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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro ottavo
    • [Giudicii sopra questo atto del papa]
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[Giudicii sopra questo atto del papa]

Andò in stampa insieme co' decreti del concilio l'atto consistoriale della conferma e la bolla; le qual cose diedero da parlare, apparendo dal tenor di quelle che li decreti non avessero vigore come statuiti dal concilio, ma solo per la confermazione; onde si diceva che uno aveva veduto la causa e l'altro fatto la sentenza; né potersi dire che il pontefice avesse prima veduto li decreti che confermatigli, poiché dall'atto consistoriale appariva non aver veduto se non il decreto di chieder la conferma; che almeno in Trento s'erano fatti legger li decreti fatti sotto Paolo e Giulio, che piú conveniva che fossero confermati da chi gl'aveva uditi che da chi non aveva inteso. Al che da altri veniva risposto non esservi stato bisogno che il pontefice gli vedesse, non essendo stata fatta in Trento cosa se non deliberata prima da lui. Per molti consistori seguenti parlò il pontefice per osservazione de' decreti del concilio; disse che egli stesso voleva osservargli, se ben non era obligato; diede parola di non derogarne mai, se non per evidente et urgente causa e con consenso de' cardinali. Diede la cura a Morone e Simoneta di star attenti se in consistoro fosse proposto o trattato cosa alcuna contraria et avvertirnelo: rimedio molto lieve per ovviare le transgressioni, perché, delle concessioni che si fanno in Roma, una centesima parte non si spedisce in consistoro. Mandò li vescovi alla residenza et ordinò di valersi nel governo della città di Roma e dello Stato ecclesiastico dell'opera de' protonotarii e referendarii. Ma se ben il pontefice per il fine del concilio fu liberato dalla gran molestia che sentiva, restarono però reliquie in tutti li regni, che portavano nuove difficoltà.

Di Spagna s'ebbe aviso che il re aveva sentito con dispiacere e risentimento il fine del concilio e che aveva deliberato di congregar inanzi a sé li vescovi et agenti del clero di Spagna per trovar modo come si doveva esseguire. E non fu l'aviso falso, perché non solamente tutto quello che si fece in Spagna nel ricever et esseguir li decreti del concilio in quell'anno, parte la primavera e parte l'autunno, fu per ordine e deliberazione presa nel regio conseglio, ma alle sinodi che si fecero mandò anco il re suoi presidenti, facendo proponer quello che a lui piacque e che compliva per le cose sue; con molto disgusto del pontefice, al quale dispiaceva che il re s'assumesse tanto sopra le cose ecclesiastiche, del che però non fece alcuna dimostrazione co' ministri di quello, per il dissegno che aveva di valersi di ciò in altra opportunità da lui dissegnata, della quale al suo luogo si dirà.

In Francia, avendo il presidente Ferrier, mentre stette in Venezia, fatto osservazioni sopra i decreti delle 2 ultime sessioni celebrate dopo il partir suo e mandatole alla corte, il cardinal di Lorena al suo arrivo ebbe molti assalti e riprensioni, come quello che aveva assentito a cose pregiudiciali al regno. Dicevano che con le parole del primo capo di riforma della penultima sessione, dicendosi che il papa ha la cura della Chiesa universale, in latino: «sollicitudinem universæ Ecclesiæ», aveva ceduto il ponto che egli e tutti li vescovi francesi avevano tanto tempo combattuto e superato, acciò non fosse pregiudicato all'openione di Francia della superiorità del concilio al papa. Che egli averebbe potuto con una minima parola rimediar a questo, con far dire, come san Paolo disse, sollecitudine di tutte le chiese, che nissun averebbe negato quel modo di parlar che san Paolo usò; oltra che s'era fatto pregiudicio alla medesima openione della superiorità del concilio col vigesimoprimo capo dell'ultima sessione, salvando in tutti li decreti l'autorità della Sede apostolica, e con l'ultimo decreto di dimandar la conferma al papa. Se gl'opponeva anco che, avendo contrastato il re e tutta la Chiesa gallicana acciò quello fosse indizzione d'un nuovo concilio e non continuazione, nondimeno s'era decchiarata continuazione e tutt'un concilio con quello di Paolo e Giulio nel sudetto capo vigesimoprimo e nel decreto di relegger le cose statuite sotto quei pontefici, con che s'era ceduto vilmente a tutto quello che dal re era stato sostenuto 2 anni. Di piú dicevano che l'aver approvato le cose fatte sotto Giulio era con disonore e pregiudicio della protestazione fatta in quel tempo dal re Enrico II. Ma sopratutto riprendevano che, essendosi fatta sotto Paolo e Giulio sempre onorata menzione speciale del re Francesco I e del re Enrico II insieme con Carlo V, il cardinale non avesse operato che de' medesimi si facesse memoria nelle acclamazioni, quando si fece dell'istesso Carlo, e nominando l'imperatore vivente, secondo quegl'essempii non avesse fatto nominar il re di Francia. Le altre cose il cardinal scusava con dire di non aver potuto con 6 prelati che erano in compagnia sua solamente impedir il consenso di piú di 200. Ma di quest'ultima opposizione non si poteva scusare, se ben diceva che era per conservar la pace tra li 2 regni, essendogli replicato che poteva ben lasciar il carico di far l'intonazione ad altri e non esser egli l'autore di quel pregiudicio: e cosí si vede che spesse volte gl'uomini vani, dove credono acquistar riputazione a minuto, la perdono in grosso.

