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Paolo Sarpi Istoria del Concilio tridentino IntraText CT - Lettura del testo |
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[Il re di Francia procede all'alienazione de' beni ecclesiastici, et approva la protesta de' suoi ministri a Trento] In questi tempi, oltre l'aviso della sessione tenuta, erano arrivate in Francia tre nuove, ricevute con disgusto. Prima, la risposta del papa sopra gli 100.000 scudi d'entrata; poi, quella della protesta fatta in concilio e dell'alterazione ricevuta per quella a Trento et a Roma, e finalmente la sentenza contra li vescovi, con la citazione della regina di Navarra. Sopra le qual cose fecero li francesi gran reflesso: risolverono di non parlar piú col pontefice per aver grazia di quell'alienazione, ma mandar in essecuzione l'editto regio verificato dal parlamento senza altro consenso del papa; il che essendo esseguito con grandissima celerità, cosí perché gl'uomini non si risolvono facilmente a spender il danaro con prestezza, come per ufficii che gl'ecclesiastici facevano, mettendo in considerazione che li contratti ne' tempi seguenti non sarebbono stimati validi, mancando la conferma del papa, pochi compratori si trovarono; il che però non cesse né a beneficio del re, né a favor del clero, ma solo seguí che la vendita fu fatta a precio basso, né si cavò piú de doi millioni e mezo de franchi, somma molto picciola all'importanza delle cose alienate, poiché la vendita fu a 12 per 100 che sarebbe anco stato a precio vile, quando si fosse venduta a 24. Et è cosa degna che ne sia fatta memoria qui, che fra li beni alienati uno fu la giurisdizzione che l'arcivescovo di Lione aveva sin allora tenuto sopra quella città, la qual fu venduta all'incanto et applicata al re per 30000 lire de franchi, se ben per gl'indoglienze che il vescovo fece, gli fu poi aggionto per supplemento del precio un'entrata di 400 scudi. Intorno alla protestazione fatta in concilio, scrisse il re agl'ambasciatori suoi con lettere de' 9 novembre che, avendo veduto quello che il cardinal di Lorena gl'aveva scritto contra la loro protesta e la relazione del vescovo d'Orliens di tutte le cose fatte in Trento, aggradiva la protesta e la retirata loro a Venezia, commandava che Ferrier non si partisse di là sino a nuovo ordine suo, il qual sarebbe quando avesse aviso che gl'articoli fossero riformati in maniera che non fossero poste in controversia le sue raggioni regie e della Chiesa gallicana. Et al cardinal di Lorena scrisse che egli col suo conseglio avevano conosciuto li suoi ambasciatori aver fatto la protestazione con grande e giusta occasione: perché, sí come egli voleva perseverare nell'unione et obedienza della Chiesa, cosí voleva insieme inviolabilmente conservar le raggioni della sua corona, senza permetter che fossero rivocate in dubio né in disputa, né sottometter sé a mostrarle. Che non si pensasse di sodisfargli con dire in fine: salve e riservate le raggioni, volendo sotto questo colore obligarlo a farne constare, perché a questo si opponerà. Che quando esso cardinale averà veduto gl'articoli come furono proposti, giudicherà che gl'ambasciatori non potevano altramente fare che formar l'opposizione; che averebbe ben desiderato che gl'ambasciatori gliel'avessero mostrata prima, ma esser scusabili per l'occasione repentinamente nata e per le circonstanze che la produssero, e per i sospetti che constringevano a dubitare di qualche arteficio per precipitar la decisione. E se il papa non aveva intenzione che fossero toccate e messe in disputa le raggioni dell'imperatore e re, come il cardinal gli fa intendere, convien che la Sua Santità drizzi il suo dispiacere contra li legati, che hanno proposto gli articoli con nominar re, imperatore e republiche, e non contra gl'ambasciatori; che stima la protesta dover esser giustificata appresso tutta la cristianità, quando gl'articoli saranno veduti. Che avendo li legati proposti quegl'articoli contra l'intenzione di Sua Santità, non è da rimettersi piú alla loro discrezzione, né far tornar gl'ambasciatori, sin che non s'abbia intiera sicurezza che di quelli non s'abbia a parlar piú: che allora egli commanderà agl'ambasciatori di ritornar al concilio. Sopra la citazione e sentenza diede ordine il re a Enrico Clutin monsier d'Oisel, di parlar al pontefice e dirgli che la Maestà Sua aveva inteso con gran dispiacere quello che non credette per la fama sparsa, ma solo dopo, per aver visto copia de' monitorii affissi in Roma, che si avesse proceduto contra una regina in quella maniera; che egli era obligato a difenderla, prima, perché la causa et il pericolo di quella era commune a tutti li re, perciò tenuti ad aiutarla come in causa appartenente a tutti, ma tanto piú per esser vedova, e l'obligo d'esso re di Francia esser maggiore per il stretto parentado che ha con lei, per ambedue le linee, e per la agnazione col marito, il quale poco tempo inanzi era morto in guerra contra li protestanti, lasciati li figliuoli pupilli; perilché non poteva abbandonar la causa di quella, seguendo gl'essempii de' suoi maggiori, e massime che non debbia comportar che alcuno faccia guerra sotto pretesto di religione a' suoi vicini, aggiongendo che non era cosa pia metter in pericolo di crudelissima guerra per questa causa li regni di Spagna e di Francia, congionti novamente in amicizia. Aggionse ancora che, avendo quella regina molti feudi in Francia, per le raggioni e privilegii di quel regno non poteva esser costretta a comparer né in persona, né per procurator fuori. Soggionse molti essempi de prencipi e pontefici, che hanno proceduto con la debita e legitima moderazione. Toccò la forma della citazione per editto come cosa inaudita all'antichità et inventata da Bonifacio VIII, e come troppo dura et ingiusta, moderata da Clemente V nel concilio viennense; soggiongendo anco che in ogni evento non possono tal citazioni aver luogo se non contra gl'abitanti dove non è sicuro accesso, et abitando la regina in Francia, era grand'ingiuria fatta a lui et al regno l'usar tal modo; sí come anco con gran sua ingiuria esser che siano esposti in preda e concessi agl'occupatori li feudi che ella teneva in Francia, il dritto de' quali appartiene a lui; con maraveglia d'ognuno che la Santità Sua, la qual favorí cosí affettuosamente la causa d'Antonio re, quando viveva appresso il re di Spagna, ora vogli opprimer la prole e la vedova di quello. Ma sopra tutto si lamentò il re che, avendosi partito dalla Chiesa romana da 40 anni sino allora tanti re, prencipi e città, non si sia proceduto cosí con alcun altro; il che ben mostra che non sia stato fatto per la salute dell'anima della regina, ma per altri fini. Si raccordasse il pontefice che gli era concessa potestà per salute delle anime e non per privar li prencipi de' Stati, né per ordinar altra cosa nelle possessioni terrene; la qual cosa, tentata da loro altre volte in Germania, è successa con gran danno della quiete publica. Pregò il pontefice che rivocasse gl'atti intentati contra la regina, passando alle proteste che altramente si valerà de' rimedii usati da' suoi maggiori; si dolse ancora della causa de' vescovi, e commandò all'ambasciatore che, esplicati gl'essempii vecchi e narrate le libertà et immunità della Chiesa gallicana e l'autorità de' re nelle cause ecclesiastiche, pregasse il pontefice di non voler al presente far tante novità. Monsignor d'Oisel fece l'ufficio con veemenza e dopo molte trattazioni col pontefice, ottenne che non si parlò piú né della regina di Navarra, né de' vescovi.
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