbe detto la sua; che era anco piú onorevole finire
che sospendere, et altre raggioni usò, che fece conoscer al papa il conseglio
esser buono e fedele, et appresso lo consegliò a parlar apertamente col re di
Spagna.
Perilché, chiamati a sé gl'ambasciatori di
quel re, si querelò con parole gravissime, dicendo aver congregato il concilio
sotto speranza e promessa del re che le cose del ponteficato sarebbono favorite
da Sua Maestà, alla quale anco aveva dato tutte le sodisfazzioni imaginabili et
era per dargli delle altre, secondo le sue ricchieste, quando fossero levati
gl'impedimenti che portava l'esser aperto il concilio; che egli non aveva
dimandata altra grazia a Sua Maestà et a' ministri se non il fine di quello,
per servizio di Dio e ben commune, et in ciò era trattato molto male, senza che
vi fosse alcun beneficio, anzi molto danno del re. Però era costretto tener
conto di chi faceva stima di lui e gettarsi nelle braccia di chi voleva
aiutarlo. Spedí anco al re un corriero con lettera di sua mano, facendo querela
degl'ufficii che facevano l'ambasciator et altri suoi a Trento, contrarii a
ministri regii di Roma, dicendo l'una e l'altra parte far la commissione di Sua
Maestà; gli mostrò che compliva per servizio di Dio, della Sede apostolica e
della Maestà Sua che quel concilio si finisse, et in fine lo ricercò d'aperta
decchiarazione se in questo era per coadiuvarlo o no. Lo consegliò anco il
cardinale a non si mostrar alieno di conceder all'imperatore il calice e
matrimonio de' preti, che cosí acquisterebbe l'imperatore et il re de Romani,
non tanto consenzienti a finir il concilio, ma ancora favorevoli e promotori.
Parimente gli considerò che era necessario tralasciar riforma de' prencipi,
come cosa che piú d'ogni altra poteva mandar la negoziazione in longo.
Ma in Trento, dopo la partita di Lorena,
partirono ancora 9 vescovi francesi per tornarsene a casa, onde non ve ne
restarono al concilio piú che 8, oltre 6 che erano andati a Roma col cardinale.
La partita di quelli fece passar voce che fossero stati ricchiamati di Francia
e che ci fosse anco intenzione di ricchiamar gl'altri per ufficio fatto
dagl'ugonotti, acciò, instando il fine del concilio, quando sarrebbono stati anatematizati,
non vi fossero francesi presenti. I legati, per agevolar le difficoltà del
clandestino, fecero far da' teologi una publica disputa in contradizzione con
defensori et oppugnatori, cosa che in nissun'occorrenza era piú stata fatta in
concilio; ma né meno quella partorí alcun buon effetto, anzi tutti si partivano
piú confermati nella propria opinione. E dopo questo, per reassumer le
congregazioni e trattar della riforma, diedero fuori il rimanente
degl'articoli, de' quali l'ultimo era per riforma de' prencipi, vedendosi
costretti a ciò fare per l'ammutinamento de' prelati.
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