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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro primo
    • [I prencipi secolari formano lo scritto de' Cento gravami]
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[I prencipi secolari formano lo scritto de' Cento gravami]

I prencipi secolari poi a parte fecero una longa querela di ciò che pretendevano contra la corte romana e contra tutto l'ordine ecclesiastico, riducendola a 100 capi, che per ciò chiamarono centum gravamina. I quali, perché il noncio, col quale erano stati conferiti, si partí prima che fossero distesi, mandarono al pontefice con una protesta di non volerepotere tolerarli piú, e di essere dalla necessità et iniquità loro costretti a cercar di liberarsene con ogni industria e per le piú commode vie che potessero.

Longo sarebbe esprimer il contenuto, ma in somma si querelavano del pagamento per le dispense et assoluzioni, de' danari che si cavavano per l'indulgenze, delle liti che si tiravano in Roma, delle riservazioni de' beneficii et altri abusi di commende et annate, dell'essenzione degli ecclesiastici ne' delitti, delle scommuniche et interdetti ingiusti, delle cause laiche con diversi pretesti tirate all'ecclesiastico, delle gran spese nelle consecrazioni delle chiese e cimiteri, delle penitenze pecuniarie, delle spese per aver i sacramenti e la sepoltura. I quali tutti riducevano a tre principali capi: al metter in servitú i popoli, spogliarli de' danari et appropriarsi la giurisdizzione del magistrato secolare.

A 6 di marzo fu fatto il recesso con i precetti contenuti nella risposta al noncio, e fu poco dopo ogni cosa stampata, cosí il breve del papa, come anco l'instruzzione del noncio, le risposte e repliche con li 100 gravami furono divolgati per Germania e di passarono ad altri luoghi et anco a Roma. Dove la aperta confessione del pontefice, che della corte romana et ordine ecclesiastico venisse l'origine d'ogni male, non piacque e generalmente non fu grata ai prelati, parendo che fosse con troppo ignominia e che dovesse renderli piú odiosi al secolo e potesse esser causa anco di farli sprezzare dai popoli, anzi dovesse far i luterani piú audaci e petulanti. E sopra tutto premeva il vedere aperta una porta, dove per necessità sarebbe introdotta o la tanto aborrita moderazione de' commodi loro, overo convinta la incorrigibilità. E quelli che scusavano piú il pontefice, attribuivano alla poca cognizione sua dell'arti colle quali si mantiene la potenza pontificia e l'autorità della corte, fondate sopra la riputazione. Lodavano papa Leone di giudicio e prudenza, che seppe attribuir la mala opinione che la Germania aveva de' costumi curiali alla poca cognizione che di essa avevano. E però nella bolla contra Martino Lutero disse che se egli, essendo citato, fosse andato a Roma, non averebbe trovato nella corte gli abusi che si credeva.

Ma in Germania i mal affetti alla corte romana interpretavano quella candidezza in sinistro, dicendo che era una solita arte di confessar il male e prometterne il rimedio, senza alcun pensiero di effettuare cosa alcuna, per addormentar gli incauti, goder il beneficio del tempo e fra tanto, co 'l mezo delle prattiche co' prencipi, giustificarsi in modo che potessero meglio assoggettir i popoli e levarli il potersi opponer ai loro voleri e di parlare dei loro mancamenti. E perché diceva il pontefice che bisognava nel rimediare non tentar di proveder a tutto insieme, per il pericolo di causar mal maggiore, ma far le cose a passo a passo, se ne ridevano, soggiongendo che ben a passo a passo, ma in maniera che tra un passo e l'altro vi si fraponesse la distanza d'un secolo. Ma attesa la buona vita tenuta da Adriano inanzi il pontificato, cosí dopo assonto a vescovato et al cardinalato, come anco per inanzi, e la buona intenzione che si scopriva in tutte le sue azzioni, gli uomini pii interpretavano il tutto in buon senso, credendo veramente ch'egli confessasse gli errori per ingenuità e che fosse anco per porgervi rimedio piú presto di quello che prometteva. Né l'evento lasciò giudicar il contrario: perché non essendo la corte degna d'un tal pontefice, piacque a Dio che passasse all'altra vita quasi subito dopo ricevuta la relazione dal suo noncio di Noremberga. Perché a 13 septembre finí il corso de suoi anni.

Ma in Germania, quando fu publicato il decreto del recesso di Noremberga con li precetti sopra le prediche e stampe, dalla maggior parte non ne fu tenuto conto alcuno, ma gli interessati, cosí quelli che seguivano la Chiesa romana, come i luterani, l'intesero a loro favore: perché dicendosi che si tacessero le cose che potessero mover tumulti popolari, intendevano i catolici che si dovessero tacer le cose introdotte da Lutero nella dottrina e la riprensione degli abusi dell'ordine ecclesiastico, et i luterani dicevano esser stata mente della dieta che si dovessero tacer le difese degli abusi, per li quali il popolo si muoveva contra i predicatori quando udiva rappresentar cosí le cose cattive, come le buone; e quella parte del decreto che commandava di predicar l'Evangelio secondo la dottrina de' scrittori approvati dalla Chiesa, i catolici intendevano secondo la dottrina de' scolastici e degli ultimi postillatori delle Scritture, ma i luterani dicevano che s'intendeva de' santi padri, Ilario, Ambrosio, Agostino, Gieronimo et altri tali, interpretando anco che fosse loro lecito, per virtú dell'editto del recesso, continuar insegnando la loro dottrina sino al concilio; come i catolici intendevano che la mente della dieta fosse stata che si dovesse continuar nella dottrina della Chiesa romana. Onde pareva che l'editto, in luogo d'estinguer il fuogo delle controversie, l'accendesse maggiormente, e restava nelle pie menti il desiderio del concilio libero, al quale pareva che ambe le parti si sottomettessero, sperandosi che per quello dovesse seguir la liberazione da tanti mali.

 

 




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