[Cesare e Baviera dimandano il calice e
'l matrimonio de' preti]
A' quali per dar sodisfazzione,
l'imperatore et il duca di Baviera fecero instanza appresso il pontefice.
Scrisse l'imperatore lettere alla Santità Sua sotto il 14 febraro con dire che
durante il concilio s'era affaticato per ottenere la concessione del calice,
non per interressi privati, né per scropoli di conscienza che egli avesse, ma
perché credette e tuttavia credeva che fosse necessaria per ridur alla Chiesa
li sviati. Che tolerò allora gl'impedimenti fraposti per trattarne co'
principali prelati e prencipi dell'Imperio, con quali avendo conferito se fosse
ispediente far altra instanza per la medesima ricchiesta, essi lodarono che ne
trattasse di nuovo con Sua Santità. Perilché raccordandosi quello che i
cardinali Morone e Lorena gl'avevano fatto dire e gl'era confermato dal vescovo
di Liesina, noncio per nome di Sua Santità, non voleva differir piú a
dimandargli la grazia, senza replicar piú le gravissime cause che lo
constringevano, instando che vogli aiutar la nazione germanica, alla quale
tutti li catolici prudenti giudicano che la concessione sarà di gran beneficio;
aggiongendo che, per conservar le reliquie della religione nell'Imperio e per
estirpar le eresie, apporterà gran momento il conceder che quei sacerdoti, che
per maritarsi sono separati, possino esser riconciliati, ritenute le mogli, e
che all'avvenire, dove non vi sono preti a sufficienza, siano ammessi al
sacerdozio maritati di buona vita e fama; di che lo pregava per nome proprio e
del duca di Baviera, suo genero, accertandolo che farebbe cosa degna della
pietà sua et a lui gratissima.
Le lettere del duca di Baviera contenevano
che, avendo piú volte mandato alla Santità Sua, esponendo il miserabil stato
della Germania nelle cose della religione, sperava di non aver a desiderar
longamente la medicina, la qual non vedendo posta sino allora, egli, insieme
con la Maestà cesarea e gl'elettori ecclesiastici, la pregava di conceder
all'arcivescovo di Salzburg di poter dispensar li preti catolici a ministrar il
calice a' confessi e contriti e che credono gl'altri articoli della religione;
la qual concessione satisfarrebbe a' sudditi suoi abitanti nello Stato, et anco
a quelli che escono fuori del suo dominio per cercar chi glie lo ministri; che
egli sempre si contenterà d'una specie, né mai sforzerà all'uso del calice
quelli che si contenteranno come lui della sola specie del pane: per li quali
non dimanda niente, ma ben gli pare che non sia inconveniente al vicario di
Cristo aver misericordia anco degl'altri. Pregò ancora Sua Santità che almeno per
qualche tempo concedesse che si potessero reconciliar alla Chiesa li sacerdoti
maritati, ritenendo le loro mogli, et ordinar anco de' maritati.
A queste lettere era aggionta una remostranza
o considerazione composta da' teologi catolici di Germania, nella quale si
diceva: esser cosa chiara che la Scrittura del Nuovo e Vecchio Testamento
permette le mogli a' sacerdoti, perché gl'apostoli, eccettuati forse pochi,
furono maritati, né si trova che Cristo, dopo la vocazione gl'abbia fatto
separar dalle mogli. Che nella Chiesa primitiva, cosí orientale come
occidentale, li matrimonii de' sacerdoti furono liberi e leciti sino a papa
Calisto; che le leggi civili non condannano il matrimonio de' chierici; esser
anco certo che il celibato nel clero è migliore e piú desiderabile, ma per la
fragilità della natura e per la difficoltà del servar la continenza pochi si
trovano che non sentino li stimoli carnali. Però narra Eusebio che Dionisio di Corinto
ammoní Pinito vescovo che tenesse conto della debolezza della maggior parte e
non ponesse il peso del celibato sopra li fratelli. E Pafnuzio, nel concilio
niceno, dicendo che l'uso della propria moglie era castità, persuase il
concilio a non imporre legge di celibato. E la sesta sinodo constantinopolitana
non proibí l'uso delle mogli se non nel tempo che avevano ad offerir
sacrificio. Che se mai vi fu causa di permetter a' chierici il matrimonio era
in quel secolo, che di cinquanta sacerdoti catolici, a pena se ne trova uno che
non sia notorio fornicario. Che non tanto li sacerdoti desiderano il
matrimonio, ma li secolari ancora, per non veder quella bruttezza di vita, e li
patroni delle chiese non vogliono dar li beneficii se non a' maritati. Che vi è
gran mancamento de ministri per la sola proibizione del matrimonio. Che la
Chiesa altre volte, per questa stessa causa, ha relasciato la severità de'
canoni. Che il pontefice confermò un vescovo in Saragosa con moglie e
figliuoli, et un diacono bigamo, e commise il sacramento della confermazione a
semplici preti in mancamento di vescovo; perilché a molti catolici, e già et
allora, pareva meglio dispensar la legge della continenza che, col ritenerla,
aprir la fenestra ad un immondissimo celibato, lasciando in libertà il
matrimonio; massime che il cardinal panormitano tiene che il celibato non sia
di sustanza dell'ordine, né de iure divino, e che sarebbe per la salute
delle anime conceder il matrimonio, et esservene essempii della Chiesa vecchia,
nel concilio ancirano, e di Adam et Eupsichio cesariense, preti; esser cosa
certa che il papa può dispensar quanto a' sacerdoti secolari; il che alcuni
anco estendono a' regolari. Che par grand'assordità non admetter chierici
ammogliati e tolerar li fornicarii; et il voler rimover ambidoi esser un voler
restar senza ministri, e volendo astringergli al voto di castità non
bisognerebbe ordinar se non vecchi. Non esser buona raggione ritener co' denti
il celebato per conservar li beni ecclesiastici, non essendo giusto per beni
temporali far tanta iattura delle anime. Oltre che se vi potrebbe proveder per
altra maniera; che se questo si facesse, sarebbe espulso dalla Chiesa il
concubinato e levato lo scandalo che offende molti.
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