[Adriano VI pensa a' rimedii alle
novità, cominciando per una leggera riforma in Roma]
Ritrovò Adriano tutta Italia in moto per
la guerra tra Cesare et il re di Francia, la Sede apostolica immersa in guerra
particolare con li duchi di Ferrara et Urbino, Arimini nuovamente occupato da
Malatesti, i cardinali divisi e diffidenti, l'assedio posto da turchi all'isola
di Rodi, tutte le terre della Chiesa essauste et in estrema confusione per 8
mesi di anarchia; nondimeno applicò principalmente il pensiero a componere le
discordie della religione in Germania, e come quello ch'era dalla fanciullezza
nodrito, allevato et abituato nelli studii della scolastica teologia, teneva
quelle opinioni per cosí chiare et evidenti, che non credeva poter cadere il
contrario in animo d'alcun uomo ragionevole. Perilché non dava altro titolo
alla dottrina di Lutero, se non d'insipida, pazza et irragionevole, e giudicava
che nissuna persona, se non qualche pochi sciocchi, la credessero, e che il
seguito che Martino aveva fosse di persone che in sua conscienzia tenessero per
indubitate l'opinioni romane, fingendo altrimenti, irritati dalle oppressioni.
E però essere cosa facilissima estinguere quella dottrina, che non era fondata
salvo che sopra gl'interessi; onde pensava che col dare qualche sodisfazzione,
facilmente si risanarebbe quel corpo, quale piú tosto faceva sembiante d'essere
infermo che in verità lo fosse. E per esser egli nativo d'Utrech, città di
Germania inferiore, sperava che tutta la nazione dovesse facilmente porger
orecchie alle proposte sue et interessarsi anco a sostenere l'autorità sua,
come d'uomo germano e per tanto sincero, che non trattasse con arti e per fini occulti.
E tenendo per fermo ch'importasse molto l'usare celerità, deliberò far la prima
proposizione nella dieta che si preparava a Noremberg: la quale, acciò fosse
gratamente udita e le sue promesse fossero stimate reali, inanzi che trattar
cosa alcuna con essi loro, pensava necessario dar saggio con principio di
reforma, levando li abusi stati causa delle dissensioni. A questo effetto
chiamò a Roma Giovanni Pietro Caraffa, arcivescovo di Chieti, e Marcello Cazele
gaetano, uomini stimati di bontà e costumi irreprensibili, e molto periti delle
cose spettanti alla vera disciplina ecclesiastica, acciò col consiglio loro e
delli cardinali piú suoi confidenti trovasse qualche medicina alle piú
importanti corrutele: tra quali prima si rappresentava la prodigalità delle
indulgenze, per aver ella aperta la via al credito acquistato da' nuovi
predicatori in Germania.
Il pontefice, come teologo che già aveva
scritto questa materia prima che mai Lutero pensasse di trattarla, era in
parere di stabilire per decreto apostolico e come papa quella dottrina che,
come privato, aveva insegnata e scritta: cioè che, concessa indulgenza a chi
farà una tal pia opera, è possibile che da alcuno l'opera sia esseguita in
tanta perfezzione che conseguisca l'indulgenza; se però l'opera manca di quella
essattezza, l'operante non ottiene quella indulgenza tutta, ma solo tanta parte
che a proporzione corrisponda all'opera imperfetta. Riputava il pontefice che
in questa maniera non solo fosse proveduto per l'avvenire ad ogni scandalo, ma
anco rimediato alli passati; poiché potendo ogni minima opera essere cosí ben
qualificata di circostanze che meriti ogni gran premio, restava risoluta
l'obiezzione fatta da Lutero, come per l'oblazione d'un danaro s'acquistasse un
tanto tesoro; e poiché per difetto dell'opera, chi non guadagna tutta
l'indulgenza, ne ottiene però una parte proporzionata, non si ritiravano i
fedeli dal cercare l'indulgenze.
|