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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro secondo
    • [Il papa scrive a' legati e consente che s'entri in materia. È preso a soggetto la Sacra Scrittura]
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[Il papa scrive a' legati e consente che s'entri in materia. È preso a soggetto la Sacra Scrittura]

Sopra la lettera da Trento scritta ebbe il pontefice molta considerazione, dall'uno canto ponderando gli inconvenienti che sarebbono seguiti tenendo, come diceva, il concilio su le ancore, con mala sodisfazzione di quei vescovi che ivi erano, et il male che poteva nascere quando s'incomminciasse riforma; in fine, vedendo ben che era necessario rimettere qualche cosa alla ventura e che la prudenzia non consegliava se non evitar il male maggiore, risolvé di riscrivere a Trento che, secondo il raccordo loro, incaminassero l'azzione, avvertendo di non metter in campo nuove difficoltà in materia di fede, né determinando cosa alcuna delle controverse tra' catolici, e nella riforma procedendo pian piano. I legati, che sin allora si erano trattenuti nelle congregazioni in cose generali, avendo ricevuto facoltà d'incaminarsi, nella congregazione de 22 febraro proposero che, fermato il primo fondamento della fede, la consequenza portava che si trattasse un altro piú ampio, che è la Scrittura divina, materia nella quale vi sono ponti spettanti a' dogmi controversi co' luterani et altri per riforma degli abusi, e li piú principali e necessarii da emendare, et in tanto numero che forsi non basterà il tempo sino alla sessione per trovare rimedio a tutti. Si discorse delle cose controverse con luterani in questo soggetto e degli abusi, e fu da diversi prelati parlato molto sopra di questo.

Sino allora i teologi, che erano al numero di 30 e per il piú frati, non avevano servito in concilio ad altro che a fare qualche predica i giorni festivi, in essaltazione del concilio o del papa, e per pugna ombratile con luterani; ora che si doveva decidere dogma controverso e rimediare agli abusi piú tosto de' letterati che d'altri, comminciò ad apparire in che valersene. E fu preso ordine che, nelle materie da trattarsi per decidere punti di dottrina, fossero estratti gli articoli da' libri de' luterani, contrarii alla fede ortodossa, e dati da studiare e censurare a' teologi, accioché, dicendo ciascuno d'essi l'opinione sua, fosse preparata la materia per formare i decreti; quali proposti in congregazione et essaminati da' padri, inteso il voto di ciascuno, fosse stabilito quello che in sessione s'averebbe a publicare. Et in quello che appartiene agli abusi, ogni uno raccordasse quello che gli pareva degno di correzzione, col rimedio appropriato.

Gli articoli formati per la parte spettante alla dottrina, tratti da' libri di Lutero, furono:

1 Che la dottrina necessaria della fede cristiana si contiene tutta intiera nelle divine Scritture, e che è una finzione d'uomini aggiongervi tradizioni non scritte, come lasciate da Cristo e dagli apostoli alla santa Chiesa, arrivate a noi per il mezo della continua successione de' vescovi, et essere sacrilegio il tenerle d'ugual autorità con le Scritture del Nuovo e Vecchio Testamento.

2 Che tra libri del Vecchio Testamento non si debbono numerare salvo che i ricevuti dagli ebrei, e nel Testamento Nuovo le 6 Epistole, cioè sotto nome di san Paolo agli ebrei, di san Giacomo, seconda di san Pietro, seconda e terza di san Giovanni et una di san Iuda, e l'Apocalisse.

3 Che per avere l'intelligenza vera della Scrittura divina o per allegare le proprie parole è necessario aver ricorso a' testi della lingua originaria nella quale è scritta, e reprovare la tradozzione che da' latini è usata, come piena d'errori.

4 Che la Scrittura divina è facilissima e chiarissima, e per intenderla non è necessaria né glosa, né commenti, ma avere spirito di pecorella di Cristo.

5 Se contra tutti questi articoli si debbono formare canoni con anatemi.

Sopra i due primi articoli fu discorso da' teologi in 4 congregazioni, e nel primo tutti furono concordi che la fede cristiana si ha parte nella Scrittura divina e parte nelle tradizioni, e si consumò molto tempo in allegare per questo luoghi di Tertulliano, che spesso ne parla e molti ne numera, d'Ireneo, Cipriano, Basilio, Agostino et altri; anzi, dicendo di piú alcuni che tutta la dottrina catolica abbia per unico fondamento la tradizione, perché alla medesima Scrittura non si crede, se non perché si ha per tradizione. Ma vi fu qualche differenza come fosse ispediente trattare questa materia.