Ma li conseglieri di parlamento ritrovarono ben molte altre cose che opponer a' capi di riforma in quelle 2 sessioni publicati, dove l'autorità ecclesiastica dicevano esser stata allargata fuori de' termini, con intacco e diminuzione della temporale, con dar a' vescovi potestà di proceder a pene pecuniarie et a prese di corpo contra li laici. Perché da Cristo a' ministri suoi nissuna autorità era stata data, se non pura e mera spirituale; che dopo essendo il clero fatto membro e parte della polizia, li prencipi concessero per grazia a' vescovi di punir con pene temporali li chierici inferiori, acciò fosse osservata tra loro la disciplina; ma di poter usar tal sorte di pene contra laici non l'avevano né per legge divina, né umana, anzi per sola usurpazione. E che nel capo del duello si pretende di proceder contra imperatore, re et altri soprani che lo concedono nelle loro terre, e questo sotto pena di scommunica, tenendo essi che in alcuni casi il permetter duello non sia male, come anco il permetter il meretricio et altri delitti, che, se ben mali, per publica utilità, a fine d'evitarne maggiori, non è male permettergli; e questa potestà, che è naturale e data da Dio a' prencipi, non può per alcuna potestà umana esser levata o ristretta. Lo scommunicar anco re e prencipi supremi, lo stimavano intolerabile, avendo essi per massima constante in Francia che il re non possi esser scommunicato, né gl'ufficiali regii, per quel che tocca all'essecuzione del loro carico. Aggiongevano appresso che il privar li prencipi de' Stati e gl'altri signori de' feudi et a' privati confiscare beni erano tutte usurpazioni dell'autorità temporale, non estendendosi l'autorità data da Cristo alla Chiesa a cose di questa natura.

