[Giudicii sopra questo atto del papa]
Andò in stampa insieme co' decreti del
concilio l'atto consistoriale della conferma e la bolla; le qual cose diedero
da parlare, apparendo dal tenor di quelle che li decreti non avessero vigore
come statuiti dal concilio, ma solo per la confermazione; onde si diceva che
uno aveva veduto la causa e l'altro fatto la sentenza; né potersi dire che il
pontefice avesse prima veduto li decreti che confermatigli, poiché dall'atto
consistoriale appariva non aver veduto se non il decreto di chieder la
conferma; che almeno in Trento s'erano fatti legger li decreti fatti sotto
Paolo e Giulio, che piú conveniva che fossero confermati da chi gl'aveva uditi
che da chi non aveva inteso. Al che da altri veniva risposto non esservi stato
bisogno che il pontefice gli vedesse, non essendo stata fatta in Trento cosa se
non deliberata prima da lui. Per molti consistori seguenti parlò il pontefice
per osservazione de' decreti del concilio; disse che egli stesso voleva
osservargli, se ben non era obligato; diede parola di non derogarne mai, se non
per evidente et urgente causa e con consenso de' cardinali. Diede la cura a
Morone e Simoneta di star attenti se in consistoro fosse proposto o trattato
cosa alcuna contraria et avvertirnelo: rimedio molto lieve per ovviare le
transgressioni, perché, delle concessioni che si fanno in Roma, una centesima
parte non si spedisce in consistoro. Mandò li vescovi alla residenza et ordinò
di valersi nel governo della città di Roma e dello Stato ecclesiastico
dell'opera de' protonotarii e referendarii. Ma se ben il pontefice per il fine
del concilio fu liberato dalla gran molestia che sentiva, restarono però
reliquie in tutti li regni, che portavano nuove difficoltà.
Di Spagna s'ebbe aviso che il re aveva
sentito con dispiacere e risentimento il fine del concilio e che aveva
deliberato di congregar inanzi a sé li vescovi et agenti del clero di Spagna
per trovar modo come si doveva esseguire. E non fu l'aviso falso, perché non
solamente tutto quello che si fece in Spagna nel ricever et esseguir li decreti
del concilio in quell'anno, parte la primavera e parte l'autunno, fu per ordine
e deliberazione presa nel regio conseglio, ma alle sinodi che si fecero mandò
anco il re suoi presidenti, facendo proponer quello che a lui piacque e che
compliva per le cose sue; con molto disgusto del pontefice, al quale dispiaceva
che il re s'assumesse tanto sopra le cose ecclesiastiche, del che però non fece
alcuna dimostrazione co' ministri di quello, per il dissegno che aveva di
valersi di ciò in altra opportunità da lui dissegnata, della quale al suo luogo
si dirà.
In Francia, avendo il presidente Ferrier,
mentre stette in Venezia, fatto osservazioni sopra i decreti delle 2 ultime
sessioni celebrate dopo il partir suo e mandatole alla corte, il cardinal di
Lorena al suo arrivo ebbe molti assalti e riprensioni, come quello che aveva
assentito a cose pregiudiciali al regno. Dicevano che con le parole del primo
capo di riforma della penultima sessione, dicendosi che il papa ha la cura
della Chiesa universale, in latino: «sollicitudinem universæ Ecclesiæ», aveva
ceduto il ponto che egli e tutti li vescovi francesi avevano tanto tempo
combattuto e superato, acciò non fosse pregiudicato all'openione di Francia
della superiorità del concilio al papa. Che egli averebbe potuto con una minima
parola rimediar a questo, con far dire, come san Paolo disse, sollecitudine di
tutte le chiese, che nissun averebbe negato quel modo di parlar che san Paolo
usò; oltra che s'era fatto pregiudicio alla medesima openione della superiorità
del concilio col vigesimoprimo capo dell'ultima sessione, salvando in tutti li
decreti l'autorità della Sede apostolica, e con l'ultimo decreto di dimandar la
conferma al papa. Se gl'opponeva anco che, avendo contrastato il re e tutta la
Chiesa gallicana acciò quello fosse indizzione d'un nuovo concilio e non
continuazione, nondimeno s'era decchiarata continuazione e tutt'un concilio con
quello di Paolo e Giulio nel sudetto capo vigesimoprimo e nel decreto di
relegger le cose statuite sotto quei pontefici, con che s'era ceduto vilmente a
tutto quello che dal re era stato sostenuto 2 anni. Di piú dicevano che l'aver
approvato le cose fatte sotto Giulio era con disonore e pregiudicio della
protestazione fatta in quel tempo dal re Enrico II. Ma sopratutto riprendevano
che, essendosi fatta sotto Paolo e Giulio sempre onorata menzione speciale del
re Francesco I e del re Enrico II insieme con Carlo V, il cardinale non avesse
operato che de' medesimi si facesse memoria nelle acclamazioni, quando si fece
dell'istesso Carlo, e nominando l'imperatore vivente, secondo quegl'essempii
non avesse fatto nominar il re di Francia. Le altre cose il cardinal scusava
con dire di non aver potuto con 6 prelati che erano in compagnia sua solamente
impedir il consenso di piú di 200. Ma di quest'ultima opposizione non si poteva
scusare, se ben diceva che era per conservar la pace tra li 2 regni, essendogli
replicato che poteva ben lasciar il carico di far l'intonazione ad altri e non
esser egli l'autore di quel pregiudicio: e cosí si vede che spesse volte
gl'uomini vani, dove credono acquistar riputazione a minuto, la perdono in
grosso.
