[Capitolo della riforma de' prencipi
sopra le immunità ecclesiastiche]
Del qual capo toccante li prencipi avendo
fatto tante volte menzione, poiché siamo venuti ad un luogo che per
intelligenza delle cose seguenti è necessario recitarlo, convien saper che
quello conteneva un proemio con 13 decreti, et un molto pregnante epilogo, la
sostanza de' quali era:
Che la sinodo, oltra le cose statuite
sopra le persone ecclesiastiche, ha giudicato dover emmendar altri abusi da'
secolari introdotti contra l'immunità della Chiesa, confidando che' prencipi se
ne contentaranno e faranno render la debita obedienza al clero. E però gli
ammonisce, inanzi le altre cose, che facciano render da' loro magistrati,
officiali et altri signori temporali quell'obedienza che essi medesimi prencipi
sono tenuti prestare al sommo pontefice et alle constituzioni conciliari: il
che per facilitar, rinovando, statuisce alcune delle cose decretate da' sacri
canoni e dalle leggi imperiali a favor dell'immunità ecclesiastica, le quali
debbino esser osservate da tutti sotto pena d'anatema.
1 Che le persone ecclesiastiche non
possino esser giudicate al foro secolare, ancora che vi fosse dubio del titolo
del chiericato e quantonque essi medesimi consentissero overo avessero
renonciato alle cose impetrate, o per qualsivoglia altra causa, eziandio sotto
pretesto di publica utilità o di servizio del re, né possino proceder nelle
cause d'assassinio, se non sarà vera e propriamente assassinio e che
notoriamente consti, e negl'altri casi dalla legge permessi, non lo possino
far, se non precedendo prima la decchiarazione dell'ordinario.
2 Che nelle cause spirituali,
matrimoniali, d'eresia, decime, iuspatronatus, beneficiali, civili,
criminali e miste, pertinenti in qual si voglia modo al foro ecclesiastico,
cosí sopra le persone, come sopra li beni, decime, quarte o altre porzioni
spettanti alla Chiesa e sopra li beneficii patrimoniali, feudi ecclesiastici,
giurisdizzione temporale di chiese, non possino li giudici temporali
intromettersi né in petitorio, né in possessorio, levata qualonque
appellazione, o per pretesto di dinegata giustizia, o come d'abuso, o perché
sia renonciato alle cose impetrate; e quelli che nelle suddette cause
ricorreranno al secolare, siano escommunicati e privati delle raggioni che in
quelle gli competivano. E ciò sia osservato eziandio nelle cause pendenti in
qualonque instanza.
3 Non possino li secolari, eziandio per
autorità apostolica o consuetudine immemorabile, constituire giudici in cause
ecclesiastiche, e li chierici che riceveranno tal officii da' laici, eziandio
per vigor di qual si voglia privilegio, siano sospesi dagl'ordini, privati de'
beneficii et officii et inabili a quelli.
4 Che il secolare non possa commandar al
giudice ecclesiastico di non scommunicar senza licenza, o di revocar overo
sospender la scommunica fulminata; né possi proibirgli che non essamini, citi e
condanni, e che non abbia birraria et essecutori proprii.
5 Che imperatore, re o qualsivoglia
prencipi non possino far editti o ordinazioni in qual si voglia modo,
pertinenti a cause o persone ecclesiastiche, né intromettersi nelle persone,
cause, giurisdizzioni, né tribunali, eziandio nell'Inquisizione, ma siano
obligati prestar il braccio a' giudici ecclesiastici.
6 Che la temporal giurisdizzione de'
ecclesiastici, eziandio con mero e misto imperio, non sia turbata, né meno li
sudditi loro nelle cause temporali siano tirati a' tribunali secolari.
7 Nissun prencipe o magistrato prometti
per brevetto o altra scrittura, o dia speranza d'aver beneficio alcuno posto
nel dominio loro, né gli possi procurar da' prelati o capitoli di regolari, e
chi per quella via ne ottenerà, sia privato et inabile.