In quello che a' iuspatronati appartiene, dicevano gran torto esser stato fatto a' secolari in difficoltargli le prove, e tutto quel capo esser fondata sopra una falsa massima: che tutti li beneficii siano liberi, se non si prova il patronato. Perché è certo in contrario che le chiese non hanno beni temporali, se non dati da secolari, li quali non si debbe presupponer che l'abbiano voluto conceder che potesse esser maneggiato e dissipato ad arbitrio degl'ecclesiastici, onde dal suo principio ogni beneficio era patronato e si doverrebbe presupponer tale, eccetto dove si potesse mostrar donazione assoluta con cessione totale della patronia; e come la communità overo il prencipe succedono a chi non ha altro erede, cosí tutti li beneficii che non sono de iure patronatus d'alcuno, doverebbono esser sotto la patronia publica. Alcuni anco d'essi si ridevano di quella forma di parlar che li beneficii patronati fossero in servitú e gl'altri liberi, quasi che non sia chiara servitú l'esser sotto la disposizione della corte romana, la qual gli maneggia contra l'instituzione e fondazione, e non sotto la patronia de' secolari che gli conservano. Oltra la censura d'alcuni decreti per la sudetta causa, aggiongevano che altri erano contra le consuetudini et immunità della Chiesa gallicana: la riservazione delle cause criminali gravi contra li vescovi alla cognizione del solo pontefice dicevano levar la facoltà a' concilii provinciali e nazionali, che sempre in ogni caso le avevano giudicate; e con gravar essi vescovi, tirandogli a litigar fuori del regno, contra non solo il costume di Francia, ma anco gl'antichi canoni de' concilii, che hanno voluto sempre esser giudicate e terminate le cause nelle proprie reggioni. Aggiongevano esser contra la giustizia e l'uso di Francia che li beneficii potessero esser gravati di pensioni o riservazioni de frutti, come obliquamente era stato determinato. Parimente non esser tolerabile che le cause di prima instanza dal papa potessero esser levate fuori del regno, perché leva un antichissimo uso, confermato con molte constituzioni regie; né potersi giustificare per l'eccezzione d'urgente e raggionevol causa, avendo mostrato l'esperienza di tutti li tempi che, con quel pretesto, si levano le cause tutte; e chi vuole disputare se la causa sia urgente o raggionevole, entra in doppia spesa e difficoltà, convenendogli litigar in Roma, non solo la causa principale, ma anco quell'articolo. Non approvavano in modo alcuno che fosse concesso a' mendicanti il posseder beni stabili, e dicevano che, essendo stati ricevuti in Francia con quell'instituzione, non era giusto che fossero mantenuti se non in quel medesimo stato; che questo è un perpetuo arteficio della corte romana di levar di mano li beni a' secolari e tirargli nel clero e poi anco a Roma, facendo prima che, col pretesto di voto di povertà, li monachi acquistino credito, come che non mirino a nissuna cosa temporale, ma tutto facciano per carità a servizio del popolo; dopoi, acquistato il credito, la corte gli dispensa dal voto, onde facilmente arricchiscono e, fatti ben opulenti li monasterii, si mandano in commenda, e finalmente tutto cola nella corte. A questo era aggionta l'essortazione che nel duodecimo capo è fatta a tutti li fedeli di voler largamente sovvenire a' vescovi e parochi de' proprii beni; buona essortazione, quando servissero al popolo in quello che doverebbono e ne avessero bisogno: cosí esser l'essortazione di san Paolo, che chi è instrutto nelle cose della fede, faccia parte de' beni suoi a chi l'instruisce; ma quando chi porta il nome di pastore attende ad ogni altra cosa che ad instruire il popolo, l'essortazione non esser opportuna, e tanto piú quanto che per li tempi passati i beni ecclesiastici erano per alimento de' poveri e per riscuoter schiavi; perilché non solo si vendevano li beni stabili, ma gl'ornamenti anco della Chiesa e li vasi sacri; ma in quei ultimi tempi aversi proibito il poterlo piú fare senza il papa, il che ha arricchito il clero in immenso. Già nella legge mosaica Iddio a' leviti, che erano la decimaterza parte del popolo, aver concesso la decima, con proibizione però di poter acquistar altro di piú. Ma il clero, che non è la cinquantesima parte, aver oramai acquistato non una decima, ma una quarta parte e tuttavia andar acquistando con usare anco per ciò molti arteficii. Già Moisè, avendo invitato il popolo ad offerir per la fabrica del tabernacolo, quando fu offerto tanto che bastava, aver da parte di Dio proibito che non si offerisse piú; ma qui non trovarsi termine se non quando averanno acquistato tutto, se gl'uomini continueranno nel letargo. Esser vero che vi sono de' preti e religiosi poveri; ma questo avvenire perché ve ne sono di eccessivamente ricchi; un compartimento uguale gli farebbe abondantemente ricchi tutti. E pur finalmente lasciate tutte queste cosí evidenti considerazioni, quando il concilio essortasse il popolo a sovvenir li vescovi e parochi poveri nelle loro necessità, averebbe del tolerabile; ma il dire di sovvenirgli acciò possino sostener la degnità, che non vuole dir altro che il fasto et il lusso, non esser altro che un aver perso afatto la vergogna. Vero è che in cambio s'è fatto un decreto nel decimottavo capo a favor del popolo, che le dispense siano date gratuitamente, ma poiché, essendo commandato da Cristo, non se n'era potuto veder l'osservazione, non vi era speranza che questo decreto dovesse far maggior frutto.