Fra Vicenzo Lunello franciscano fu d'opinione che, dovendosi stabilire la Scrittura divina e le tradizioni per fondamenti della fede, si dovesse inanzi trattare della Chiesa, che è fondamento piú principale, perché la Scrittura riceve da quella l'autorità, secondo il celebre detto di sant'Agostino: «Non crederei all'Evangelio, se l'autorità della Chiesa non mi constringesse», e perché delle tradizioni non si può aver uso alcuno, se non fondandolo sopra la medesima autorità, poiché, venendo controversia, se alcuna cosa sia per tradizione, sarà necessario deciderla o per testimonio, o per determinazione della Chiesa. Ma stabilito questo fondamento, che ogni cristiano è ubligato credere alla Chiesa, sopra quello si fabricarà sicuramente. Aggiongeva doversi pigliar essempio da tutti quelli che sino allora avevano scritto con sodezza contra luterani, come frate Silvestro et Ecchio, che si sono valuti piú dell'autorità della Chiesa, che di qualonque altro argomento; né con altro potersi mai convincer i luterani. Esser cosa molto aliena dal fine proposto, cioè di ponere tutti i fondamenti della dottrina cristiana, lasciare il principale e forse l'unico, ma al certo quello senza il quale gli altri non sussistono. Non ebbe questa opinione seguaci. Alcuni gli opponevano che era sogetta alle stesse difficoltà che faceva agl'altri; perché anco le sinagoghe d'eretici s'arrogarebbono d'essere la vera Chiesa, a chi tanta autorità era data. Altri, avendo per cosa notissima et indubitabile che, per la Chiesa, si debbe intendere l'ordine clericale, e piú propriamente il concilio et il papa come capo, dicevano che l'autorità di quella s'ha da tenere per già decisa, e che il trattarne al presente sarebbe un mostrare che fosse in difficoltà, o almeno cosa chiarita di nuovo, e non antichissima, sempre creduta dopo che ci è Chiesa cristiana.

Ma fra Antonio Marinaro carmelitano era di parere che si astenesse di parlare delle tradizioni, e diceva che in questa materia, per decisione del primo articolo, conveniva prima determinare se la questione fosse facti vel iuris, cioè se la dottrina cristiana ha due parti, una, che per divina volontà fosse scritta, l'altra che per la stessa fosse proibito scrivere, ma solo insegnare in voce; overo se di tutto il corpo della dottrina per accidente è avvenuto che, essendo stata tutta insegnata, qualche parte non sia stata posta in scritto. Soggionse essere cosa chiara che la Maestà divina, ordinando la legge del Vecchio Testamento, statuí che fosse necessario averla in scritto, però col proprio dito scrisse il decalogo in pietra, commandando, che fosse riposto nello scrigno, perciò chiamato del patto, che si dice «Arca foederis». Che commandò piú volte a Moisè di scrivere li precetti in libro, e che un essemplare stasse appresso lo scrigno, e che il re ne avesse uno per leggere continuamente. Non fu l'istesso nella legge evangelica, la qual dal figlio di Dio fu scritta ne' cuori, alla quale non è necessario avere tavole, né scrigno, né libro. Anzi, fu la Chiesa perfettissima inanzi che alcuni de' santi apostoli scrivessero; e se ben niente fosse stato scritto, non però alla Chiesa di Cristo sarebbe mancata alcuna perfezzione. Ma sí come fondò Cristo la dottrina del Nuovo Testamento ne' cuori, cosí non vietò che non dovesse essere scritta, come in alcune false religioni, dove i misterii erano tenuti in occolto, né era lecito mettergli in scritto, ma solamente insegnarli in voce; e pertanto essere cosa indubitata che quello che hanno scritto gli apostoli e quello che hanno insegnato a bocca è di pari autorità, avendo essi scritto e parlato per l'instinto dello Spirito Santo; il quale però, sí come assistendo loro gli ha drizzati a scrivere e predicare il vero, cosí non si può dire che abbia loro proibito scrivere alcuna cosa per tenerla in misterio, onde non si poteva distinguere doi generi d'articoli della fede, alcuni publicati con scrittura, altri commandati di communicare solo in voce. Disse anco che, se alcuno fosse di contraria opinione, averebbe due gran difficoltà da superare: l'una in dire in che consiste la differenza; l'altra, come i successori degli apostoli abbiano potuto metter in scritto quello che da Dio fu proibito; soggiongendo essere altretanto dura e difficile da sostenere l'altra, cioè per accidente esser occorso che alcuni particolari non siano stati scritti, poiché derogherebbe molto alla divina providenza nell'indrizzare i santi apostoli nella composizione delle scritture del Nuovo Testamento. Pertanto concludeva che l'entrar in questa trattazione fosse un navigare tra Scilla e Cariddi et essere meglio immitar li padri, quali si sono sempre valuti di questo luogo solo ne' bisogni, non venendo però mai in parere di formarne un articolo di competenza contra la divina Scrittura. Aggionse che non era necessario passar allora a fare nuova determinazione, poiché da' luterani, se ben hanno detto di non voler essere convinti salvo che con la Scrittura, non è però stata formata controversia in questo articolo, et essere ben attendere alle sole controversie che essi hanno promosse, e non metterne in campo di nuove, esponendosi a pericolo di fare maggior divisione nel cristianesmo.

A pochi piacque l'openione del frate; anzi dal cardinale Polo fu ripreso, con dire che quel parere era piú degno d'un colloquio di Germania, che condecente ad un concilio universale della Chiesa; che in questo convien avere mira alla verità sincera, non come là, dove non si tratta se non d'accordarsi et eziandio con pregiudicio della verità; per conservare la Chiesa essere necessario o che i luterani ricevino tutta la dottrina romana, o che siano scoperti quanti piú errori di loro si può ritrovare, per mostrare al mondo tanto piú che non si può convenire con loro; però se essi non hanno formato la controversia sopra le tradizioni, bisogna formarla e condannare le openioni loro e mostrare che quella dottrina non solo è differente dalla vera in quello dove professatamente gli contradice, ma in tutte le altre parti; doversi attendere a condannare piú assordità che si potran cavare da' scritti loro, et essere vano il timore di urtar in Scilla o Cariddi per quella cavillosa raggione, a quale chi attendesse concluderebbe che non ci fosse tradizione alcuna.

 

 




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