Ma li conseglieri di parlamento
ritrovarono ben molte altre cose che opponer a' capi di riforma in quelle 2
sessioni publicati, dove l'autorità ecclesiastica dicevano esser stata allargata
fuori de' termini, con intacco e diminuzione della temporale, con dar a'
vescovi potestà di proceder a pene pecuniarie et a prese di corpo contra li
laici. Perché da Cristo a' ministri suoi nissuna autorità era stata data, se
non pura e mera spirituale; che dopo essendo il clero fatto membro e parte
della polizia, li prencipi concessero per grazia a' vescovi di punir con pene
temporali li chierici inferiori, acciò fosse osservata tra loro la disciplina;
ma di poter usar tal sorte di pene contra laici non l'avevano né per legge
divina, né umana, anzi per sola usurpazione. E che nel capo del duello si
pretende di proceder contra imperatore, re et altri soprani che lo concedono
nelle loro terre, e questo sotto pena di scommunica, tenendo essi che in alcuni
casi il permetter duello non sia male, sí come anco il permetter il meretricio
et altri delitti, che, se ben mali, per publica utilità, a fine d'evitarne
maggiori, non è male permettergli; e questa potestà, che è naturale e data da
Dio a' prencipi, non può per alcuna potestà umana esser levata o ristretta. Lo
scommunicar anco re e prencipi supremi, lo stimavano intolerabile, avendo essi
per massima constante in Francia che il re non possi esser scommunicato, né
gl'ufficiali regii, per quel che tocca all'essecuzione del loro carico.
Aggiongevano appresso che il privar li prencipi de' Stati e gl'altri signori
de' feudi et a' privati confiscare beni erano tutte usurpazioni dell'autorità
temporale, non estendendosi l'autorità data da Cristo alla Chiesa a cose di
questa natura.
In quello che a' iuspatronati appartiene,
dicevano gran torto esser stato fatto a' secolari in difficoltargli le prove, e
tutto quel capo esser fondata sopra una falsa massima: che tutti li beneficii
siano liberi, se non si prova il patronato. Perché è certo in contrario che le
chiese non hanno beni temporali, se non dati da secolari, li quali non si debbe
presupponer che l'abbiano voluto conceder sí che potesse esser maneggiato e
dissipato ad arbitrio degl'ecclesiastici, onde dal suo principio ogni beneficio
era patronato e si doverrebbe presupponer tale, eccetto dove si potesse mostrar
donazione assoluta con cessione totale della patronia; e sí come la communità
overo il prencipe succedono a chi non ha altro erede, cosí tutti li beneficii
che non sono de iure patronatus d'alcuno, doverebbono esser sotto la
patronia publica. Alcuni anco d'essi si ridevano di quella forma di parlar che
li beneficii patronati fossero in servitú e gl'altri liberi, quasi che non sia
chiara servitú l'esser sotto la disposizione della corte romana, la qual gli
maneggia contra l'instituzione e fondazione, e non sotto la patronia de'
secolari che gli conservano. Oltra la censura d'alcuni decreti per la sudetta
causa, aggiongevano che altri erano contra le consuetudini et immunità della
Chiesa gallicana: la riservazione delle cause criminali gravi contra li vescovi
alla cognizione del solo pontefice dicevano levar la facoltà a' concilii
provinciali e nazionali, che sempre in ogni caso le avevano giudicate; e con gravar
essi vescovi, tirandogli a litigar fuori del regno, contra non solo il costume
di Francia, ma anco gl'antichi canoni de' concilii, che hanno voluto sempre
esser giudicate e terminate le cause nelle proprie reggioni. Aggiongevano esser
contra la giustizia e l'uso di Francia che li beneficii potessero esser gravati
di pensioni o riservazioni de frutti, come obliquamente era stato determinato.