8 Che non possino metter mano ne' frutti
de' beneficii vacanti sotto pretesto di custodia o iuspatronato o di
protezzione. né a fine d'ovviare a discordie, né mettervi economi o vicarii; e
li secolari che accetteranno tal officii e custodie siano scommunicati, e li chierici
sospesi dagl'ordini e privati de' beneficii.
9 Che gl'ecclesiastici non siano astretti
a pagar tasse, gabelle, decime, passi, sussidii, eziandio con nome di dono o
imprestito, cosí per li beni della Chiesa, come per i patrimoniali, eccettuate
quelle provincie dove per antichissima consuetudine gl'ecclesiastici medesimi
ne' publici commicii intervengono ad imponer sussidii cosí a' laici, come
ecclesiastici contra gl'infedeli o per altre urgentissime necessità.
10 Non possino metter mano ne' beni
ecclesiastici, mobili et immobili, vassalli, decime et altre raggioni, né meno
ne' beni delle communità o de' privati sopra quale la Chiesa ha qualche
raggione; né afflittar pascoli o erbaggi che nascono ne' terreni e possessioni
della Chiesa.
11 Che le lettere, sentenzie e citazioni
de' giudici ecclesiastici, specialmente della corte di Roma, subito essibite,
senza eccezzione siano intimate, publicate et esseguite, né cosí di questo,
come del pigliar possesso de' beneficii s'abbia da ricercar consenso o licenza,
che si chiama Exequatur o veramente Placet, o con qual si voglia
altro nome, eziandio sotto pretesto d'ovviare alle falsità e violenze, et
eccetto nelle fortezze et in quei beneficii dove li prencipi sono riconosciuti
per raggion del temporale. E se vi sarà dubio, o della falsità delle lettere, o
di qualche gran scandalo e tumulto, possi il vescovo, come delegato apostolico,
statuir quello che sarà di bisogno.
12 Non possino li prencipi e magistrati
alloggiar li suoi officiali, famigliari, soldati, cavalli, cani, nelle case o
monasterii d'ecclesiastici, né cavar da loro alcuna cosa per il vitto o per il
transito.
13 E se alcun regno, provincia o luogo
pretenderà non esser tenuto ad alcuna delle suddette cose, in virtú di
privilegii della Sede apostolica che siano in attual osservanza, li privilegii
debbino esser essibiti al pontefice fra un anno dopo il fine del concilio,
quali siano da lui confermati secondo il merito de' regni o provincie; e finito
l'anno, se non saranno essibiti, s'intendino di nissun vigore.
E per epilogo era un'ammonizione a tutti
li prencipi d'aver in venerazione le cose che sono di raggione ecclesiastica,
come peculiari di Dio, e non le lasciar offender dagl'altri, innovando tutte le
constituzioni de' sommi pontefici e sacri canoni in favor dell'immunità
ecclesiastica, commandando sotto pena d'anatema che né direttamente, né
indirettamente, sotto qualonque pretesto, sia statuito o esseguito alcuna cosa
contra le persone e beni ecclesiastici, overo contra la loro libertà, non
ostanti qualsivoglia privilegii et essenzioni, eziandio immemorabili.
E questo è quello che prima
agl'ambasciatori era stato communicato e da loro mandato ciascuno al suo
prencipe e per causa del quale il re di Francia diede l'ordine agl'ambasciatori
suoi, del quale di sopra s'è parlato. E l'imperatore, vedutigli, scrisse al
cardinal Morone che né come imperatore, né come arciduca assentirebbe mai che
si parli in concilio di riformar giurisdizzione de' prencipi, né di levargli
l'autorità d'aver aiuti e contribuzioni dal clero, considerandogli che tutti li
mali passati erano nati per oppressioni tentate dagl'ecclesiastici contra li
popoli e li prencipi. Che avvertissero di non irritargli maggiormente e far
nascer inconvenienti maggiori.
