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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro ottavo
    • [La riforma de' frati]
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[La riforma de' frati]

Furono ancora deputati, per riveder la riforma de' frati e monache, alquanti prelati oltra quelli che l'avevano composta, et insieme a loro aggionti li generali; nella qual congregazione altro non fu mutato se non che, essendo generalmente concesso nel terzo a tutti li monasterii de' regolari mendicanti di posseder beni immobili, se ben l'instituzione loro è contraria, fra Francesco Zamorra, general de' minori osservanti, fece instanza che l'ordine suo fosse eccettuato, allegando che intendeva di viver secondo la regola di san Francesco, dalla quale non era giusto essentar quelli che non lo dimandavano; e gli fu data sodisfazzione, eccettuando il suo ordine, e li capucini ancora, facendone instanza fra Tomaso di Castello, loro generale. Anco il general Lainez fece instanza che fusse eccettuata la compagnia de Giesú, dicendo che, quantonque li collegii, essendo deputati per trattenimento de' scolari non ancora fatti religiosi, possino goder beni stabili, però le case professe, nelle quali essenzialmente la società consiste, non possono viver se non di mendicità e senza possessione di qualsivoglia stabile. Fu facilmente compiacciuto, ma il giorno seguente ritornò e ricercò che fosse levata quell'eccezzione, dicendo che la società sua era per conservarsi perpetuamente nella pura mendicità nelle case professe, ma non si curava d'averne questo onor appresso il mondo, bastargli il merito appresso Dio, il qual sarà tanto maggiore, quanto, potendosi valer dell'abilità fatta dal concilio, non se ne valeranno mai. Questa deliberazione fu presa per commun risoluzione di tutti 4 li giesuiti che erano in concilio, proposta dal padre Torres, il qual disse che, cosí facendo, sarebbono stati in libertà di valersi o non valersi della concessione del concilio, secondo l'opportunità.

Nel decimoquinto capo era statuito che la professione non si facesse inanzi 18 anni finiti, et il noviziato durasse almeno 2 anni, in qualonque età il novizio fosse entrato; a che tutti li generali s'opposero, dicendo che non era giusto impedir l'ingresso della religione a nissun capace di conoscer quello che li voti regolari importano; che questa capacità era stata dalla Chiesa giudicata nel decimosesto anno in tempo che il mondo non era tanto svegliato, che ora piú tosto conveniva abbassar, che inalzar l'età: la qual raggione anco adoperavano contra il biennio del noviziato. In fine, poiché s'attendeva a dar sodisfazzione a tutti, deliberarono di sodisfar anco li generali e non innovar niente in questa parte.

Oltre li 22 capi, un altro vi era, nel quale si concedeva a' provinciali, generali e capi degl'ordini di poter scacciar fuori dell'ordine e privar dell'abito gl'incorrigibili; contra il quale Giovanni Antonio Facchinetto, vescovo di Nicastro, s'oppose acremente, con dire che la professione e l'atto d'admetter a quella sono un contratto scambievole e come un matrimonio, per quale il monasterio è obligato al professo et il professo al monasterio; e come questo non poteva partire, cosí quello non poteva scacciarlo, e che con quel decreto s'averebbe fatto che tutte le città sarebbono piene di frati espulsi con scandalo grave del secolo. In contrario l'arcivescovo di Rosano diceva non essere la relazione che tra il marito e moglie, ma quella che tra padre e figlio, et al figlio non esser mai lecito rifutar il padre, ma il padre poter emancipar il figlio, massime disobediente, et esser minor male veder nelle città frati espulsi che ne' monasteri incorrigibili. I generali non erano tutti d'un parere: li perpetui sentivano l'espulsione, li temporali volevano che fosse proibita. Ma secondo il costume della moltitudine quando delibera, inclinò la maggior parte a lasciar le cose nello stato che erano, e non decretare né per l'una né per l'altra parte. Ma in quella consulta fu spesse volte e da molti replicato che il popolo riceveva gran scandalo, vedendo uno portar l'abito da religioso piú anni e poi farsi secolare. Questo mise in campo la professione tacita, e fece entrar in trattazione se si dovesse decchiararla valida, come sin a quell'ora era stata, o pur decchiarare che nissuna professione astringa, se non l'espressa. Ebbe anco questo le sue difficoltà, per temperamento delle quali fu trovata questa risoluzione, che il prelato religioso, finito l'anno della probazione, fosse tenuto o licenziar il novizio, o admetter alla professione. E questo fu aggionto nel capo decimosesto come in luogo conveniente.

Il general Lainez commendò sommamente il decreto come necessario, ma ricercò che la sua società ne fosse eccettuata, allegando esser diversa la condizione di quella e d'altri ordini regolari: in quelli, per antichissima consuetudine et approbazione della Sede apostolica, aver luogo la professione tacita, che nella loro società è proibita; cessar la causa dello scandalo che può aver il popolo degl'altri, vedendogli in abito secolare dopo aver portato il religioso longamente, per non esser l'abito de' giesuiti distinto dal secolare; aver ancor la società sua confermazione dalla Sede apostolica che il superiore possi admetter alla professione dopo longo tempo, cosa che nissun regolare ha mai avuto. Tutti inclinarono a favorirlo con far l'eccezzione, nel distenderla quale il padre contese che le regole del parlar latino volevano che s'esprimesse per plurale, dicendo che «per queste cose la sinodo non intende alterar l'instituto de' giesuiti, ecc.», e non fu considerato che quel modo di parlar poteva riferirsi cosí a questo admetter o licenziar i novizzi in capo l'anno, come anco a tutto 'l contenuto nel capo decimosesto, et anco si potesse riferire tutte le cose contenute ne' 16 capi. Ma il padre si seppe valer della poca avvertenza degl'altri, giettando un fondamento, sopra quale li giesuiti seguenti potessero fabricare la singolarità che si vede nella società loro.

 

 




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