[Clemente, ingelosito contra Cesare, fa
lega col re di Francia et altri]
Ma in Italia Clemente, che aveva passato
tutto l'anno inanzi in perplessità e timori, parendogli di veder Carlo ora armato
in Roma per occupar lo Stato ecclesiastico e racquistare la possessione
dell'Imperio romano, occupato coll'arti de' suoi predecessori, ora di vederlo
in un concilio a moderar l'autorità pontificia nella Chiesa, senza di che ben
vedeva esser impossibile diminuire la temporale, e sopra tutte le cose avendo
concetto un mal presaggio che tutti i ministri mandati in Francia per trattar
con la madre del re e col governo fossero nel viaggio periti, finalmente
nell'uscir di marzo di quest'anno respirò alquanto, intendendo che il re
liberato era tornato in Francia. Mandò in diligenza a congratularsi con lui et
a concluder la confederazione contra l'imperatore; la qual, poiché fu stabilita
in Cugnac il 22 maggio tra sé, quel re et i prencipi italiani con nome di Lega
santissima, et assolto il re dal giuramento prestato in Spagna per osservazione
delle cose convenute, liberato dal timore, affetto che lo dominava molto,
parendoli d'esser in libertà, et irritato sommamente perché non solo in Spagna
et in Napoli erano publicate ordinazioni in pregiudicio della corte romana, ma,
quel che piú gli premeva, in quei giorni un notaro spagnolo ebbe ardire di
comparir in Rota publicamente e far commandamento per nome di Cesare a due
napolitani che desistessero di litigar in quell'auditorio, venne in risoluzione
di far palese l'animo suo per dar cuore ai collegati; e scrisse a Carlo sotto
il 23 giugno un breve assai longo in forma d'invettiva, dove commemorati i
beneficii fattigli da sé, cosí essendo cardinale, come doppo nel pontificato,
et i partiti grandi che aveva ricusato da altri prencipi per star nella sua
amicizia, vedendo d'esser mal rimeritato e non essergli corrisposto né in
benevolenza, né meno in osservazione delle promesse, anzi, in contrario,
essergli data molta materia di sospezzione e fatte molte offese, con
eccitamento di nuove guerre in Italia et altrove, le quali tutte commemorò
particolarmente, imputando all'imperatore la colpa di tutti i mali e mostrando
che in tutto la dignità pontificale fosse lesa, e passando anco ad un altro
genere di offensioni fattegli con aver publicato leggi in Spagna e pragmatiche
in Napoli contra la libertà ecclesiastica e la dignità della Sede apostolica,
concluse finalmente non secondo il consueto de' pontefici con minaccie di pene
spirituali, ma protestandogli che se non vorrà ridursi alle cose del giusto,
cessando dall'occupazione d'Italia e da perturbar le altre parti della
cristianità, egli non sarà per mancar alla giustizia e libertà d'Italia, nella
quale sta la tutela di quella Santa Sede, ma moverà le arme sue giuste e sante
contra di lui, non per offenderlo, ma per defender la commune salute e la
propria dignità.
Ispedito il dispaccio in Spagna, il dí
seguente scrisse et espedí all'imperatore un altro breve senza far menzione del
primo; dove in sostanza diceva che egli era stato costretto, per mantenere la
libertà d'Italia e soccorrere ai pericoli della Sede apostolica, venir alle
deliberazioni che non si potevano tralasciare senza mancar all'ufficio di buon
pontefice e di giusto prencipe, alle quali se la Maestà Sua vorrà porger il
rimedio a lei facile, utile e glorioso, la cristianità sarà liberata da gran
pericolo, di che gli darà piú ampio conto il suo noncio appresso lui residente;
che la pregava per la misericordia di Dio d'ascoltarlo e proveder alla salute
publica e contener tra i termini del giusto le voglie sfrenate et ingiuriose
de' suoi, acciò gli altri possino restar sicuri de' beni e della vita propria.
Sotto queste ultime parole comprendeva il pontefice principalmente Pompeio
cardinale Colonna, Vespasiano et Ascanio, con altri di quella famiglia seguaci
delle parti imperiali et aiutati dal vicerè di Napoli, da quali riceveva
quotidianamente varie opposizioni a' suoi pensieri. E quello che nel animo suo
faceva impressione maggiore, temeva anco che non gli mettessero in difficoltà
il pontificato. Imperò che il cardinal sudetto, uomo ardito e fastuoso, non si
conteneva di parlar publicamente di lui come di asceso al pontificato per vie
illegitime e, magnificando le cose operate dalla casa Colonna contra altri
pontefici (come egli diceva) intrusi et illegitimi, aggiongeva esser fatale a
quella famiglia l'odio de' pontefici tiranni et ad essi l'esser ripressi dalla
virtú di quella, e minacciava di concilio, facendo ufficio con tutti i ministri
imperiali per indur l'imperatore a congregarlo. Di che non solo irritato il
pontefice, ma ancora per prevenire, publicò un severo monitorio contra quel
cardinale, citandolo a Roma sotto gravissime pene e censure, nel qual anco toccava
manifestamente il vicerè di Napoli et obliquamente l'imperatore. Ma non
passando prosperamente la mossa d'arme in Lombardia, e differendo a comparir
l'essercito del re di Francia, et insieme essendo successa in Ongaria la
sconfitta del essercito cristiano e la morte del re Ludovico, e moltiplicando
tuttavia in Germania il numero di quelli che seguivano la dottrina di Lutero e
ricchiedendo tutti un concilio che conciliasse una pace universale tra'
cristiani e mettesse fine a' tanti disordini [..]
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