Gli ambasciatori francesi, dopo la partita
di Lorena, posero in ordine la protestazione loro, per valersene se fosse stato
bisogno. Laonde nella congregazione de' 22 settembre, dopo che uno de' padri
con longa orazione discorse che la causa d'ogni difformazione procedeva da'
prencipi, che quelli avevano maggior bisogno di riforma, che già erano ordinati
li capitoli, che era tempo di proporgli e non persuadersi di mandargli in
niente con le dilazioni, dopoi che quello ebbe parlato, l'ambasciatore Ferrier
fece una molto longa e querula orazione o, come i francesi dicono, complainte:
il contenuto della quale fu, ne' ponti principali, che essi potevano dir a'
padri quello che li legati de' giudei dissero a' sacerdoti: «Doveremo noi
ancora perseverar digiunando e piangendo?». Sono 150 e piú anni che li re
Cristianissimi hanno dimandato a' papi riforma della disciplina ecclesiastica;
per ciò e non per altro hanno mandato ambasciatori alle sinodi di Costanza, di
Basilea, di Laterano, alla prima di Trento, e finalmente s'è gionto a questa
seconda; quali fossero le dimande loro lo testifica Giovanni Gerson,
ambasciatore nel constanziense, le orazioni di Pietro Danesio, ambasciatore nel
primo concilio di Trento, di Guido Fabro e del cardinal di Lorena in questo
secondo, nelle quali non s'è dimandato altro che la riformazione de' costumi
de' ministri della Chiesa, e con tutto ciò tuttavia conveniva digiunare e
piangere, non 70 anni, ma 200 continui, e Dio voglia che non siano 300 e molto
piú. E se alcun dicesse esser stata data sodisfazzione con decreti et anatemi,
essi però non riputavano che fosse sodisfar dar una cosa per un'altra in
pagamento. Che se si dirà doversi sodisfar con gran fascio di riforma proposto
il mese inanzi, essi sopra quello avevano detto il loro parer e mandatolo al
re; il quale aveva risposto di vedervi dentro poche cose convenienti alla
disciplina antica, anzi molte contrarie. Non esser quello l'empiastro d'Isaia
per sanare, ma quella coperta d'Ezechiele per far incrudir piú le ferite,
quantonque sanate. Ma quelle aggionte di scommunicar et anatematizar li
prencipi esser senza essempio della Chiesa vecchia et aprire una gran porta
alla ribellione; e tutto quel capo che parla della riforma de' re e prencipi
non aver altra mira che a levar la libertà della Chiesa gallicana et offender
la maestà et autorità de' re Cristianissimi, li quali, ad essempio di
Constantino, Giustiniano et altri imperatori, hanno fatto molte leggi
ecclesiastiche che non solo non hanno dispiaciuto a' papi, ma essi ancora ne
hanno inserte alcune ne' loro decreti e giudicato degni di nome di santi Carlo
Magno e Ludovico IX, principali autori di quelle. Soggionse che li vescovi
hanno governato la Chiesa di Francia con quelle, non solo dopo li tempi della
pragmatica o del concordato, ma 400 e piú anni inanzi il libro de' decretali, e
che queste leggi sono state difese e restituite da' re posteriori, dopo che ne'
tempi seguenti gli fu derogato con sostituirle decretali in luogo d'essi. Che
il re, dopo fatto maggiore, voleva ridur in osservanzia quelle leggi e la libertà
della Chiesa gallicana, imperoché in quelle non vi è cosa contraria a' dogmi
della Chiesa catolica, agl'antichi decreti de' pontefici et a' concilii della
Chiesa universale; passò poi a dire che quelle leggi non proibiscono a' vescovi
il reseder tutto l'anno e predicar ogni giorno, nonché 9 mesi e nelle feste,
come era stato decretato nell'ultima sessione, né meno vietano a' vescovi di
