[Adriano, perplesso, è raffermato dal
cardinal Soderini]
Penetrarono queste ragioni nell'animo
d'Adriano e lo resero incerto di quello che dovesse fare, e tanto piú
perplesso, quanto non trovava minor difficoltà nelle altre cose che s'era proposto
in animo di riformare. Nella materia delle dispense matrimoniali, il levar
molte delle proibizioni di contrattare matrimonio tra certo genere di persone,
che parevano superflue e difficili da osservare, a che egli molto inclinava e
sarebbe stato gran sollevamento al popolo, era biasimato da molti come cosa che
ralentasse il nervo della disciplina; il continuarle prestava materia alli
luterani di dire ch'erano per trar danari. Il restringer le dispense ad alcune
qualità di persone era un dare nova materia di querimonie alli pretendenti che
nelle cose spirituali et in quello che al ministerio di Cristo appartiene non
vi sia differenzia alcuna di persone. Il levare le spese pecuniarie per queste
cose non si poteva fare senza ricomprare gli ufficii venduti da Leone, li
compratori de' quali traevano emolumenti da questo. Il che anco impediva da
levare i regressi, accessi, coadiutorie et altri modi usati nelle collazioni
de' beneficii, che avevano apparenza (se, piú veramente, non si deve dir
essenza) di simonia. Il ricomprare gli ufficii era cosa impossibile, attese le
gran spese ch'era convenuto fare e tuttavia continuare. E quel che piú di tutto
gli confondeva l'animo era che quando aveva deliberato di levare qualche abuso,
non mancava chi con qualche colorata apparenza pigliava a sostenere che fosse
cosa buona o necessaria. In queste ambiguità afflisse il pontefice l'animo suo
sino al novembre, desideroso pure di fare qualche notabile provisione che
potesse dar al mondo saggio dell'animo suo, risoluto a porgere rimedio a tutti
gli abusi prima che incomminciare a trattar in Germania.
In fine lo fermò e fece venir a
risoluzione Francesco Soderino, cardinale prenestino, chiamato di Volterra,
allora suo confidentissimo, se bene doppo entrò cosí inanzi nella disgrazia sua
che lo fece anco impriggionare. Questo cardinale, versatissimo nelli maneggi
civili et adoperato nelli pontificati d'Alessandro, Giulio e Leone, pieni di
varii et importanti accidenti, in ogni ragionamento col pontefice andava
gettando parole che potessero instruirlo: li commendava la bontà et ingenuità
sua e l'animo inclinato alla riforma della Chiesa et all'estirpazione
dell'eresie; aggiongendo però che non poteva avere laude della sola buona
intenzione, insufficiente da se stessa per far il bene, se non vi s'aggiongesse
un'essatta elezzione de' mezzi opportuni et un'essecuzione maneggiata con somma
circonspezzione. Ma quando lo vidde costretto dall'angustia del tempo a
risolversi, li disse non esservi speranza di confondere et estirpare i luterani
con la correzzione de' costumi della corte; anzi questo esser un mezo
d'aummentare a loro molto piú il credito. Imperoché la plebe, che sempre
giudica dalli eventi, quando per l'emenda seguita restarà certificata che con
ragione il governo pontificio era ripreso in qualche parte, si persuaderà
similmente ch'anco l'altre novità proposte abbiano buoni fondamenti, e gli
eresiarchi, vedendo d'averla vinta in una parte, non cesseranno di riprendere
l'altre. In tutte le cose umane avvenire che il ricevere sodisfazzione in
alcune ricchieste dà pretensione di procacciarne altre e di stimare che siano
dovute; che leggendo le passate istorie, dai tempi che sono state eresie contra
l'autorità della Chiesa romana, si vedrà tutte aver preso pretesto dalli
costumi corrotti della corte. Con tutto ciò mai nissuno pontefice riputò utile
mezo il riformarli, ma sí bene, doppo usate le ammonizioni et instruzzioni,
indurre i prencipi a proteggere la Chiesa. Quello che per il passato è
riuscito, doversi tenere et osservar sempre: nissuna cosa far perire un governo
maggiormente che il mutar i modi di reggerlo; l'aprire vie nuove e non usate
esser un esporsi a gravi pericoli e sicurissima cosa essere caminare per i
vestigii de' santi pontefici che sempre hanno avuto essito felice delle loro
imprese. Nissuno aver mai estinto l'eresie con le riforme, ma con le crucciate
e con eccitare i prencipi e popoli all'estirpazione di quelle. Si ricordasse
ch'Innocenzo III con tale mezo oppresse felicemente gli albigesi di Linguadoca
et i pontefici seguenti non con altri modi estinsero in altri luoghi i valdesi,
piccardi, poveri di Lione, arnaldisti, speronisti e patarini, sí che al
presente resta il solo nome. Non essere per mancare prencipi in Germania, i
quali (concedendo loro la Sede apostolica d'occupare lo Stato de' fautori de'
luterani) debbano avidamente ricevere la condizione, e facendo loro seguito de
popoli con le indulgenze e remissioni a chi anderà a quel soccorso. Li
considerò anco il cardinale che non era da pensare alli moti di religione in
Germania come se non vi fosse altro pericolo imminente alla Sede apostolica,
perché soprastava la guerra d'Italia, cosa di maggior pericolo, alla quale era
necessario applicare principalmente l'animo: nel maneggio della quale, se si
ritrovasse senza nervo, che è il danaro, potrebbe ricevere qualche notabil
incontro, e nissuna riforma potersi fare la quale non diminuisca notabilmente
l'entrate ecclesiastiche, le quali avendo 4 fonti, uno temporale, le rendite
dello Stato ecclesiastico, gli altri spirituali, l'indulgenze, le dispense e la
collazione de' beneficii, non si può otturar alcuno di questi, che le entrate
non restino troncate in un quarto.
Il papa, conferendo questi discorsi con
Gulielmo Encourt, che poi creò cardinale, e Teodorico Hezio, suoi familiari e
confidentissimi, affermava essere misera la condizione de' pontefici, poiché
vedeva chiaro che non potevano far ben neanco volendo e faticandosene, e
concluse che non era possibile inanzi l'espedizione che doveva far in Germania
mandar ad effetto alcun capo di riforma, e che bisognava che si contentassero
di credere alle sue promesse, le quali era risoluto di mantenere, quando anco
avesse dovuto ridursi senza alcun dominio temporale et anco alla vita
apostolica. Diede però stretta commissione ad ambidue, uno de' quali era
datario e l'altro secretario, che nella concessione delle indulgenze, nelle
dispense, ne' regressi e coadiutorie si usasse parcità, sin tanto che si
trovasse come regolarlo con legge e perpetua constituzione. Le quali cose avendo
io letto diffusamente narrate in un diario del vescovo di Fabriano, dove tenne
memoria delle cose notabili da lui vedute et udite, ho voluto riportarle qui
sommariamente, dovendo servir molto all'intelligenza delle cose che si diranno.
|