[L'ambasciator di Spagna rinnova
l'instanza del proporre i legati]
Ma mentre il concilio era tutto in moto
per questi dispareri, il conte di Luna, secondo il suo solito d'aggionger
sempre difficoltà a quelle che da altri erano proposte, fece instanza che si
levasse il «Proponentibus legatis». Cosa molto molesta a loro, che non sapevano
come contentarlo senza pregiudicio alle sessioni passate. Perché non solo la
revocazione, ma ogni modificazione o suspensione pareva una dicchiarazione che
le cose passate non fossero successe legitimamente. Ma l'ambasciator, non
vedendo espedizione sopra la dimanda tante volte fatta, diceva che sino allora
aveva negoziato modestamente, e sarebbe costretto mutar modo e tanto piú
parlava arditamente, quanto sapeva che il pontefice, per le sue instanze
passate, aveva scritto che si facesse quello che era conveniente, nel che la
Santità Sua si rimetteva in tutto e per tutto. Ma li legati, per liberarsi
dalle instanze dell'ambasciator, risposero che lasciavano in libertà del
concilio di far la dicchiarazione quando gli fosse parso, e cosí serviva il
nome di libertà nel concilio a coprir quello che da altri procedeva; imperoché
li legati, mentre cosí dicevano, facevano insieme strette prattiche co' prelati
piú congionti, acciò gli fosse interposta dilazione, cosí per portar questo
particolare in fine del concilio, come per goder il beneficio del tempo, il
qual facesse apertura a qualche modo meno pregiudiciale. Ma il conte, scoperte
le prattiche, preparò una protestazione e ricercò gl'ambasciatori imperiali,
francesi e di Portogallo di sottoscriverla, li quali l'essortarono a non far
tanta instanza per allora; poiché avendo il cardinale Morone convenuto con
l'imperatore che si sarebbe proveduto inanzi il fine del concilio, sin che non
si trattava di questo, non sapevano come poter protestare di quell'altro. Et il
cardinale Morone, per quietar il conte, mandò piú volte il Paleoto a negoziar
con lui il modo come venir all'essecuzione della sua instanza; il quale non era
ben inteso manco da lui medesimo; imperoché né egli averebbe voluto che fosse
fatto pregiudicio a' decreti passati, e con questa condizione era difficil cosa
trovarci temperamento. Finalmente diedero parola li legati al conte che nella
prossima sessione si farebbe la dicchiarazione, purché si trovasse modo che
dasse sodisfazzione a' padri.
Andato a Roma l'aviso della protesta
dell'ambasciator francese, commosse maravigliosamente il pontefice e tutta la
corte, quali credettero che studiosamente fosse fatta per trovar occasione di
dissolver il concilio et imputarlo a loro. Ma sopra tutto si doleva il
pontefice che, mentre il re gli dimandava grazia e concessione de' 100000 scudi
d'entrata del clero in Francia, li suoi ambasciatori in faccia di tutto 'l
concilio dicessero che poteva pigliargli senza di lui. E maggior molestia diede
al cardinale di Lorena, il quale l'ebbe per un grand'attraversamento alla
negoziazione che trattava col pontefice. S'affaticò con grand'efficacia a
mostrare che era accidente successo contra suo voler, il qual indubitatamente
sarebbe stato divertito da lui, se si fosse trovato in Trento; che quella
instruzzione mandata agl'ambasciatori era reliquia de' consegli presi vivendo
ancora il re di Navarra e l'essecuzione procurata da' dependenti di quella
fazzione, tra' quali il presidente Ferriero era uno; che quella fazzione,
quantonque professasse la religione catolica in esterno, aveva però stretta
intelligenzia con gl'ugonotti, li quali vorrebbono qualche dissoluzione del
concilio, senza fine quieto, acciò che non si venisse ad anatematizargli; non
però esser senza colpa ancora quelli che guidano li negozii in Trento, atteso
che, inanzi la partita sua da quella città, le cose intorno quella materia
erano accommodate in buon termine, avendo li legati promesso due cose con che
gl'ambasciatori erano restati quieti: l'una, che non si sarebbe parlato de' re
e prencipi supremi, ma solamente de certi signorotti, li quali non concedono a'
vescovi nissun essercizio della giurisdizzione ecclesiastica; l'altra, che
sarebbono eccettuate tutte le cose dependenti da grazie fatte dal papa, come
indulti, privilegii e concessioni di quella Santa Sede; e con tutto ciò dopo la
sua partita avevano dato a' padri la prima formula con le medesime cose che
avevano promesso di levare. Certificava però che, tutto ciò non ostante, non
sarebbe impedito il quieto fine del concilio, e promise che averebbe scritto al
re e dolutosi delle cose fatte e procurato che gl'ambasciatori tornassero a
Trento, il che sperava d'ottenere.
Scrisse per tanto secondo questo
apontamento in Francia et agl'ambasciatori. A questi con dire che l'azzione
loro aveva questa scusa, che ella era fatta; per tanto che continuassero per
l'avvenire a far il debito loro et a non innovare cosa alcuna di piú. Al re
scrisse che l'opposizione fatta dagl'ambasciatori gl'era parsa molto strana, e
maggiormente che l'avessero fatta senza communicar con lui, e non vi era né
raggione, né occasione di farla; che la sua assenza da Trento era stata la
causa di quel male, perché gl'ambasciatori poco opportunamente avevano
applicato un aspro rimedio ad un leggier male; che al suo ritorno al concilio
egli averebbe proveduto con molta facilità; ma che non potendosi tornar
indietro le cose fatte, pregava Sua Maestà a scriver agl'ambasciatori di
continuar a far il debito loro et astenersi da' consegli violenti. Soggionse
d'aver trovato il pontefice inclinato e ben disposto ad una santa e seria
riforma della Chiesa; che la cristianità è ben felice d'aver un sí degno
pastore, il qual rimandava lui a Trento cosí ben instrutto di tutte le sue
sante intenzioni per metter fine e conclusione al concilio, in modo che si
poteva sperar un felice successo; e perché nel fine del concilio li decreti
doveranno esser sottoscritti da' padri e dagl'ambasciatori che hanno prestato
l'assistenza per nome de' suoi prencipi, pregava Sua Maestà a far ritornar
gl'ambasciatori, acciò fossero presenti e complissero a quello che era il
complimento di tutti li favori fatti, e protezzione tenuta di quel concilio
dalla Maestà Sua, dal fratello, dal padre, e dall'avo.
|