viver con sobrietà e pietà et avendo solo l'uso e non l'usofrutto delle
entrate, distribuirle, o piú tosto renderle a' poveri che ne sono patroni. E
cosí seguí, nominando le altre cose statuite nel concilio con simil forma
d'ironia, che pareva le beffasse. Poi soggionse che la potestà data da Dio al
re e le antichissime leggi di Francia e la libertà della Chiesa gallicana avevano
sempre proibito le pensioni, le renoncie in favore o con regresso, la pluralità
de' beneficii, le annate, le prevenzioni, il litigar del possessorio inanzi
altri che li giudici regii e della proprietà, o altra causa civile o criminale
fuor di Francia, e proibito anco l'impedir le appellazioni come d'abuso, overo
impedir che il re, fondatore e patrone di quasi tutte le chiese di Francia, non
possi liberamente valersi de' beni et entrate, eziandio ecclesiastiche de' suoi
sudditi per instante et urgente necessità della republica. Disse appresso che
di due cose si maravigliava il re: che essi padri, ornati di gran potestà
ecclesiastica nel ministerio di Dio, congregati solo per restituir la
disciplina ecclesiastica, non attendendo a questo, si fossero rivoltati a
riformar quelli che convien obedire, se ben fossero discoli, e pregar per loro;
e che si possino e debbino senza ammonizione escommunicar et anatematizar li re
[e] prencipi, quali sono da Dio dati agl'uomini, il che non si doverrebbe far
manco in un uomo plebeo perseverante in un gravissimo delitto. Che l'arcangelo
Micael non ardí maledire il diavolo, né Michea o Daniel li re impiissimi, e pur
essi padri versavano tutte le maledizzioni contra li re e prencipi e contra il
Cristianissimo, contra il quale le maledizzioni sono machinate, se defenderà le
leggi de' suoi maggiori e la libertà della Chiesa gallicana. Concluse che il re
gli ricercava di non decretare alcuna cosa contra di quelle, e se altrimenti
facessero, commandava a' loro ambasciatori d'opporsi a' decreti, sí come allora
s'opponevano. Ma se volessero, tralasciati li prencipi, attender seriamente a
quello che tutto 'l mondo aspettava, sarebbe gratissimo al re, il quale
commandava ad essi ambasciatori d'aiutare quell'impresa.
Sin qui parlò per nome del re; poi invocò
il cielo e la terra et essi padri a considerare se la dimanda regia era giusta;
se sarebbe onesto dar li medesimi ordini in tutto 'l mondo; se in questo tempo
conveniva compatire, non alla Chiesa, né alla Francia, ma alla dignità d'essi
padri e riputazione, et alle loro entrate, che non possono esser conservate con
altre arti che come furono da principio acquistate; che in tante confusioni
conveniva ravedersi, e quando Cristo viene, non cridare: «Mandaci nel gregge
de' porci». Che se volevano rimetter la Chiesa nella riputazione antica,
costringer gl'avversarii a penitenza e riformar li prencipi, seguissero
l'essempio d'Ezechia, che non imitò il padre empio, né il primo, secondo, terzo
e quarto avi imperfetti, ma andò piú in su all'immitazione de' perfetti
maggiori, cosí allora non bisognava attender a' prossimi precessori, se ben
dottissimi, ma ascender sino ad Ambrosio, Agostino e Crisostomo, li quali
vinsero gl'eretici non armando li prencipi alla guerra e tra tanto attendendo a
mondarsi le unghie, ma con l'orazione, buona vita e predicazione pura; perché
essi, avendo prima formato se stessi in Ambrosio, Agostino e Crisostomo e
purgato la Chiesa, faranno diventar anco li prencipi Teodosii, Onorii, Arcadii,
Valentiniani e Graziani; il che sperando, pregavano Dio che da loro fosse
fatto, e qui finí.
