[I prencipi secolari formano lo scritto
de' Cento gravami]
I prencipi secolari poi a parte fecero una
longa querela di ciò che pretendevano contra la corte romana e contra tutto
l'ordine ecclesiastico, riducendola a 100 capi, che per ciò chiamarono centum
gravamina. I quali, perché il noncio, col quale erano stati conferiti, si
partí prima che fossero distesi, mandarono al pontefice con una protesta di non
volere né potere tolerarli piú, e di essere dalla necessità et iniquità loro
costretti a cercar di liberarsene con ogni industria e per le piú commode vie
che potessero.
Longo sarebbe esprimer il contenuto, ma in
somma si querelavano del pagamento per le dispense et assoluzioni, de' danari
che si cavavano per l'indulgenze, delle liti che si tiravano in Roma, delle
riservazioni de' beneficii et altri abusi di commende et annate,
dell'essenzione degli ecclesiastici ne' delitti, delle scommuniche et
interdetti ingiusti, delle cause laiche con diversi pretesti tirate
all'ecclesiastico, delle gran spese nelle consecrazioni delle chiese e
cimiteri, delle penitenze pecuniarie, delle spese per aver i sacramenti e la
sepoltura. I quali tutti riducevano a tre principali capi: al metter in servitú
i popoli, spogliarli de' danari et appropriarsi la giurisdizzione del
magistrato secolare.
A 6 di marzo fu fatto il recesso con i precetti
contenuti nella risposta al noncio, e fu poco dopo ogni cosa stampata, cosí il
breve del papa, come anco l'instruzzione del noncio, le risposte e repliche con
li 100 gravami furono divolgati per Germania e di là passarono ad altri luoghi
et anco a Roma. Dove la aperta confessione del pontefice, che della corte
romana et ordine ecclesiastico venisse l'origine d'ogni male, non piacque e
generalmente non fu grata ai prelati, parendo che fosse con troppo ignominia e
che dovesse renderli piú odiosi al secolo e potesse esser causa anco di farli
sprezzare dai popoli, anzi dovesse far i luterani piú audaci e petulanti. E
sopra tutto premeva il vedere aperta una porta, dove per necessità sarebbe
introdotta o la tanto aborrita moderazione de' commodi loro, overo convinta la
incorrigibilità. E quelli che scusavano piú il pontefice, attribuivano alla
poca cognizione sua dell'arti colle quali si mantiene la potenza pontificia e
l'autorità della corte, fondate sopra la riputazione. Lodavano papa Leone di
giudicio e prudenza, che seppe attribuir la mala opinione che la Germania aveva
de' costumi curiali alla poca cognizione che di essa avevano. E però nella
bolla contra Martino Lutero disse che se egli, essendo citato, fosse andato a
Roma, non averebbe trovato nella corte gli abusi che si credeva.
Ma in Germania i mal affetti alla corte
romana interpretavano quella candidezza in sinistro, dicendo che era una solita
arte di confessar il male e prometterne il rimedio, senza alcun pensiero di
effettuare cosa alcuna, per addormentar gli incauti, goder il beneficio del
tempo e fra tanto, co 'l mezo delle prattiche co' prencipi, giustificarsi in
modo che potessero meglio assoggettir i popoli e levarli il potersi opponer ai
loro voleri e di parlare dei loro mancamenti. E perché diceva il pontefice che
bisognava nel rimediare non tentar di proveder a tutto insieme, per il pericolo
di causar mal maggiore, ma far le cose a passo a passo, se ne ridevano,
soggiongendo che ben a passo a passo, ma in maniera che tra un passo e l'altro
vi si fraponesse la distanza d'un secolo. Ma attesa la buona vita tenuta da
Adriano inanzi il pontificato, cosí dopo assonto a vescovato et al cardinalato,
come anco per inanzi, e la buona intenzione che si scopriva in tutte le sue
azzioni, gli uomini pii interpretavano il tutto in buon senso, credendo
veramente ch'egli confessasse gli errori per ingenuità e che fosse anco per
porgervi rimedio piú presto di quello che prometteva. Né l'evento lasciò
giudicar il contrario: perché non essendo la corte degna d'un tal pontefice,
piacque a Dio che passasse all'altra vita quasi subito dopo ricevuta la
relazione dal suo noncio di Noremberga. Perché a 13 septembre finí il corso de
suoi anni.
Ma in Germania, quando fu publicato il
decreto del recesso di Noremberga con li precetti sopra le prediche e stampe,
dalla maggior parte non ne fu tenuto conto alcuno, ma gli interessati, cosí
quelli che seguivano la Chiesa romana, come i luterani, l'intesero a loro
favore: perché dicendosi che si tacessero le cose che potessero mover tumulti
popolari, intendevano i catolici che si dovessero tacer le cose introdotte da
Lutero nella dottrina e la riprensione degli abusi dell'ordine ecclesiastico,
et i luterani dicevano esser stata mente della dieta che si dovessero tacer le
difese degli abusi, per li quali il popolo si muoveva contra i predicatori
quando udiva rappresentar cosí le cose cattive, come le buone; e quella parte
del decreto che commandava di predicar l'Evangelio secondo la dottrina de'
scrittori approvati dalla Chiesa, i catolici intendevano secondo la dottrina
de' scolastici e degli ultimi postillatori delle Scritture, ma i luterani
dicevano che s'intendeva de' santi padri, Ilario, Ambrosio, Agostino, Gieronimo
et altri tali, interpretando anco che fosse loro lecito, per virtú dell'editto
del recesso, continuar insegnando la loro dottrina sino al concilio; sí come i
catolici intendevano che la mente della dieta fosse stata che si dovesse
continuar nella dottrina della Chiesa romana. Onde pareva che l'editto, in
luogo d'estinguer il fuogo delle controversie, l'accendesse maggiormente, e
restava nelle pie menti il desiderio del concilio libero, al quale pareva che
ambe le parti si sottomettessero, sperandosi che per quello dovesse seguir la
liberazione da tanti mali.
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