Parimente non esser tolerabile che le cause di prima instanza dal papa
potessero esser levate fuori del regno, perché leva un antichissimo uso,
confermato con molte constituzioni regie; né potersi giustificare per
l'eccezzione d'urgente e raggionevol causa, avendo mostrato l'esperienza di
tutti li tempi che, con quel pretesto, si levano le cause tutte; e chi vuole disputare
se la causa sia urgente o raggionevole, entra in doppia spesa e difficoltà,
convenendogli litigar in Roma, non solo la causa principale, ma anco
quell'articolo. Non approvavano in modo alcuno che fosse concesso a' mendicanti
il posseder beni stabili, e dicevano che, essendo stati ricevuti in Francia con
quell'instituzione, non era giusto che fossero mantenuti se non in quel
medesimo stato; che questo è un perpetuo arteficio della corte romana di levar
di mano li beni a' secolari e tirargli nel clero e poi anco a Roma, facendo
prima che, col pretesto di voto di povertà, li monachi acquistino credito, come
che non mirino a nissuna cosa temporale, ma tutto facciano per carità a
servizio del popolo; dopoi, acquistato il credito, la corte gli dispensa dal voto,
onde facilmente arricchiscono e, fatti ben opulenti li monasterii, si mandano
in commenda, e finalmente tutto cola nella corte. A questo era aggionta
l'essortazione che nel duodecimo capo è fatta a tutti li fedeli di voler
largamente sovvenire a' vescovi e parochi de' proprii beni; buona essortazione,
quando servissero al popolo in quello che doverebbono e ne avessero bisogno:
cosí esser l'essortazione di san Paolo, che chi è instrutto nelle cose della
fede, faccia parte de' beni suoi a chi l'instruisce; ma quando chi porta il
nome di pastore attende ad ogni altra cosa che ad instruire il popolo,
l'essortazione non esser opportuna, e tanto piú quanto che per li tempi passati
i beni ecclesiastici erano per alimento de' poveri e per riscuoter schiavi; perilché
non solo si vendevano li beni stabili, ma gl'ornamenti anco della Chiesa e li
vasi sacri; ma in quei ultimi tempi aversi proibito il poterlo piú fare senza
il papa, il che ha arricchito il clero in immenso. Già nella legge mosaica
Iddio a' leviti, che erano la decimaterza parte del popolo, aver concesso la
decima, con proibizione però di poter acquistar altro di piú. Ma il clero, che
non è la cinquantesima parte, aver oramai acquistato non una decima, ma una
quarta parte e tuttavia andar acquistando con usare anco per ciò molti
arteficii. Già Moisè, avendo invitato il popolo ad offerir per la fabrica del
tabernacolo, quando fu offerto tanto che bastava, aver da parte di Dio proibito
che non si offerisse piú; ma qui non trovarsi termine se non quando averanno
acquistato tutto, se gl'uomini continueranno nel letargo. Esser vero che vi
sono de' preti e religiosi poveri; ma questo avvenire perché ve ne sono di
eccessivamente ricchi; un compartimento uguale gli farebbe abondantemente
ricchi tutti. E pur finalmente lasciate tutte queste cosí evidenti
considerazioni, quando il concilio essortasse il popolo a sovvenir li vescovi e
parochi poveri nelle loro necessità, averebbe del tolerabile; ma il dire di
sovvenirgli acciò possino sostener la degnità, che non vuole dir altro che il
fasto et il lusso, non esser altro che un aver perso afatto la vergogna. Vero è
che in cambio s'è fatto un decreto nel decimottavo capo a favor del popolo, che
le dispense siano date gratuitamente, ma poiché, essendo commandato da Cristo,
non se n'era potuto veder l'osservazione, non vi era speranza che questo
decreto dovesse far maggior frutto.
