Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText
Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

IntraText CT - Lettura del testo

  • Libro ottavo
    • [L'ambasciator di Spagna rinnova l'instanza del proporre i legati]
Precedente - Successivo

Clicca qui per nascondere i link alle concordanze

[L'ambasciator di Spagna rinnova l'instanza del proporre i legati]

Ma mentre il concilio era tutto in moto per questi dispareri, il conte di Luna, secondo il suo solito d'aggionger sempre difficoltà a quelle che da altri erano proposte, fece instanza che si levasse il «Proponentibus legatis». Cosa molto molesta a loro, che non sapevano come contentarlo senza pregiudicio alle sessioni passate. Perché non solo la revocazione, ma ogni modificazione o suspensione pareva una dicchiarazione che le cose passate non fossero successe legitimamente. Ma l'ambasciator, non vedendo espedizione sopra la dimanda tante volte fatta, diceva che sino allora aveva negoziato modestamente, e sarebbe costretto mutar modo e tanto piú parlava arditamente, quanto sapeva che il pontefice, per le sue instanze passate, aveva scritto che si facesse quello che era conveniente, nel che la Santità Sua si rimetteva in tutto e per tutto. Ma li legati, per liberarsi dalle instanze dell'ambasciator, risposero che lasciavano in libertà del concilio di far la dicchiarazione quando gli fosse parso, e cosí serviva il nome di libertà nel concilio a coprir quello che da altri procedeva; imperoché li legati, mentre cosí dicevano, facevano insieme strette prattiche co' prelati piú congionti, acciò gli fosse interposta dilazione, cosí per portar questo particolare in fine del concilio, come per goder il beneficio del tempo, il qual facesse apertura a qualche modo meno pregiudiciale. Ma il conte, scoperte le prattiche, preparò una protestazione e ricercò gl'ambasciatori imperiali, francesi e di Portogallo di sottoscriverla, li quali l'essortarono a non far tanta instanza per allora; poiché avendo il cardinale Morone convenuto con l'imperatore che si sarebbe proveduto inanzi il fine del concilio, sin che non si trattava di questo, non sapevano come poter protestare di quell'altro. Et il cardinale Morone, per quietar il conte, mandò piú volte il Paleoto a negoziar con lui il modo come venir all'essecuzione della sua instanza; il quale non era ben inteso manco da lui medesimo; imperoché né egli averebbe voluto che fosse fatto pregiudicio a' decreti passati, e con questa condizione era difficil cosa trovarci temperamento. Finalmente diedero parola li legati al conte che nella prossima sessione si farebbe la dicchiarazione, purché si trovasse modo che dasse sodisfazzione a' padri.

Andato a Roma l'aviso della protesta dell'ambasciator francese, commosse maravigliosamente il pontefice e tutta la corte, quali credettero che studiosamente fosse fatta per trovar occasione di dissolver il concilio et imputarlo a loro. Ma sopra tutto si doleva il pontefice che, mentre il re gli dimandava grazia e concessione de' 100000 scudi d'entrata del clero in Francia, li suoi ambasciatori in faccia di tutto 'l concilio dicessero che poteva pigliargli senza di lui. E maggior molestia diede al cardinale di Lorena, il quale l'ebbe per un grand'attraversamento alla negoziazione che trattava col pontefice. S'affaticò con grand'efficacia a mostrare che era accidente successo contra suo voler, il qual indubitatamente sarebbe stato divertito da lui, se si fosse trovato in Trento; che quella instruzzione mandata agl'ambasciatori era reliquia de' consegli presi vivendo ancora il re di Navarra e l'essecuzione procurata da' dependenti di quella fazzione, tra' quali il presidente Ferriero era uno; che quella fazzione, quantonque professasse la religione catolica in esterno, aveva però stretta intelligenzia con gl'ugonotti, li quali vorrebbono qualche dissoluzione del concilio, senza fine quieto, acciò che non si venisse ad anatematizargli; non però esser senza colpa ancora quelli che guidano li negozii in Trento, atteso che, inanzi la partita sua da quella città, le cose intorno quella materia erano accommodate in buon termine, avendo li legati promesso due cose con che gl'ambasciatori erano restati quieti: l'una, che non si sarebbe parlato de' re e prencipi supremi, ma solamente de certi signorotti, li quali non concedono a' vescovi nissun essercizio della giurisdizzione ecclesiastica; l'altra, che sarebbono eccettuate tutte le cose dependenti da grazie fatte dal papa, come indulti, privilegii e concessioni di quella Santa Sede; e con tutto ciò dopo la sua partita avevano dato a' padri la prima formula con le medesime cose che avevano promesso di levare. Certificava però che, tutto ciò non ostante, non sarebbe impedito il quieto fine del concilio, e promise che averebbe scritto al re e dolutosi delle cose fatte e procurato che gl'ambasciatori tornassero a Trento, il che sperava d'ottenere.

Scrisse per tanto secondo questo apontamento in Francia et agl'ambasciatori. A questi con dire che l'azzione loro aveva questa scusa, che ella era fatta; per tanto che continuassero per l'avvenire a far il debito loro et a non innovare cosa alcuna di piú. Al re scrisse che l'opposizione fatta dagl'ambasciatori gl'era parsa molto strana, e maggiormente che l'avessero fatta senza communicar con lui, e non vi eraraggione, né occasione di farla; che la sua assenza da Trento era stata la causa di quel male, perché gl'ambasciatori poco opportunamente avevano applicato un aspro rimedio ad un leggier male; che al suo ritorno al concilio egli averebbe proveduto con molta facilità; ma che non potendosi tornar indietro le cose fatte, pregava Sua Maestà a scriver agl'ambasciatori di continuar a far il debito loro et astenersi da' consegli violenti. Soggionse d'aver trovato il pontefice inclinato e ben disposto ad una santa e seria riforma della Chiesa; che la cristianità è ben felice d'aver un degno pastore, il qual rimandava lui a Trento cosí ben instrutto di tutte le sue sante intenzioni per metter fine e conclusione al concilio, in modo che si poteva sperar un felice successo; e perché nel fine del concilio li decreti doveranno esser sottoscritti da' padri e dagl'ambasciatori che hanno prestato l'assistenza per nome de' suoi prencipi, pregava Sua Maestà a far ritornar gl'ambasciatori, acciò fossero presenti e complissero a quello che era il complimento di tutti li favori fatti, e protezzione tenuta di quel concilio dalla Maestà Sua, dal fratello, dal padre, e dall'avo.

 

 




Precedente - Successivo

Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC
IntraText® (V89) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2008. Content in this page is licensed under a Creative Commons License