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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro primo
    • [Lutero comparisce in Vormazia in dieta imperiale. Cesare proscrive Lutero]
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[Lutero comparisce in Vormazia in dieta imperiale. Cesare proscrive Lutero]

Con queste cose, essendo passato l'anno 1520, si celebrò in Germania la dieta di Vormazia del 1521, dove Lutero fu chiamato con salvocondotto di Carlo, eletto due anni inanzi imperatore, per render conto della sua dottrina. Egli era consigliato a non andarvi poiché già era publicata et affissa la sua condanna fatta da Leone, onde poteva esser certo di non riportare se non conferma della condannazione, se pur non gli fosse avvenuto cosa peggiore. Nondimeno, contra il parere di tutti gl'amici, sentendo egli in contrario, diceva che, se ben fosse certo d'aver contra tanti diavoli quanti coppi erano nelli tetti delle case di quella città, voleva andarvi, come fece.

Et in quel luogo ai 17 d'aprile, in presenza di Cesare e di tutto il convento de' principi, fu interrogato se egli era l'autore de libri che andavano fuora sotto suo nome, de' quali furono recitati i titoli e mostratigli gli essemplari posti in mezo del consesso, e se voleva difendere tutte le cose contenute in quelli o ritrattarne alcuna. Rispose, quanto alli libri, che li riconosceva per suoi, ma il risolversi di difendere o no le cose contenute in quelli essere di gran momento e pertanto avere bisogno di spazio per deliberare. Gli fu concesso tempo quel giorno per dar risposta il seguente. Il qual venuto, introdotto Martino nel consesso, fece una longa orazione: scusò prima la sua semplicità se, educato in vita privata e semplice, non aveva parlato secondo la dignità di quel consesso e dato a ciascuno i titoli convenienti; poi confermò di riconoscer per suoi i libri; e quanto al difenderli, disse che tutti non erano d'una sorte, ma alcuni contenevano dottrina della fede e pietà, altri riprendevano la dottrina de' pontificii, un terzo genere era delli scritti contenziosamente contra i defensori della contraria dottrina. Quanto alli primi, disse che, se li retrattasse, non farebbe cosa da cristiano e da uomo da bene; tanto piú, quanto per la medesima bolla di Leone, se ben tutti erano condannati, non però tutti erano giudicati cattivi. Quanto alli secondi, che era cosa pur troppo chiara che tutte le provincie cristiane, e la Germania massime, erano espilate e gemevano sotto la servitú; e però il retrattare le cose dette non sarebbe stato altro che confermare quella tirannide. Ma nelli libri del terzo genere confessò d'esser stato piú acre e veemente del dovere, scusandosi che non faceva professione di santità, né voleva defender i suoi costumi ma ben la dottrina; che era parato di dar conto a qualonque persona si volesse, offerendosi non esser ostinato, ma, quando li fosse mostrato qualche suo errore con la Scrittura in mano, era per gettar i suoi libri nel fuoco. Si voltò all'imperatore et alli prencipi dicendo esser gran dono di Dio quando vien manifestata la vera dottrina, come il ripudiarla è un tirarsi adosso causa d'estreme calamità.

Finita l'orazione fu, per ordine dell'imperatore, ricercato di piana e semplice risposta, se voleva difender o no i suoi scritti. Al che rispose di non poter revocar alcuna cosa delle scritte o insegnate, se non era convinto con le parole della Scrittura o con evidenti ragioni.

Le quali cose udite, Cesare fu risoluto, seguendo i vestigi de' suoi maggiori, difender la Chiesa romana et usar ogni rimedio per estinguer quell'incendio; non volendo però violar la fede data, ma passar al bando dopo che Martino fosse ritornato salvo a casa. Erano nel consesso alcuni che, approvando le cose fatte in Costanza, dicevano non doversi servar la fede; ma Lodovico, conte palatino elettore, si oppose come a cosa che dovesse cadere a perpetua ignominia del nome tedesco, esprimendo con sdegno esser intolerabile che, per servigio de' preti, la Germania dovesse tirarsi addosso l'infamia di mancar della publica fede. Erano anco alcuni, quali dicevano che non bisognava correr cosí facilmente alla condanna, per esser cosa di gran momento e che poteva apportar gran consequenze.

