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Paolo Sarpi Istoria del Concilio tridentino IntraText CT - Lettura del testo |
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[La congregazione accetta i decreti formati et acconcia i contesi per ispedire] Con tutto ciò la mattina seguente li legati fecero la congregazione, nella quale furono letti li decreti del purgatorio e de' santi come erano stati formati dal cardinal varmiense et altri deputati; dopo, letta la riforma de' frati, il tutto approvato con grandissima brevità de voti e con pochissima contradizzione. Poi, letti li capi di riforma, nel primo, che de' costumi de' vescovi tratta, al passo dove si dice che «delle entrate della Chiesa non arrichiscano li parenti o famigliari», si diceva che «delle entrate della Chiesa, de' quali essi sono constituiti fedeli dispensatori per i poveri». Al qual ponto il vescovo di Sulmona s'oppose, con dire che, essendo divise per antico canone la porzioni de' poveri, della fabrica e della mensa episcopale, non era da dire che li vescovi et altri beneficiati fossero dispensatori, ma che come di parte loro propria erano patroni; non che spendendola male non incorressero peccato et indegnazione divina, sí come anco ogni altra persona, che spende male il suo proprio; ma se fossero dispensatori per li poveri, sarebbono obligati alla restituzione, cosa che non s'ha da dire. Vi furono discorsi assai, tenendo la maggiore parte che li beneficiati fossero li patroni de' frutti overo usufruttuarii, altri dicevano, come già l'ambasciatore francese nell'orazione, che sono usuarii. Alcuni defendevano le parole del decreto, che erano dispensatori, allegando il luogo dell'Evangelio del servo fedele e la dottrina di tutti li santi padri. Ma il dover venir al fine del concilio fece che si tralasciassero quelle parole, cioè «de' quali essi sono constituiti fedeli dispensatori verso li poveri», e col silenzio troncate tutte le difficoltà. Nel capo de' iuspatronati, gl'ambasciatori di Savoia e di Fiorenza fecero instanza che fossero eccettuati quelli de' loro prencipi, overo che non fossero eccettuati altri che l'imperatore et i re: gli fu data sodisfazzione con eccettuare, oltra l'imperatore, re overo possessori di regno, gl'altri grandi e supremi prencipi, che ne' loro dominii hanno potestà d'imperio. Nel rimanente fu proposto di legger in sessione tutti li decreti fatti sotto Paolo e Giulio per approvargli; al che fu ripugnato dal vescovo di Modena, dicendo che questo sarebbe stato un derogar l'autorità del concilio di quei tempi, quando le cose allora fatte avessero bisogno di nuova conferma de' padri, et era mostrar che questo con quello non fosse tutto uno, perché nissun mai conferma le cose proprie; dicendo altri che fosse necessario farlo a punto per questo, acciò non fosse levata a quelli l'autorità con dire che non sono dell'istesso concilio; e li medesimi francesi, quali altre volte con tanta instanza avevano ricchiesto che si decchiarasse il concilio esser nuovo e non continuato col precedente di Paolo e Giulio, piú degl'altri s'affaticavano acciò fosse levata ogni raggione di dubitare che tutti gli atti, dal 1545 sino al fine, non fossero d'una medesima sinodo: cosí avviene non solo nelle cose umane, ma anco in quelle della religione che, mutati gl'interessi, si muta la credulità. Mirando adonque tutti ad un istesso scopo, fu determinato semplicemente di leggergli et altro non dire, perché con questo si decchiarava apertissimamente l'unità del concilio e si levava la difficoltà che averebbe potuto portar l'usar parola di conferma; lasciando a ciascuno intendere come piú gli piacesse, se l'avergli letti portasse in consequenza avergli confermati, o pur decchiarati validi, o pur inferire che tutta è una sinodo quella che gli fece con quella che gl'ha letti. Fu finalmente proposto d'antecipar la sessione e celebrarla il dí seguente, e quando in quella non si potessero espedir tutte le azzioni, continuarla il giorno dopo, come tutt'una e licenziar li padri; et il giorno della dominica sottoscriver tutti gl'atti del concilio. A questo s'opposero 14 vescovi spagnuoli, dicendo che non era necessità d'abbreviar il tempo; con tutto ciò il cardinal Morone disse che la sessione si sarebbe fatta. Et il cardinal di Lorena con gl'ambasciatori cesarei rinovarono gl'ufficii con l'ambasciatore spagnuolo, che si contentasse di quello che con tanta concordia era deliberato; quale in fine, dopo molte cose dette e replicate, si contentò con due condizioni: l'una, che si decretasse che il papa provederebbe alle cose che restavano; l'altra, che nella trattazione delle indulgenze non si ponesse che fossero date gratis, né alcun'altra cosa la qual potesse far pregiudicio alle cruciate di Spagna.
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