Le qual cose essendo opposte al cardinale di Lorena, imputandogli che le avesse autorizate con la sua presenza contra l'espresso commandamento fattogli dal re per lettere de' 28 agosto, delle quali di sopra si è parlato, il cardinale si defendeva con una sola parola, dicendo che nella congregazione de' 10 novembre, leggendosi li decreti per publicare nella sessione degl'11, erano state riservate le raggioni et autorità del re di Francia e li privilegii della Chiesa gallicana. Al che replicava monsignor le Favre che da lui e dal collega era stata usata ogni diligenza per aver copia di quel decreto, né mai l'avevano potuto aver, e che tanto era ne' negozii umani non apparire, quanto non essere; oltra che quello non servirebbe niente alle cose publicate nell'ultima sessione. Ma quello che si diceva ne' consegli del re e del parlamento in materia del concilio si può dir che niente fosse rispetto a quello che, con libertà francese, li vescovi e teologi et anco li servidori loro narravano a ciascuno con ogni occasione, con farne derisorie, raccontando le discordie e contenzioni fra li padri, le prattiche e gl'interressi con che le cose della riformazione furono trattate, e piú parlavano li piú famigliari del cardinale di Lorena; e passò per maniera di proverbio in Francia che il concilio moderno era di maggior autorità che il celebrato dagl'apostoli, essendo bastato a quello per fondamento de' decreti che cosí fosse parso a loro, senza che vi avesse parte lo Spirito Santo.

Ma in Germania li decreti di riforma non venivano in considerazione alcuna, né appresso protestanti, né appresso a' catolici. Da' protestanti la materia di fede sola era essaminata. Dicevano che l'aver detto già una sola parola incidentemente parlando della messa, che ella giovava a' morti, la qual può anco ricever varii sensi, e nel decreto del purgatorio portar la come una definizione d'articolo formato, non era cosa solita usarsi ne' concilii, e massime in questo, dove le materie erano sminucciate e fatti articoli di fede d'ogni questione che si può promover in qualsivoglia materia. Ma il commandar a' vescovi di far insegnare la dottrina sana del purgatorio, senza dicchiarare qual sia quella, mostrar bene che li padri avevano gran fretta di partir da Trento; et aver mostrato maggior fretta nella materia de' santi, avendo condannato undici articoli tutt'in un fiato et in un periodo, senza dicchiarare che sorte di dannazione o come, di eresia o per qual altra qualità; e dopo un longo discorso delle imagini, aver anatematizato chi parla in contrario di quei decreti, senza lasciarsi intender quali comprenda sotto quell'anatema, o gl'immediate precedenti che delle imagini parlano, o pur gl'altri sopra scritti. Ma delle indulgenzie piú di tutte le altre cose era raggionato che quelle diedero occasione alla presente divisione tra cristiani, che per quelle principalmente era stato congregato il concilio, che in quella materia non vi è parte alcuna che non sia controversa et incerta anco appresso li scolastici; e tuttavia la sinodo abbia passato senza dirne parola e senza dicchiarar alcuna delle cose dubie e controverse. E per quello che tocca al rimedio degl'abusi, aver parlato in termini ambigui che non lasciano intender quello che sia né approvato, né reprovato, mentre dice desiderare una moderazione secondo la vecchia consuetudine approvata nella Chiesa; imperoché è cosa certa e che non si può nasconder che nella Chiesa orientale di qualonque nazione cristiana, né per li tempi passati, né per li posteriori vi fu alcuno uso di indulgenzie di sorte veruna; e nell'occidentale, se per vecchia consuetudine s'ha da intendere quella che si osservò inanzi Urbano II sino al 1095, non si saprà direportar fede alcuna d'indulgenze usate. E se da quel tempo sino all'anno 1300 se vedrà l'uso molto parco e solamente per la liberazione delle pene imposte dal confessore. Dopo il qual tempo si vede dal concilio viennese gl'abusi che s'introducevano, li quali sino a Leone X crescettero in immenso; onde desiderando la sinodo veder restituita la vecchia consuetudine approvata nella Chiesa, era necessario dicchiarare in qual Chiesa et in qual tempo. Ma quelle parole «che con la troppo facilità nella concessione delle indulgenze è snervata la disciplina ecclesiastica», dicevano esser una espressa confessione che non partengano alla conscienza, né liberano da cosa alcuna appresso Dio, ma toccano il solo esterno, che è la disciplina ecclesiastica. Della differenza de' cibi e de' degiuni dicevano che il commendargli era cosa buona, ma non era deciso quello di che il mondo s'era tanto lamentato, cioè che si pretendesse obligo di conscienza. I prencipi però di Germania protestanti di questo concilio non tennero conto alcuno; solo alcuni ministri della confessione augustana, pochi anco in numero, mandarono in publico una protestazione, della quale fu fatta poca stima. I catolici a' dogmi del purgatorio e delle indulgenze non pensavano; solo erano intenti ad impetrare la communione del calice, il matrimonio de' preti e relassazione nella moltiplicità de' precetti de iure positivo intorno a' digiuni, feste et altre tal cose.

 

 




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