Ma l'orazione nel medesimo tempo che fu
pronunciata irritò sommamente, non tanto li ponteficii, quanto anco gl'altri
prelati, e li francesi ancora; e finita, per il gran susurro che era, fu
necessario finir anco la congregazione. Alcuni la tassavano d'eresia; altri
dicevano che al meno era molto sospetta, et altri che era d'offesa alle
orecchie pie; che a studio aveva preso occasione di farla in assenza del
cardinal di Lorena, che non averebbe comportato quei termini, e che il fine non
era altro se non romper il concilio. Che attribuiva a' re quello che non gli
appartiene. Che inferiva l'autorità del papa non esser necessaria per valersi
de' beni ecclesiastici. Che faceva il re di Francia, come il re d'Inghilterra.
Sopratutto nissuna cosa offese maggiormente, quanto l'aver inteso che dicesse
l'autorità de' re di Francia sopra le persone e beni ecclesiastici non esser
fondata sopra la pragmatica, concordati e privilegii del papa, ma sopra la medesima
legge naturale, sopra la Scrittura divina, gl'antichi concilii e leggi
degl'imperatori cristiani.
Erano anco gl'ambasciatori francesi
ripresi con dire che dovevano prender essempio da' cesarei e spagnuoli, li quali,
quantonque avessero gl'istessi interressi, non avevano fatto moto, conoscendo
di non aver raggione. Si difendeva il Ferrier con dire che al cardinal di
Lorena era stato promesso da' legati di non parlar piú di quel capo, se non con
tal moderazione che non toccasse le cose di Francia, ma poi era stato
altramente operato. Che al cardinale era stata communicata l'instruzzione
regia, onde, se fosse stato presente, averebbe non solo acconsentito, ma
consegliato la protesta. Che erano grand'ignoranti quelli che, non avendo
veduto altro che le decretali, leggi di 400 anni, pensavano che inanzi quelle
non vi siano state altre leggi ecclesiastiche. E chi vorrà riformar il re per
le decretali, egli vorrà riformar loro per il Decreto e condurli anco a
tempi piú vecchi non solo di sant'Agostino, ma degl'apostoli ancora. Che non
faceva il re di Francia come il re d'Inghilterra, ma ben s'opponeva a quelli
che da longo tempo hanno comminciato a crescer la loro degnità, con dimminuir
quella de' re. Che se quegli articoli portassero tanto danno all'imperatore o
al re Catolico come alla Francia, non sarebbono stati proposti, né si debbe
pigliar essempio da chi non ha uguali interressi. Sopra tutti l'arcivescovo di
Sans e l'abbate di Chiaraval furono li piú disgustati, et andavano dicendo che
gl'ambasciatori avevano fatto male protestando e che il loro fine era stato per
metter confusione e dar occasione che in Francia si facesse il concilio
nazionale; che non erano uomini di buona volontà e che erano creature del re di
Navarra, mandati al concilio da lui per suoi dissegni, et avevano protestato
senza commissione del re, e che conveniva constringergli a mostrar le loro
instruzzioni e formar inquisizione contra di loro, come che sentissero male
della fede; di che tra gl'ambasciatori e loro nacquero gran dispareri.
Gl'ambasciatori, il dí seguente, diedero conto al re delle cause perché avevano
differito sino allora e perché in quel tempo erano stati costretti a passar
alla proposta, soggiongendo che averebbono differito a farla registrare
negl'atti del concilio sin tanto che da Sua Maestà fosse veduta e commandato
loro qual fosse la sua intenzione.