Fu ne' giorni seguenti trattato in presenza d'alcuni de' prencipi, et in particolar dell'arcivescovo di Treveri e di Gioachino, elettore di Brandeburg, e dette molte cose da Martino in difesa di quella dottrina e da altri contra, volendo indurlo che rimettesse ogni cosa al giudicio di Cesare e del consesso e della dieta, senza alcuna condizione. Ma dicendo egli che il profeta proibiva il confidarsi negli uomini, eziandio ne' prencipi, al giudicio de' quali nissuna cosa doveva esser manco permessa che la parola di Dio, fu in ultimo proposto che sottomettesse il tutto al giudicio del futuro concilio, al che egli acconsentí, con condizione che fossero cavati prima dai libri suoi gli articoli ch'egli intendeva sottoporre, e che di quelli non fosse fatta sentenzia se non secondo le Scritture. Ricercato finalmente che rimedii pareva a lui che si potessero usare in questa causa, rispose: quelli soli che da Gamaliele furono proposti agli ebrei; cioè, che se l'impresa era umana, sarebbe svanita, ma se da Dio veniva, era impossibile impedirla; e che tanto doveva anco sodisfar al pontefice romano, dovendo esser certi tutti, come egli ancora era, che se il suo dissegno non veniva da Dio, in breve tempo sarebbe andato in niente. Dalle quali cose non potendo esser rimosso e restando fermo nella sua risoluzione che non accettarebbe alcun giudicio se non sotto la regola della Scrittura, gli fu dato comiato e termine di 21 giorni per tornar a casa, con condizione che nel viaggio non predicasse, né scrivesse. Di che egli, avendone rese grazie, a 26 d'aprile si partí.

Dopo, Carlo imperatore, il giorno 8 di maggio, nel medesimo consesso di Vormazia, publicò un editto dove, avendo prenarrato che all'ufficio dell'imperatore tocca aggrandire la religione et estinguer l'eresie che incominciassero a nascere, passò a raccontare che frate Martino Lutero si sforzava di macchiare la Germania di quella peste, che, non ovviandosegli, tutta quella nazione era per cadere in una detestabile pernicie; che papa Leone l'aveva paternamente ammonito, e poi il consiglio di cardinali et altri uomini eccellenti avevano condannato i suoi scritti e dichiarato lui eretico, se fra certo termine non rivocava li errori; e di quella bolla della condanna ne aveva mandato copia ad esso imperatore, come protettor della Chiesa, per Girolamo Aleandro suo nuncio, ricercandolo che fosse esseguita nell'Imperio, regni, dominii e provincie sue. Ma che per ciò Martino non si era corretto, anzi alla giornata moltiplicava libri pieni non solo di nove eresie, ma ancora di già condannate da' sacri concilii, e non tanto in lingua latina, ma ancora in tedesca. E nominati poi in particolare molti errori suoi, conclude non vi esser alcuno scritto dove non sia qualche peste o aculeo mortale, che si può dir che ogni parola sia un veneno. Le quali cose considerate da esso imperatore e dalli consiglieri suoi di tutte le nazioni suddite a lui, insistendo ne' vestigii degl'imperatori romani suoi predecessori, avendo conferito in quel convento di Vormazia con gli elettori et ordini dell'Imperio, col consiglio loro e assenso, se bene non conveniva ascoltar un condannato dal sommo pontefice et ostinato nella sua perversità e notorio eretico, nondimeno, per levar ogni materia di cavillare, dicendo molti ch'era necessario udir l'uomo prima che venir all'essecuzione del decreto del pontefice, risolveva mandar a levarlo per uno di suoi araldi, non per conoscere e giudicare le cose della fede, il che s'aspetta al solo pontefice, ma per ridurlo alla dritta via con buone persuasioni. Passa poi a raccontare come Martino fu introdotto nel publico consesso, e quello di che fu interrogato e ciò che rispose, come di sopra è stato narrato, e come fu licenziato e partí.

Poi segue concludendo che pertanto, ad onor di Dio e riverenza del pontefice e per debito della dignità imperiale, con consiglio et assenso degl'elettori, prencipi e stati, esseguendo la sentenza e condanna del papa, dicchiara d'aver Martino Lutero per notorio eretico e determina che da tutti sia tenuto per tale, proibendo a tutti di riceverlo o difenderlo in qualunque modo, commandando sotto tutte le pene a li prencipi e stati che debbano, passato il termine delli 20 giorni, prenderlo e custodirlo e perseguitar ancora tutti i complici, aderenti e fautori suoi, spogliandoli di tutti i beni mobili et immobili. Commanda ancora che nissuno possi leggere o tenere i libri suoi, non ostante che vi fosse dentro alcuna cosa buona, ordinando tanto alli prencipi quanto agli altri che amministrano giustizia che gli abbruscino e destrugghino. E perché in alcuni luoghi sono composti e stampati libri estratti dalle opere di quello, e sono divulgate pitture et imagini in vergogna di molti, et anco del sommo pontefice, commanda che nissuno possi stamparne, dipingerne o tenerne, ma dalli magistrati siano prese et abbrusciate, e puniti i stampatori, compratori e venditori; aggiongendo una general legge che non possi essere stampato alcuno scritto dove si tratta cosa della fede, ben che minimo, senza volontà dell'ordinario.

 

 




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