Le qual cose essendo opposte al cardinale
di Lorena, imputandogli che le avesse autorizate con la sua presenza contra
l'espresso commandamento fattogli dal re per lettere de' 28 agosto, delle quali
di sopra si è parlato, il cardinale si defendeva con una sola parola, dicendo
che nella congregazione de' 10 novembre, leggendosi li decreti per publicare
nella sessione degl'11, erano state riservate le raggioni et autorità del re di
Francia e li privilegii della Chiesa gallicana. Al che replicava monsignor le
Favre che da lui e dal collega era stata usata ogni diligenza per aver copia di
quel decreto, né mai l'avevano potuto aver, e che tanto era ne' negozii umani
non apparire, quanto non essere; oltra che quello non servirebbe niente alle
cose publicate nell'ultima sessione. Ma quello che si diceva ne' consegli del
re e del parlamento in materia del concilio si può dir che niente fosse
rispetto a quello che, con libertà francese, li vescovi e teologi et anco li
servidori loro narravano a ciascuno con ogni occasione, con farne derisorie,
raccontando le discordie e contenzioni fra li padri, le prattiche e
gl'interressi con che le cose della riformazione furono trattate, e piú
parlavano li piú famigliari del cardinale di Lorena; e passò per maniera di
proverbio in Francia che il concilio moderno era di maggior autorità che il
celebrato dagl'apostoli, essendo bastato a quello per fondamento de' decreti che
cosí fosse parso a loro, senza che vi avesse parte lo Spirito Santo.
Ma in Germania li decreti di riforma non
venivano in considerazione alcuna, né appresso protestanti, né appresso a'
catolici. Da' protestanti la materia di fede sola era essaminata. Dicevano che
l'aver detto già una sola parola incidentemente parlando della messa, che ella
giovava a' morti, la qual può anco ricever varii sensi, e nel decreto del
purgatorio portar la come una definizione d'articolo formato, non era cosa
solita usarsi ne' concilii, e massime in questo, dove le materie erano
sminucciate e fatti articoli di fede d'ogni questione che si può promover in
qualsivoglia materia. Ma il commandar a' vescovi di far insegnare la dottrina
sana del purgatorio, senza dicchiarare qual sia quella, mostrar bene che li
padri avevano gran fretta di partir da Trento; et aver mostrato maggior fretta
nella materia de' santi, avendo condannato undici articoli tutt'in un fiato et
in un periodo, senza dicchiarare che sorte di dannazione o come, di eresia o
per qual altra qualità; e dopo un longo discorso delle imagini, aver
anatematizato chi parla in contrario di quei decreti, senza lasciarsi intender
quali comprenda sotto quell'anatema, o gl'immediate precedenti che delle
imagini parlano, o pur gl'altri sopra scritti. Ma delle indulgenzie piú di
tutte le altre cose era raggionato che quelle diedero occasione alla presente
divisione tra cristiani, che per quelle principalmente era stato congregato il
concilio, che in quella materia non vi è parte alcuna che non sia controversa
et incerta anco appresso li scolastici; e tuttavia la sinodo abbia passato
senza dirne parola e senza dicchiarar alcuna delle cose dubie e controverse. E
per quello che tocca al rimedio degl'abusi, aver parlato in termini ambigui che
non lasciano intender quello che sia né approvato, né reprovato, mentre dice
desiderare una moderazione secondo la vecchia consuetudine approvata nella
Chiesa; imperoché è cosa certa e che non si può nasconder che nella Chiesa
orientale di qualonque nazione cristiana, né per li tempi passati, né per li
posteriori vi fu alcuno uso di indulgenzie di sorte veruna; e nell'occidentale,
se per vecchia consuetudine s'ha da intendere quella che si osservò inanzi
Urbano II sino al 1095, non si saprà dire né portar fede alcuna d'indulgenze
usate. E se da quel tempo sino all'anno 1300 se vedrà l'uso molto parco e
solamente per la liberazione delle pene imposte dal confessore. Dopo il qual
tempo si vede dal concilio viennese gl'abusi che s'introducevano, li quali sino
a Leone X crescettero in immenso; onde desiderando la sinodo veder restituita
la vecchia consuetudine approvata nella Chiesa, era necessario dicchiarare in
qual Chiesa et in qual tempo. Ma quelle parole «che con la troppo facilità
nella concessione delle indulgenze è snervata la disciplina ecclesiastica»,
dicevano esser una espressa confessione che non partengano alla conscienza, né
liberano da cosa alcuna appresso Dio, ma toccano il solo esterno, che è la
disciplina ecclesiastica. Della differenza de' cibi e de' degiuni dicevano che
il commendargli era cosa buona, ma non era deciso quello di che il mondo s'era
tanto lamentato, cioè che si pretendesse obligo di conscienza. I prencipi però
di Germania protestanti di questo concilio non tennero conto alcuno; solo
alcuni ministri della confessione augustana, pochi anco in numero, mandarono in
publico una protestazione, della quale fu fatta poca stima. I catolici a' dogmi
del purgatorio e delle indulgenze non pensavano; solo erano intenti ad
impetrare la communione del calice, il matrimonio de' preti e relassazione
nella moltiplicità de' precetti de iure positivo intorno a' digiuni,
feste et altre tal cose.
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