I legati, non avendo copia dell'orazione,
ne fecero far una raccolta dalla memoria di quelli che erano stati piú attenti
per mandarla al pontefice, del qual sommario avendone avuto Ferrier copia, si
lamentava che molte cose fossero state espresse contra la sua intenzione, et in
particolare che dove egli aveva nominato le leggi ecclesiastiche, era stato
riposto leggi spirituali, e che diceva che li re possono prender li beni della
Chiesa a beneplacito, dove egli aveva detto: solo per causa necessaria. Per
questo egli si vidde costretto di dar fuori l'orazione e ne mandò una copia a
Roma al cardinal di Lorena, scusandosi se non aveva usato parole di tanta
acrimonia come gli era commandato nelle ultime instruzzioni e nelle prime che
sono riconfermate in quelle; aggiongendo anco che non poteva tralasciar
d'ubedir al re, né meno sottogiacer alle reprensioni che egli averebbe
convenuto soffrire da' conseglieri di parlamento, quando in un concilio
generale, in sua presenza, si fossero determinate cose di tanta importanzia
contra quello che da' parlamenti è stato sostenuto con tanta accuratezza; senza
che, essendo l'autorità regia, che egli defendeva, sostenuta continuamente per
400 anni dal regno di Francia contra la guerra fattagli dalla corte di Roma,
non era giusto che i padri del concilio, la maggior parte corteggiani romani,
dovessero esser giudici delle vecche differenze che il regno ha con quella
corte. Diede anco copia dell'orazione agl'ambasciatori et a qualonque ne
dimandava, della quale gl'altri dicevano che altramente la prononciò di quello
che poi ha messo in scritto. A che egli replicava che non sarebbe detto cosí da
chi avesse mediocre intelligenza di latino, e con tutto che fosse medesima la
prononciata e la scritta, se essi l'avevano per diverse, dovevano raccordarsi
lo stile della sinodo esser non dar mai giudicio sopra le cose come erano dette
in voce, ma come erano essibite in scritto, e però a quello attendessero senza
mover controversia di cosa dove era piú giusto creder a lui che ad alcun altro.
Uscita l'orazione in publico, gli fu fatta
risposta da uno innominato sotto nome della sinodo, dicendo che con buona
raggione gl'ambasciatori francesi s'erano comparati agl'ambasciatori ebrei,
avendo, cosí essi come quelli, fatto querimonia indebita contra Dio, e che ben
gli veniva la risposta che il profeta per nome divino diede a quel popolo: «che
se per tanti anni avevano digiunato e pianto e mangiato e bevuto, tutto era
stato per loro proprii interessi». Che li re di Francia erano stati causa di
tutti gl'abusi di quel regno con nominar a' vescovati persone illiterate,
ignare della disciplina ecclesiastica e piú inclinate a vita lasciva che
religiosa. Che i francesi non volevano risoluzione de' dogmi controversi, acciò
che la dottrina cristiana restasse sempre incerta e fosse dato luogo a' nuovi
maestri, che potessero grattar il prurito delle orrecchie di quella nazione,
poco inclinata alla quiete. Che in tempi tanto turbulenti non avevano risguardo
a dire che toccasse al re, ancora giovanetto, disponer di tutto 'l governo
della Chiesa. Che avevano detto asseverantemente li beneficiali esser solamente
usuarii delle entrate, e pur in Francia, da immemorabile tempo, si sono sempre
portati per usufruttuarii, facendo anco testamento et essendo ereditati da'
propinqui, quando muorono intestati. Che il dire delle entrate li poveri esser
patroni, era molto contrario ad un altro detto nella medesima orazione, che il
re era patrone di tutti li beni ecclesiastici e poteva disponer a beneplacito.
Esser una grand'assordità il non voler che il re possi esser da un concilio
generale ripreso, poiché David re fu ripreso da Natan profeta et admise la reprimanda.
Che sentiva alquanto il fetore d'eresia il tassar li vescovi de' prossimi tempi
e de' precedenti, quasi che non siano stati veri vescovi. In fine si diffondeva
la scrittura longamente contra il detto dell'ambasciatore, che li prencipi sono
dati da Dio, confutandola come eretica e dannata dall'estravagante di Bonifacio
VIII, Unam sanctam, se non si distingueva con dire che sono da Dio, ma
mediante il suo vicario.
Da questa scrittura mosso, l'ambasciator
messe fuori un'apologia in risposta, come se fosse alla sinodo fatta, dicendo
che li padri non potevano rispondergli come il profeta a' giudei, imperoché
essi dimandavano la riforma dell'ordine ecclesiastico principalmente in
Francia, conoscendo in quello il mancamento, e non come li giudei, a' quali,
perché ignoravano li proprii defetti, fu imputata la causa del digiuno e
pianto. Che li padri, ascrivendo a' loro re la causa della disformazione
ecclesiastica, si guardassero di non far come Adamo, quando rivoltò la colpa
sopra la donna datagli da Dio in compagnia, perché essi confessavano esser
grave peccato ai re presentar vescovi indegni, ma maggior quello de' pontefici
d'admettergli. Che avevano ricercata la riforma inanzi li dogmi, non per
lasciargli incerti, ma perché, convenendo in quelli tutti li catolici,
riputavano necessario incomminciar da' costumi corrotti, fonte et origine di
tutte le eresie. Che non si pentiva d'aver detto esser negl'articoli proposti
molte cose repugnanti agl'antichi decreti, anzi voleva aggiongerci che
derogavano anco alle constituzioni de' pontefici de' prossimi tempi. Che aveva
detto Carlo Magno e Ludovico IX aver ordinato le leggi ecclesiastiche con quali
era stata governata Francia, non che il re allora intendesse farne di nuove, e
quando anco avesse cosí detto, averebbe parlato conforme alle Sacre Lettere,
alle leggi civili romane et a quello che scrivono gl'autori ecclesiastici greci
e latini inanzi il libro de' decreti. Dell'aver detto li beneficiali aver il
solo uso delle entrate dimandava perdono, perché doveva dire che erano
solamente amministratori, e quelli che vogliono aver per male quello che ha
detto, si lamentino di Gieronimo, Agostino et altri padri, che non solo dissero
li beni ecclesiastici esser de' poveri, ma che li chierici, a guisa di servi,
acquistavano tutto alla Chiesa. Che mai aveva detto, il re aver libera potestà
sopra li beni ecclesiastici, ma ben che tutto era del prencipe in tempo
d'instante et urgente necessità publica, e chi sapeva la forza di quelle
parole, ben conosceva in quel tempo non aver luogo né ricchiesta, né autorità
del papa. Che aveva ripreso l'anatema contra il re nel modo che negl'articoli
era scritto, e che concedeva potersi riprender li prencipi e magistrati al modo
che Natan fece, ma non provocargli con ingiurie e maledizzioni. Che avendo con
l'essempio d'Ezechia provocato alla riformazione degl'antichi tempi, non si
poteva inferire che non avesse per veri li vescovi degl'ultimi, sapendo molto
ben che li farisei e pontefici sedevano sopra la catedra di Moisè. Che
nell'aver detto la potestà de' re venir da Dio, ha parlato assolutamente e
semplicemente, come Daniel profeta e Paolo apostolo hanno scritto, non
essendogli venuto in mente la distinzione di mediato et immediato, né la
constituzione di Bonifacio, al che, quando avesse pensato, essendo francese,
averebbe riferito anco quello che le istorie dicono della causa et origine di
quella stravagante.
Non fece l'apologia dimminuir la mala
opinione concepita contra gl'ambasciatori, anzi l'accrebbe, per esser - cosí si
diceva - non un'iscusazione d'error commesso, ma piú tosto una pertinacia in
mantenerlo. E varii erano li raggionamenti, non tanto contra gl'ambasciatori,
quanto contra il regno. Dicevano conoscersi chiaramente qual fosse l'animo di
quelli che maneggiavano le cose in Francia. Notavano la regina madre, che
avesse molto credito a' Sciatiglioni, massime al già cardinale, che potevano
appresso lei troppo il cancellier et il vescovo di Valenza, all'instanza de'
quali era stato fatto quel sinistro rebuffo al parlamento di Parigi con
detrimento della religione. Che teneva intrinseca familiarità con Cursot e con
la moglie, quali per causa della religione non averebbe dovuto lasciar andar al
suo conspetto. Che la corte regia era piena d'ugonotti favoritissimi. Che
tuttavia mandava a sollecitar di poter vender li beni ecclesiastici con tanto
pregiudicio della Chiesa et altre cose di questa natura.
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